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LI CANI SECCHI

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2016 15:33
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21/01/2016 13:03
 
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1. Palle di neve (1956)
Piazza Giovanni Segantini, imbiancata da un palmo di neve, sembrava, ai due ragazzi che la osservavano sorpresi e meravigliati, la copertura di panna di una gigantesca torta.
I rari passanti che a quell’ora erano già fuori di casa facevano i miracoli per evitare di perdere l’equilibrio e capitombolare ingloriosamente.
“Ammazza!... – disse uno dei due giovani, il più alto, magro come un cane randagio – dice ch’ha nevicato!”
“E già!... – rispose l’altro, più basso e tarchiato – pare de stà ‘n Sibberia… Mortacci sua, che freddo!”
Effettivamente la temperatura, sotto lo zero, era abbastanza singolare per una borgata romana, anche se in pieno inverno, e le palazzine del Villaggio Giuliano, cariche di neve, avevano un che di spettrale che ai due amici trasmetteva anche una certa ansia.
“A Cane Se’, ma te ce sai annà su li sci?”
“Li sci?!... E che robb’è li sci?!”
“So’ ‘n par de scarpe pe’ quelli pennelloni come te!”, concluse ghignando il ragazzo più basso.
“A Ci’… ma te cianno mannato o cce sei venuto?... E ppoi a mme ‘a neve me fa pure schifo…”
“Perché te fa schifo?... A me me pare gajjarda!”
“Si, gajjarda… che ne sai te…”
“Perché, tu ‘o sai?...”
“Certo che ‘o so: guarda che prima che mi’ padre me mettesse in colleggio io stavo co’ li mi’ nonni in Toscana, in dove d’inverno, pe’ corpa de la neve, s’arimaneva drento casa puro pe’ settimane sane.”
“Me cojjoni, Cane Se’!... Com’è?...”
“Perché scenneva pe’ ggiorni e ggiorni de seguito e quarche vorta t’aritrovavi co’ mezzo metro de neve davanti a la porta de casa… Du’ palle!... Mi’ nonna ciaveva paura che me venisse ‘na pormonite: cor cazzo che me faceva métte ‘r naso fòra de casa.”

***

“A Ciccio!... A Cane Se’!... ‘Anvedi che robba!... Oggi s’a ‘a divertimo!”
Un terzo ragazzo, biondissimo, intabarrato in un cappottone che lo copriva fino ai piedi, sbucò da dietro l’edicola dei giornali, davanti alla fermata degli autobus.
“Ciao, Si’!...”, rispose Ciccio.
“Sirvio…”, brontolò, a mò di saluto, il ragazzo alto che chiamavano il Cane Secco: il biondino non gli era molto simpatico e lui non faceva niente per nasconderlo.
“’Ndo’ state a ‘nnà, a coppia de scenziati!?”, li interrogò Silvio, arguto e strafottente come al solito.
“Che fai, pii pe’ ‘r culo?”, replicò acido il Cane Secco.
“Annamo a scòla… - rispose, più conciliante, Ciccio – perché, te nun vieni?...”
“Cor quasi che cce vado – proseguì Silvio – e nun ciannate ‘manco vojjantri du’ secchioni… L’auti de Marzano nun funzionano pe’ corpa de la neve…”
“ E a noàntri che ce frega!... Annàmo a pià ‘r treno”, disse Ciccio.
“Cor cazzo! – concluse trionfante il biondino – Causa neve nun cammina ‘manco er treno!... Scòla?...Tiè!...” esclamò, rivolto verso Ostia con il gesto dell’ombrello.
“Ma ‘gne da’ retta a sto cazzaro – disse il Cane Secco al suo amico – si ‘o sa er padre che vò fa’ sega a scòla s’o ‘o ‘ncula…”
“De che, a Cane Se’!... Guarda che ‘manco mi’ padre è ito a lavorà perché ha ‘nteso di’ a ‘a radio che puro ‘a linea Roma-Ostia è paralizzata da ‘a neve…”
Il Cane Secco non ebbe argomenti per replicare dal momento che ormai da più di mezz’ora aspettavano alla fermata e non si vedeva neanche la sagoma di un autobus e sulla faccenda del treno non poteva ribattere perché tanto suo padre “a lavorà nun ciannava manco ne li giorni normali, figùrete quelli co’ la neve…”

***

Il centro della piazza si era nel frattempo affollato di giovinastri che schiamazzavano come ossessi ed eccitati dalla novità assoluta della inattesa nevicata avevano iniziato a tirarsi palle di neve, coinvolgendo nel rumoroso gioco, di quando in quando con i loro lanci sbilenchi, anche qualche frettoloso passante.
I tre amici riconobbero Er Mosca, suo fratello Er Moscerino, detto anche Carta Assorbente a causa delle mazzate che riceveva tutti i giorni dal padre e da quella specie di fratello, basso come un nano del Circo Togni ma cattivo come un lupo tra gli agnelli.
C’erano, inoltre, Scimmietta e il cugino Franco, Pompeo, alto due metri, grosso come un pachiderma ma con un cervello, come diceva il Cane Secco, “che ppe’ trovallo ce voleva er cane da tartufi…” ed altri quattro o cinque giuggioloni, frequentatori assidui della Caserma dei Carabinieri di Acilia.
Silvio, interessato a quei giochi sulla neve invitò i suoi coetanei a buttarsi nella mischia anche loro: Ciccio accettò immediatamente con entusiasmo ma il Cane Secco declinò l’offerta quasi schifato.
“Giochi stronzi pe’ regazzini deficenti… - pontificò, molto più vecchio e saggio dei suoi tredici anni –
e ppoi, co’ queli stronzi che ce stanno lì c’è ppuro er caso che quarchiduno se facci male…”
“A Cane Se’… Ammàzzete si che gufo che ssei… Fa’ ‘n po’ come cazzo te pare: noàntri ciannàmo, vero Ci’?”
Ridendo, saltando e sfottendo l’amico i due si unirono festanti alla gazzarra dei ragazzi più grandi.
Il Cane Secco, disgustato dal comportamento di Ciccio, (“… te facevo meno stronzo…”) acquistò il Corriere dello Sport con i soldi che gli sarebbero serviti a prendere l’autobus per andare a scuola, scorse tutti i titoli in prima pagina e, leggendo con calma e attento a non scivolare sulla neve, si avviò verso casa.

***

La casa del Cane Secco, come tutte quelle dei suoi amici, si trovava in uno dei tanti casermoni, uno appiccicato all’altro, che costituivano l’infima architettura del Villaggio Giuliano, triste località dell’Agro Romano dove erano stati concentrati i profughi del Nord Africa, del Corno d’Africa, dell’Istria, della Dalmazia e gli sfollati di Tor di Nona.
I miserabili palazzoni avevano in comune degli ampi cortili e dei vialetti interni, arredati da alberelli scheletrici di una razza particolare che non aveva mai avuto né foglie né fiori.
Il Cane Secco si sedette sui primi gradini davanti al portone della Scala B e si immerse nella lettura della cronaca della partita Roma-Atalanta, finita 0-0 “… sempre pe’ ccorpa de ‘st’arbitri cornuti e fijji de ‘na mignotta…!”, mentre la Juventus, con i suoi Boniperti, Charles e Sivori ne aveva fatti cinque al Verona.
Il Cane Secco odiava tanto la Juve quanto l’aveva amata quando si trovava in collegio: una volta tornato a Roma aveva imparato dagli amici ad introdursi di soppiatto alla Curva Nord dello Stadio Olimpico (quella meno controllata) per vedere le partite dei giallorossi e si innamorò perdutamente di quelle maglie, che non erano vincenti come quelle bianconere, ma molto, molto più emozionanti.

***

Era così immerso nella lettura del giornale che reagì di soprassalto quando Ciccio, trafelato e spaventato gli apparve davanti.
“Cori, Cane Se’!... Viemme a dà ‘na mano: stanno a corcà Sirvio quei fii de ‘na mignotta in piazza…”
“E a me che me frega… Cazzi sua!...”
“Nun fa’ lo stronzo, Ugo!... Guarda che jje stanno a fa’ male…”
Se Ciccio lo aveva chiamato con il nome di battesimo significava che non aveva voglia di giocare.
“Ma che è successo?!...”
“Dajje, t’o ‘o spiego mentre annàmo…”
Era accaduto che quel deficiente di amico loro s’era messo “a ttiggna” con il Carta Assorbente, gli aveva tirato una palla di neve in piena faccia da distanza ravvicinata e quello aveva fatto intervenire il fratello, Er Mosca, che lo stava “a gonfià come ‘n pallone”…
Quando arrivarono, di corsa, in Piazza Segantini non c’era più nessuno: soltanto Silvio, supino a terra, e un ragazzotto che se la stava filando a tutta birra.
Del Mosca, del Moscerino e di tutti gli altri nemmeno l’ombra…
“Sirvio!... A Si’… Dajje, tiréte su…”
“Nun fa’ lo stronzzo… Arzzete!...”
Ma il ragazzo li fissava con gli occhi sbarrati, senza vederli, bianco come la neve che lo circondava.
Ugo, il Cane Secco, sentì un brivido per le ossa e si chinò per aiutarlo.
Inutilmente.
Con la bocca, la gola e la trachea piene di neve che si scioglieva al residuo calore del suo corpo, con le braccia e le gambe disarticolate come quelle di un fantoccio, con il suo cappottone che ormai non lo difendeva più dal freddo, Silvio, l’arguto, lo strafottente Silvio, lo svogliato compagno di scuola, il viziato figlio unico sempre pronto “a fa’ sega e a divertisse” aveva smesso, per sempre, di giocare.
Ciccio e il Cane Secco scoppiarono a piangere ed urlare.
Si radunò un po’ di gente, dapprima curiosa e poi sconcertata: qualche signora si mise ad urlare, qualcun altro cercò invano di rianimare il giovane, inerte tra le braccia del Cane Secco.
Poi arrivarono insieme l’Ambulanza da Ostia e la camionetta dei Carabinieri dalla Stazione di Acilia.
L’Ambulanza si portò via Silvio; i Carabinieri, non sapendo che pesci prendere, caricarono Ciccio e il Cane Secco per portarli in caserma.
Un solo pensiero rimbombava nella loro testa: chi glielo avrebbe detto ai genitori?
“A Giù… chi jj’o ‘o dice, mò, a qu’a ‘a poraccia de su’ madre?...”

(1. continua.
Gli eventi narrati sono veri, fatti salvi piccoli particolari ininfluenti e, per ovvie ragioni, i nomi dei protagonisti.
Il linguaggio usato non è il romanesco della tradizione di Belli, Pascarella o Trilussa, ma un "pastone" formato da gerghi di mille provenienze che si innesta sul dialetto di Roma e che, ancora oggi, ne costituisce il ramo dominante.)
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Per molti che si ritengono poeti la poesia è un distillato di "cuore-fiore-amore"...
Non date loro da leggere I SEPOLCRI o Charles BUKOWSKI:
sarebbero capaci di disegnare in copertina cornicette di cuoricini.
Email Scheda Utente
Post: 93
OFFLINE
05/02/2016 16:05
 
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Bellissimo, coinvolgente e emozionante.
Il linguaggio ormai è quello della TV nazionale, col romanesco come base sul quale innestare laqualunque.
Piaciuto molto, aspetto con ansia il seguito.
[SM=g3227796]
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ISBN: 978-84-943428-3-7
Dopo che hai imparato a seguire il fiume, precedilo
Chi getta semi al vento, farà fiorire il cielo!
Email Scheda Utente
Post: 52
OFFLINE
10/02/2016 15:33
 
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@viola
^^^^^
Quanto prima!
Grazie della lettura e l'apprezzamento.

A43
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Per molti che si ritengono poeti la poesia è un distillato di "cuore-fiore-amore"...
Non date loro da leggere I SEPOLCRI o Charles BUKOWSKI:
sarebbero capaci di disegnare in copertina cornicette di cuoricini.
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