No, l'insistere sui possessivi è voluto.
Li ricerco molto nella mia poesia.
Danno un senso di "fisicità" più forte.
E' come un rimarcare.
Inoltre il lettore acquisisce più materialità, più possesso, appunto.
E in questa maniera, allo stesso tempo, in un certo senso può far più sua l'immagine descritta trasportandola sul proprio piano personale (la "tua mano", diventa la mano del proprio amato od amata in analoga situazione e stato d'animo già vissuti dal lettore).
Ciò che conta, secondo me, è che dalla dimensione intima e personale, apparentemente, del racconto del poeta nella poesia, la stessa si "astragga", per così dire, su di un piano "universale" e valevole in un ripetersi indeterminato di situazioni, in cui il singolo lettore può indefinitamente riconoscersi.
E in questo senso può tornare utile l'alternarsi di "mio", "tuo" e "nostro" (plurale maiestatis "mascherato") a chiudere il cerchio dell'appartenenza.
Ma che ho detto?