ABBANDONO
L'orologio bussa nel cranio e si fa strada come parassita attraverso l'osso vivo, scricchiolando, tra sangue e digrignate dolore.
Gocce di tempo scavano sulla mia fronte, incessanti e costanti, da sopra quella bara dove da sempre cerco il conforto della notte.
Resto immobile circondato da ricordi di carta incorniciati: volti familiari, stropicciati e stinti da una vita spesa a tracciarne sorrisi, mi lapidano di risa.
Il respiro va ad assottigliarsi, mentre la gola si torce in un dolore che incatena e confina ogni suono.
Impossibile urlare.
Resto immobile circondato da nomi senza memoria di me, gli unici compagni rimasti al fianco, pronti a non muovere passo per estrarmi dalla crosta di oscurità che, annegando, inghiotto.
Sono solo.
No, la verità è che, nel silenzio, la sento ancora respirare.
Ed è galleggiando a capo chino che annaspo per la stanza in quella schiuma che, singhiozzando, bevo: riversandone l'inchiostro da occhi tinti di violaceo rossore.
Aria satura, finestra chiusa, finestra aperta.
Strido un sorriso innanzi la ringhiera quando fredda mi blocca;
ricordo il crine tagliente del suo metallo, mentre mi estraeva il dolore dal braccio, tra le urla tese delle vene del violino.
Rabbrividisco, mi volto: realizzo; pietrifico.
Tick-
tack-
tetri-
tentacoli-
di tenebra-
attendono-
contorti-
al ticchettio-
dei miei ultimi-
istanti.
Nodose spire intrecciate condensano di Venere la forma. Faccio ratto di istanti per colmare i miei pensieri di ció che fummo.
Mi abbandono sincero alle sue braccia; mentre lambisce l'incavo cuore mio colmandolo di catrame arrestandone lo scandire.
Serro le palpebre
per riaprirle nella pozza di cemento del mio ultimo respiro.
[Modificato da Metos94 03/09/2020 04:28]