Tiziana Cera Rosco
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guardo, ancora a letto, un'intervista a Bill Viola. E,nella semplicità delle parole legate ai fatti, torna la calma e il lavoro incessante che emana da una visione centrale e che posso assorbire. ieri ero ad ascoltare dei poeti e non solo mi sono annoiata ma sentivo lo spreco "del territorio" della poesia, la cosa sciatta, la reale mancanza di linguaggio perché è proprio la vita che manca. Scrivere un libro di poesie non è niente. Così mi sono avvicinata al direttore di collana e gli ho detto: "ma dov'è un linguaggio alla fine del mondo qui? cioè un linguaggio, una visione da cui si possa ripartire, a cui appoggiarsi veramente? anche tu sei responsabile'. e lui guardandomi dritto negli occhi e sorridendomi "come sei severa. dobbiamo parlarne molto". dopo la lettura c'era un aperitivo ma non ho sentito una parola attorno ai testi della poesia. e mentre salutavo gli amici, pensavo alla saturazione dello spazio, cosa ci stiamo davvero scambiando negli abbracci e che c'era un tempo in cui la poesia era un grande animale nella notte che paralizzava i falsi movimenti. e davanti al quale davvero non sapevi se sperare di sopravvivergli o di essere divorato. tutto. finalmente.
"Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)