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Storia di ***, detto Lo Slavo

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2019 20:47
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15/01/2019 20:47
 
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Storia di ***, detto Lo Slavo
Lo Slavo colpiva, colpiva e stringeva i denti. Il rumore delle nocche che si infrangevano sulle ossa altrui era simile, ad un sordo frastuono. La sua mano era il fulmine che lo scatenava. Era una rabbia cieca, di quelle che solo un pazzo sa dar prova. Colpiva fino al punto tale di non ricordarsene nemmeno il motivo, anche se quello era un motivo molto importante. Sentire il dolore alle nocche che si propagava nei nervi, nelle ossa e nei tendini; lo appagava come se avesse svolto il suo dovere. Quando le vibrazioni scaturite dagli impatti dei pugni arrivavano alle sue tempie, la sua testa diventava piena di immagini e suoni che non corrispondevano alla realtà: lui non vedeva la persona che picchiava, lui vedeva il suo obiettivo compiuto. I gemiti della sua vittima diventavano una, dolce, sinfonia che lo spingeva a volerne sempre di più. I suoi denti raschiavano l'uno sull'altro per la tensione del corpo, e la sensazione gli piaceva. Sentire tutto sé stesso, in uno slancio, che cerca di far cadere i propri pugni, come un martello della giustizia, su chi faceva soffrire lui e le persone a cui voleva bene.

L'aveva già fatto altre volte, ma ogni pugno era un mondo nuovo, un ventaglio di percezioni, che si apriva e con il suo far aria lo faceva volare verso il suo di mondo. Con, gli occhi sbarrati, il respiro pesante, le mani coperte di sangue, la giacca ancora candida; Lo Slavo osservava, ancora eccitato, la sua opera d'arte. Il poveretto ormai non era altro che un disegno astratto, un groviglio di rette e cerchi; di cui, forse, neanche l'autore conosce il significato.

Corse giù verso il fiume che scorreva lì vicino, si spogliò a riva e si buttò tra le acque gelide. Riemergendo pensava a che scusa inventare, riguardo al ritardo, per sua madre. Una volta asciugato e vestito si incamminò verso casa. Arrivò, disse due cazzate alla madre, lei non ci credette ma pensò che non ci fosse bisogno di indagare.
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