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burattini e parabole

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2017 13:31
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07/10/2017 08:03
 
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una raccolta lentissima che vuole sviluppare l'intento riconosciuto dai commenti in studio a questo genere di poesia. ci sto provando, non è per niente facile [SM=g10324]


mi sento nonna

mi sento come il diametro di una casseruola
chiusa in un cerchio che mi rimette al fuoco
ai debiti, ai debitori, all’ora in cui
la sedia mi direbbe fermati -o meglio
accomodati, prendi un caffè
riprendi fiato, prenditi il tempo

come se non stessi seduta abbastanza
così circolare, così concentrica
piatta sul fondo. una schiena assuefatta
al nulla per cui valga la pena
se non di stare qui, a scrivere un diario
da regalare a chi può crederci ancora
senza la paura che carica di gocce
solo per meritare un po’ di apparenza

e lasciarti detto -bambino mio
come usare le forbici, il significato
di opporre la mano alle lame

per ritagliare un quadrato che sia una casa
un triangolo che sia il tetto
per comporre una città, con la scuola
il municipio; ancor di più un rione con l’oratorio
per volersi bene e coltivare il basilico
nella terra smossa dietro le reti del campetto

o per costruire un aeroplano di cartone
per volare, senza comprare la vita,
tra un’apertura d’ali e una caduta
dovuta al modo di poggiare le mani
di alzare gli occhi a guardare le stelle

perché la tua domanda
comprende questa terra
che ancora ci appartiene



disegnando orologi

disegnando orologi la vita è perfetta
si sceglie una guida, la sequenza
si invertono i passaggi, come l’ordine degli addendi
che nulla deforma se la matita
sbanda e si attacca al righello
se la mano trema e il cerchio la tiene
e tu e io leggiamo la grande esattezza delle ore

che non sempre corrisponde alla danza degli ippopotami lievi
ma è una marcia, coi passi contati
di storie che restano involucri, coreografie sciolte come cani

ma la casa è il quadrante che contiene il mondo
la casa che sta alla neve, come tu, oh bambino
stai al campo di grano. e i “grandi”
sono il bel tempo o le tue intemperie
il miracolo o la tua miseria
il tuo vento, la tua inondazione
e certe svolte sono solo spighe vuote
che aprirai nel tempo
raccogliendo la vita di quel campo di grano
che non ha dato moltiplicazioni
ma solo spiga che regge spiga
sotto un vento che ti atterra a chiazze

oppure sotto un fiume che ti corica , quando
esce dal corso per l’umana negligenza



il corpo umano
(la rileggo dopo tanto tempo e mi sembra anche molto da modificare)

il corpo umano, quello che si studia a scuola
seppure statico risulta saltellante
lo vediamo su un libro regalato a Natale e poco dopo
in una raccolta di CD; nel viaggio dentro di Piero Angela
nell’omino anatomico, gratis con la collana De Agostini

lo puoi montare e rimontare, puoi
invertire i femori ed i piedi
prendere in mano gli organi e le ossa
sbattere la mandibola, aprire il cranio
e togliere il cervello, stringerlo nella mano

che se fosse il cervello dei grandi
si potrebbe risciacquare con l’aceto o lavare
di nascosto in chiesa, nell’acquasantiera
e poi portare ad alta quota e caricarlo d’aria pura

per diluire questo DNA del secolo
che tende a non far credere più alla geografia umana
dove gli stati sono mani e piedi e braccia e gambe
le strade sono nervi, e vene che portano ai paesi
le istituzioni gli organi ed i sensi, le vacanze

i polmoni i parchi e la montagna, le terme sono i reni
il fegato è il dolore e l’intestino, la sua filosofia
la tua casa è il cervello, la tua famiglia è il cuore

ma se capita di passare da te con google maps
le finestre sulla strada sono chiuse
come gli occhi che abitano fuori dalle geografie



nel vaso di vetro

le monete riposte in un vaso di vetro
incuriosiscono i bambini
per le forge strane, ignote, lontane

tu guardi il colore, il disegno, la data
trovi quella di mamma, quella di papà
di nonni, bisnonni, delle grandi guerre

e da domanda poi nasce domanda
sugli universi che nasconde il tempo
i vari paesi, i loro re, le dittature
chiedi di quello coi baffi quadrati
che sterminò sei milioni di ebrei

ti resta sulle dita l’unto del metallo
un’impronta digitale antica
i tatuaggi che compongono il viso
di un mondo fiorito di monete sporche

dovrei pulirle ad una ad una col viakal
ma hanno la storia patinata
sul dritto, sul rovescio e sarebbe
come togliermi le rughe dal volto

invece, mio amore, da nonna
voglio apparirti nonna senza falsità nei capelli
senza il botox a confondere le tue cronologie
quelle naturali da miliardi d’anni

non i meccanismi sconvolti
dalla miseria umana che si vuole elevare
ad immortale (pre)potenza



la vecchia credenza

c’è troppo mondo uscito da questa casa
gli anni del gioco, i quaderni di scuola
la scatola rossa del pallottoliere
che fu ponte tra le nostre generazioni

non resta più traccia della giovinezza
nell’essere mamma, ora che il bisogno
è di guardare, di sfogliare, di farsi meraviglia
di quel passato che sarebbe il mio futuro
in questi giorni inzuppati di pioggia

oggi il ricordo insiste
sulla vecchia credenza della nonna
a tutte le cose là dentro
diventate piccole morti silenti
che urlano nel pensiero

oh, se qualcuno l’avesse conservato
quell’involucro così mortificato
gli darei la nuova vita che ho scoperto
di avere tra le mani



senza perché

ricordo le stanze, i muri, lo spessore
il davanzale così largo
da essere un tavolo per i bambini

con le tovagliette a quadri
i piatti sbreccati, i cucchiai di alpaca
e quel risotto giallo che appannava i vetri

non c’erano domande dentro

per esempio la marca dello zafferano
la carne usata per il brodo
la stagionatura del parmigiano

il sapore, mai più ritrovato
non aveva un perché. era una danza
tra l’ultima musica del camino
e la primavera, al di là appena
con la fioritura dei sambuchi



filastrocca di capodanno

torna la pagina nuova
la paura, la voglia di avventura
la punta alla matita

resto a pregare un po’ diversamente
ché c’è di mezzo il mare
tra braccio e mente, la forma del cuore
la ruggine dentro le spalle

contundente

non c’entra niente
tutto sta rispettare il margine
il quadretto

munirsi di gomma da cancellare
-lasciarsi cancellare

per non morire gialli, in un film
in bianco e nero dov’è disegnata
una gabbia, sebbene aperta

sul mezzo foglio bianco sporge la testa
con i capelli come raggi
in un fumetto



il tuo sorriso

sotto i passi resta la casa
il suo silenzio parla dentro le cose
si chiude con le voci andate una ad una

lei le raccoglie come una famiglia
stretta per mano per sguardi
d’occhi prima spenti poi accesi
anche nella lontananza

tu non devi piangere

è dappertutto il tuo sorriso
argentino, vicino sempre
qui, nella mia felicità



la noia

senti la noia, ma non sai
(non lo sanno neppure i grandi)
che dalla noia può nascere un romanzo
quello di un paesaggio immobile
che tace nei tuoi occhi
mentre il giorno va verso il buio

e s’accendono insieme tutti i lampioni

ma le luci della case, no
quelle lo fanno una alla volta
alcune insieme, alcune raramente
come la storia di chi ci vive dentro
espressa nella sua condizione
il lavoro, un bambino appena nato
i compiti da finire, l’anziano da curare

e si accendono i fari nel villaggio
per chi arriva, per chi parte
lampeggia un cancello
l’insegna al vecchio ristorante
resa fluorescente dalla nuova gestione

la tua noia si perde nelle storie
lette da una terrazza, un romanzo
visto in cinemascope



la malinconia

chiamiamolo malinconia
quello sguardo un po’ spento
dopo la prima notte di vacanza
è come se avessi negli occhi
il dubbio delle poche cose
che intorno premono il vuoto

dei giochi mai pronti da giocare
o del deserto sempre più deserto

imparerai ad ascoltare
quell’angolo di bosco
(noi parlavamo di anima)
che a guardarlo viene paura

nel punto più scuro
tra le radici che sfiorano le tue
potrai fare incontrare
il tuo burattino
con la sua parabola


la solitudine

sto bene in questo albergo vuoto
musicato dai ceppi nel camino
dove il mondo si legge
attraverso gli intagli delle tende

eppure nel silenzio c’è tutto, il giro del mondo

vedo il mio passo dentro un grande specchio
e studio una postura principesca:
dritta la schiena, lo sguardo avanti
parlo alle stanze, annuncio di te
che arriverai domani


che

che quando il nonno andava nella vigna
lo seguivo sempre (uno scrittore coi fiocchi,
uno che pubblica libri per “la scuola”, mi diceva
- chi inizia la frase con il ”che”, è uno che in scrittura
c’ha le palle). 2uindi (a me piace la qu maiuscola
a forma di due) amavo la vigna. il fascio di salice
che mio padre portava alla cintura. il track
del forbicione sulle potature, l’ardore del sole
sullo zolfo. le galline tra un filare e l’altro
che acchiappavano grilli. poveri grilli
(diremmo ai nostri giorni) ma anche poveri noi
a non mangiare più le uova di galline
che hanno beccato i grilli



[Modificato da fil0diseta 09/11/2017 11:12]
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07/10/2017 08:48
 
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Scusa....io sono quello che non capisce. Qual è il tuo intento?
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07/10/2017 09:07
 
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intanto buon giorno distratto [SM=x2823269]

il mio unico intento personale è quello di scrivere per un bambino. ma non è di questo intento che parlo sopra, altrimenti non pubblicherei queste cose qui.

è l'intento che si allarga alla poesia, quello individuato dai commentatori della prima poesia: Davide Rondoni e Aurelio Picca. non è difficile scoprire chi sono con una piccola ricerca [SM=g2829698]

quello che ti parrà ancora oscuro è tutto qui, nel capitolo "la poesia è vita"

ciao
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10/11/2017 13:27
 
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il profumo dell'aglio

vedi amore
solo chanel 19
(hai capito bene n°19, non il n°5)
supera il profumo dell’aglio

eppure tutti lo chiamano odore
sudore, alitore, antiore d’amore
antivampiri e vampori

mi piace farti ridere così
con le mie invenzioni
ma la questione è seria

il sentore d’aglio colloquiare
ti fa scontroso, irriverente
non ti rende degno
di un colloquio di lavoro
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22/11/2017 16:15
 
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pennelli

al piano terra ho una doppia cucina:
è quella della nonna, col frigo basso e la bocca del camino.
dovrai usarla per friggere il pesce o per le marmellate
invece tengo riposto l’albero di Natale

di tanto in tanto ci lavo i miei pennelli
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15/12/2017 10:04
 
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il ritratto

un po’ di te, un po’ di me- come bestialità nelle canzoni
(ma infatti, comprendere il testo delle canzoni mi sa di bestialità)

voglio che la canzone mi faccia da invenzione
di un biscotto zoppo, di una frase in cottura
della sveglia che mi ama e non mi sveglia

cosa me ne faccio di una canzone senza invenzione

come invento te, in un ritratto. Amore
Gioia, fragore quando dal mio terrazzo
vedo la tua finestra aperta
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15/12/2017 13:31
 
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la fantastica robaccia


ogni casa ha il suo cassetto
per lo più nella cucina
ci si buttano le cose
spesse volte per la fretta
-mi potrebbero servire
quando voglio le ritrovo-
c’è una corda, c’è una pila
le puntine arrugginite
un bel fiocco di frangetta
l’orecchino anche spaiato
tutte quante mezze storie
che tu devi reinventare

per il compito racconta
con la tua immaginazione
cosa trovi in quel cassetto

non mi serve immaginare
in cucina c’è il cassetto
che contiene stretto, stretto
il passato e l’imperfetto
le monete ancora in lire
che mi fanno trasalire
un calzare di metallo
mi farebbe proprio comodo
ma lo lascio dove sta
è un ricordo assai lontano
un omaggio ancora serio
per l’acquisto delle scarpe
che duravano una vita

grazie al compito di oggi
mi è piaciuto andare a caccia
per le stanze, negli armadi,
di fantastica robaccia

[Modificato da fabella 15/12/2017 13:31]
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