al_qantar, 18/05/2009 22.51:
D’un tratto un essere, il poeta, comincia a percepire e comincia a provare quel senso di quasi dolore, a volte di smarrimento, altre di confusione, ma comunque di disagio che precede la creazione.
Frattanto quei suoni cominciano a salire da quel profondissimo e cominciano a formarsi i primi accenni di parole che tuttavia ancora non amalgamiamo in un verso; parole sparute, senza senso, che non si legano fra loro ma che servono a farci percepire vagamente cosa l’anima ha da dirci.
Poi, all’improvviso il primo verso! da questo momento già l’intera poesia è creata ma non ancora visibile.
A questo punto, se non riusciamo a seguire quei suoni quello che faremo e solo una poesia che viene dalla testa, cioè dall’esperienza e dalla capacità di renderla gradevole, ma se afferriamo anche solo uno di quei suoni il duende ci ha preso, è dentro di noi e allora la poesia diventa qualcosa che arriva direttamente dalle viscere del caos.
Molto interessante questo tuo studio, Sebastiano. L'ho letto più di una volta e all'ultima lettura, hai visto che ti ho corretto qualche errorino di ortografia che ho trovato qua e là.
Mi preme evidenziare il passo che mi sento più addosso. Quando compongo un testo, mi comporto esattamente così, seguo suoni che emergono e portano suoni ed altri ancora.
Purtroppo, a questo punto non mi fermo, perché in me scatta il lavoro di testa e riprendo, anche dopo qualche giorno la stesura grezza scaturita e inizio ad affinarla. forse come a vestirla per creare un filtro tra la mia anima e quella del lettore. Forse per un gusto mio minuzioso di cesellatura, forse per una componente caratteriale, non so, ma questo duende, secondo me è veramente presente solo nella parte grezza delle mie stesure poetiche. Salvo eccezioni naturalmente, di cose che escono e così rimangono, come love buzz la poesia di cui hai citato uno stralcio.
Grazie a te! Spero di leggere presto il prosieguo del tuo lavoro.
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Jai guru deva om
Nothing's gonna change my world