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la poesia di Malos Mannaja

Ultimo Aggiornamento: 14/07/2020 07:49
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14/07/2020 07:44
 
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“c’è un’ala di gabbiano in queste righe / o meglio la parola che la abita”
scrive malos, e quest’ala di gabbiano, che si porta-solleva la parola,
“che batte il tempo inteso in altro senso” rispetto a quello puramente meteorologico, è il movimento di questa poesia, a partire da un tempo futuro (“quando avrai le mani”) che è subito passato (“mi accarezzasti”), a partire da un tempo che “batte il vuoto” (nel senso doppio di vincere e di scandire) e che è capace, mentre passa, di r-accogliere il passato per di nuovo sollevarlo e renderlo possibile.

Il gabbiano di malos non parte, come l’albatros di Baudelaire, dalla sovranità dell’alto, per rimanere invischiato e impotente al freddo sulla terra, ma alla terra già profondamente assomiglia, ne è già impregnato.
Il suo fremito, infatti, al pari dell’alito che esala dal pannolone, “sa di merda”,
dalla merda si alza e ritorna, e ogni volta è una storia che pare vecchia e vinta, con poca o nessun’altra logica se non quella “della convenienza” (sociale, economica, ma anche genetico-fisica della specie); una storia alla quale parrebbe manchi “la rivolta”, confinata com’è nel “c’era una volta”.

Ma se la storia è confinata, la parola anche se muta, è libera; libera di essere doppia, di essere alta e bassa. Il verso di malos (come lessico, sintassi, ecc…) è infatti generalmente piano, ma sprigiona il suo suono nelle tante strade che dissemina e interpreta.
Certo, lo straniamento che ne discende è anche un gran buon palliativo, ma non solo. Si prendano, ad es., gli incipit alla “c’ero e non c’ero”, al “sei fuori luogo”: sono inizi e indizi di “sublimazioni” o di “deriva dal mondo”, ma che, proprio perché derivano dal mondo, frustrano l’aspirazione a staccarsene. Così il “malessere” (il male di essere ) rappresentato da queste poesie non è mai astratto, anzi è bene (anzi è il male) in carne ed ossa, con tutta la propria storia annessa.

“piuttosto, cosa manca?” si – e ci – chiede malos nell’ultima poesia,
e prima di rispondere e confermare con il bellissimo finale: “insomma, sembra non manchi proprio / niente perché qualunque cosa / è nella riga sopra / e quello che non c’è / possiamo ancora scriverlo”, dissemina le righe di tante congiunture, tragiche eppure dette in modo leggero e partecipatissimo, avvalendosi spesso di immagini di gioco, di bambino e vecchio.
In esse chi cerca, trova….: la vita, quella vera, non importa quanto piccola o in poesia. Vera come quella portata dalla figura del (in) minuscolo enzo che , sfogliando i giornali vecchi come fossero nuovi, trova-prende “lucciole, lanterne”, invero “notizie”, a loro volta nuove o “incartapecorite”, vive o morte.
E non c’è solo enzo, perché in contrappunto, enzo evoca altro. Un altro lettore, per es, magari proprio quello che, appagato dall’avere un lanternino, sta a leggere e a guardare; un’altra storia pure, magari quella in cui “[…] c’è una foglia / in cassintegrazione. / così è salita sopra un albero / decisa / a fare un salto giù da un ramo / sebbene è primavera”.
C’è dunque e pienamente la foglia in queste poesie: una foglia che cade, perché non mangia o non si fa mangiare, o perché, come enzo, ha “un’idea di vita” più che del vivere la vita, e per questo “si abita a parole in cerca di chiarezza/ma non l’incrocia mai”.

Una foglia che, comunque vada, cade, ma che, mentre rimane, c’è, non manca, consegnando all’umano il “bambino che si esplora il naso” o l’autore stesso a farne il paio (quando, al modo stesso del bambino, va a(l) naso, esplorandone il senso, trovando: “il fazzoletto è pieno di parole”).
Quanto è bello, allora, infine, che l’autore venga a testimoniare: ”quelle [le parole] ci sono sempre, come il mondo / anche se a volte / spariscono in un soffio”!
Queste poesie lo affermano, e rimangono, non solo dopo, adesso.

margherita ealla
[Modificato da fil0diseta 14/07/2020 08:04]


fil0diseta_______________________________________________________________________________________________________
Continuerò a disarticolare ogni cosa, nella vita degli universi, perché il tempo sono io.
(Antonin Artaud) 
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