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ai tempi del COVID-19 (la parola ai poeti)

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2020 08:06
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10/03/2020 07:56
 
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OGNUNO DI NOI È UN OSPEDALE di Franco Arminio

La cosa brutta delle malattie infettive è che muori senza carezze. Sei curato da persone mascherate. E una volta morto nessuno ti posa la mano sulle mani o sulla fronte. Chi sta morendo in questi giorni col coronavirus in qualche modo perde la vita senza la solennità della morte. Nessuno ci dice i nomi di chi è morto. Ci dicono solo che sono vecchi e che avevano altre malattie. Ma noi non siamo bambini da consolare. La situazione è seria e la questione non è ripartire, ma avere cura del dolore, di ogni cittadino che sta nel dolore. La vita di una nazione non è una corsa automobilistica. Non siamo fermi ai box per cambiare le gomme il più in fretta possibile. Dobbiamo chiamare a raccolta le energie migliori del paese. Non ce la caviamo con le ordinanze. Ci vuole un grande moto di calore. Ognuno deve mettere a disposizione qualcosa di suo per la comunità nazionale. La politica deve essere attenta all’economia, ma bisogna parlare con la lingua della vita e ora il nostro alfabeto comincia dalla lettera P, comincia dalla paura. È brutto morire sapendo che tua moglie non potrà ricevere l’abbraccio dei tuoi amici. È brutto sapere che un tuo amico sta male e non puoi fargli visita. Ora non si tratta di raggelarci, ma di portare calore anche senza la vicinanza fisica. E questo con la Rete si può fare. Difendiamo i nostri vecchi, costruiamo barricate amorose per difenderli dal male che avanza e che non è solo il virus, è il male di un mondo che pensava di aver dato le spalle alla fragilità e al mistero. Un mondo scemo e scontento che ora è chiamato a tornare mirabile e attento. Dipende veramente da ognuno di noi. Ognuno di noi è un piccolo ospedale che può ricoverare e accudire la malattia che ci circonda.

___

prima che il virus m'ammazzi (di luca gallotti)

prima che il virus m'ammazzi
correrò verso una milano deserta
in direzione opposta alla folla urlante
umani non più umani mi daranno del pazzo
qualcuno proverà a fermarmi
lancerò amuchina come molotov
senza che nessuno esploda

in un parco sempione popolato da cervi
come a černobyl' dopo le radiazioni
senza nessuno che mi venda birra da una bacinella
ti troverò
bellissima
ti lascerò
dopo aver attraversato il mondo
durante la fine del mondo
dare a un altro
l'ultimo
bacio
d'amore

___

di Mariangela Gualtieri

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.








[Modificato da fil0diseta 10/03/2020 07:57]


fil0diseta_______________________________________________________________________________________________________
Continuerò a disarticolare ogni cosa, nella vita degli universi, perché il tempo sono io.
(Antonin Artaud) 
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