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Dario Bellezza

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2009 10:46
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14/07/2009 08:11
 
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Dario Bellezza (Roma, 5 settembre 1944 – Roma, 31 marzo 1996) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano.

Si impose all'attenzione del grande pubblico con l'Innocenza (1970) romanzo breve con il quale esordì, del quale Alberto Moravia scrisse la prefazione: storia di un'adolescenza tormentata con precise connotazioni autobiografiche. Seguirono i romanzi Lettere da Sodoma (1972) e Il carnefice (1973), ispirati anch'essi alle proprie esperienze personali. Dal 1978 inizia una collaborazione produttiva con Pellicanolibri. Angelo (1979) è una testimonianza commossa al grande amore della sua vita: la letteratura. Successivamente pubblicò Turbamento (1984), L'amore felice (1986) e Nozze col diavolo (1995).

Anche la poesia di Bellezza si è spesso ispirata a temi autobiografici, fra i quali spicca l'amore omosessuale (vissuto con un sofferto atteggiamento maledettista, nella ricerca ossessiva di un "bellissimo assassino" fra drogati e prostituti), risentendo inizialmente dell'influenza dei poeti simbolisti e dell'opera di Sandro Penna.

Muore in solitudine il 31 marzo del 1996 a Roma dopo un lunga malattia.





riporto in sequenza le poesie scelte dalla mia amica Maeba, che ultimamente si è occupata di questo autore

*



Forse mi prende malinconia a letto
se ripenso alla mia vita tempesta e di
mattina alzandomi s'involano i vani
sogni e davanti alla zuppa di latte
annego i miei casi disperati.

Gli orli senza miele della tazza
screpolata ai quali mi attacco a bere
e nella gola scivola piano il mio
dolore che s'abbandona alle
immagini di ieri, quando tu c' eri.

Che peccato questa solitudine, questo
scrivere versi ascoltando il peccatore
cuore sempre nella stessa stanza

con due grandi finestre, un tavolo
e un lettino di scapolo in miseria.



E se l'orecchio poso al rumore solo
delle scale battute dal rimorso
sento la tua discesa corrosa
dalla speranza.



*



Se un poeta, io, regalo al cupo silenzio
della notte metà del tempo che m' incalza
ostinato inquisitore di un corpo
sbalordito dall'abitudine, decomposto,
in ansia perpetua di non lasciare traccia
di sé nei corpi altrui o stampo caldo
nelle fresche leggere menti adolescenti



né la Storia, l'ordalia infernale
dei tiranni assetati di sangue e morte
non considero, ne viene anzi, rabbia,
sgomento, urlo lontano nella gola secca,
pianto sommesso o gridato, abbiate pietà!,
vi scongiuro, trattenete l'angoscia che sale
alle mie stanze, feritela, fate qualcosa!
grida la mia voce isterica e arrotata
dallo snobismo clientelare con il Diavolo;
ne viene tutto come meta finale un nulla,
un ghiacciato nulla senza escrementi
o virtù viziosa di drogato. Talché scrivo
in privato, di nascosto, che nessuno sappia,
per carità, madre di un attimo, amante

passeggero dentro un treno o una fratta,

scrivo un testamento o calendario, a seconda
dei temi giornalieri destinati dal Caso,
non umili o meschini o facili o malati
ma sempre datati come ogni cosa deriva
dall'anno il suo profumo e la menzogna,
spera di trovare l'occaso salutare
fuori di qui, terra bruciata, di nessuno
di là dal mondo certo e pellegrino.



*



Racconto l'affamato scontro di due vite
per impietrare nella vita idiota
la promessa felice della vittoria
sul ricordo del lupo e del pugnale
e voi assonnati adolescenti odorosi
di fumo presto sfiancati dalla maturità
rispettate il codice cupo di chi vi volle
strumento assurdo dell'eternità.



Il pane muffo e le patate bollite che mangiai
con uno di voi sonnolento buffone meritano
la muffa eterna della vigliaccheria o
la forza della misericordia che s'elimina
crescendo verso la dolcezza estrema
del suicidio più lento: vivere.



*



Come le stelle da secoli spente
ancora inviano lor luce splendente
ai nostri casti occhi che guardano
la luna e le stelle e tutto
il firmamento remoto,
amore solitario
il tuo pallido ricordo
arriva in ritardo all'appuntamento
sperduto nella vastità
della mia solitudine.

Arriverà la notte suicidale
a ricoverarci lo spremuto
cervello che s'accende ancora
di questo deserto e spaventoso
“A presto!”



*

Amato o no il mondo era vero
vero simulacro del fabbisogno di Dio
sembrava un sogno ad occhi aperti
occhi aperti sugli abissi e i confini del sonno

Sogno o son desto era il mio motto
le parole del cuore consolavano i pianti smisurati
gli assalti del cuore raggelavano i pieni
del cinema – la voluttà di baciare
Liside era spenta nelle braccia della fortuna.
Chiamate il bisogno – amaro o dolce -
della carne più sincero di ogni strazio
e ogni pentimento della ragione silenzio accorato.



*

LA PATRIA E' LA LINGUA



Per una mattina il male e il vero si confondono;
nessuna bestemmia per l'opera esaurita
da chi, come me, non spazia più nei sentieri
della poesia. Forse sbagliai arte, la sovrumana
fine non cercai con accanimento; non avevo
mestiere; così passai ad invidiare i pittori.
Ma quali? I mentali, tutti figurativi
e anormali, astratti e immaginosi vigliacchi
nel rifiuto dell'Antico e della Tradizione,

ma virili nell'accettazione del Caos
del mondo moderno. Creatori d'immagini, sì,
beati, mentre il poeta s'arrangia anche
in estreme parole, afferrando, magra
consolazione, che la sua patria è la lingua!

Assassino, scuoti il poeta, discreto infantile
tessitore d'inganni, scuotilo, con la tua magia:
fallo fuori con gli occhi della mente bruta;

calpesta l'orgoglio di chi rimane attaccato
alla Realtà! La Realtà non esiste, ma esiste
un mattino in cui ci si sveglierà perfetti
e ciechi nella ridondanza dei corpi,
o della loro fresca resurrezione. E noi saremo
là, angeli di fiamma e ghiaccio, a cantare
la gloria del Signore per aver saputo
registrare l'orrore del mondo mendico
in Marocco o a New York, non ha importanza.



*



La sedia di paglia si è rotta,
ne conservo solo lo schienale.
Fu regalo di un amico defunto
ormai sparito, suicida, arrivato
nel buio calmo degli Inferi.

A presto mi dice nel sogno
a presto dentro la stufa aspettando
l'Inverno dove butterai lo schienale
e della vecchia sedia non resterà
traccia, come noi mortali.
Diventerà fuoco, poi brace
piena di tizzoni ardenti
sfrigolando nel pianto sommesso

della cenere.
Tu, tu,

sempre tu
calzando mattutine babbucce
ti riscalderai al fiato
solenne di una statua

bottiglia di Centerbe.
_______________________________
Jai guru deva om
Nothing's gonna change my world

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09/09/2009 10:46
 
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beh! sarebbe bello scambiarci opinioni al riguardo. Non credete?
Tipo cosa ci colpisce o no, l'attenzione che si mette in alcuni passaggi, o semplicemente riportare quelli che ci sono piaciuti particolarmente...



"i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
www.francescacoppola.wordpress.com
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