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05/08/2007 07:37 | |
Ascolta
tra parola e parola,
,questo è il dono
amore mio
per il tuo amore
*******
per te
Non ho prime pietre
mi arrendo
in uno strato di foglie
alla forma del vento
raccolta in questa stanza
io sono soglia
Solo il mio corpo
è un tempio che amo e sudo
dove bestemmio, rinnego
mi assento
persa ritorno, e stringo
e benedico
lì è il disegno che potrai narrare
il tuo segreto
l’irraggiungibile certezza
di misura che riconosco
nel tuo respiro, figlio
Dedicata
Amavi il vento
e sapevi ridere forte
come la luce
sfiorare la penombra
in un sussurro lieve
nessuno può dirmi
perché si spezza
un arcobaleno
Ora ti faranno bere
per le nenie
soffiate dal centro della terra
e quel dondolio di mare
che corrode le sbarre
per esser vivo
nel silenzio di un fiore
nella tua croce di cotone bianco
senza sangue ti inseguo
nel buio la paura
sputi nel vuoto
giostre di echi
non sanno fermarti
non posso prenderti
ogni porta si chiude
sbiaditi echi,
dormi
Devi dormire.
Il muro
Oltre il muro
di un tempo senza spazio
tra balconi di ferro
esche di luce
aculei di voci concitate
la forza
schiacciata dall’asfalto,
oltre
immagino
chiedo
un manto di foglie nuove
un’alba intera, ancora
verde
come preghiera
Dove
Sfiorisce il vento
non ha più carezze
le vele sono rive
sudari su case in un dirupo
tessute trasparenze di memoria
vorrei una panchina di vecchi
spalle di tanti padri
sono una pausa che si chiede
in uno specchio d’acqua
rovesciata e rotta,
un gesto legato a questo tempo
e prego chissà cosa
nei non in cui rifugio
- grida indifese –
l’altrove di un silenzio
Diario
Con calma contenuta
nel solito vestito
scriveva ogni mattina
stretti tra i fogli
sono veli di fiori mai sfioriti
umidi sguardi
in alto, feriscono, imbruniti
pallidi segni
il mese, il giorno, l’ora
solo al principio la parola: inizio
ed alla fine la parola: fine
Ponte Sisto
Non so cosa mi pesa
un groppo in vita,
la cinta troppo stretta
la differenza
su questo ponte antico
tra il mio sigillo
e il grano
bianco, nel volto in alto
un suono di violino
tu che mi parli
e vedi
con gli occhi del tuo cane
mare
Mi troverai sospesa in questo centro
dove guardo tessute coincidenze
nodi vissuti in realtà sognata
a stento digerita in illusione
lampare intermittenti di una notte
reti tirate a riva nel mattino
e ancora brucia il sale sulla pelle
quando al risveglio chiama forte il mare
Fino in fondo
Fissa quel buco nella calza a rete
coperta di capelli come stracci
perduta, incisa, dentro uno schermo spento
nicchia di vetri e carta
ti spiega ripetendo
- qui non è la mia storia -
Svelta, nell’unto, una scopa avanza
Stazione di Trastevere, ore 6.00
Di schiena
Sfiora ogni notte la tua schiena ferma
ho posato un dolore sulla nuca
nel tronco senza abbracci
e la corteccia dura
sono l’ora, il mistero
l’uscio stretto e indifeso
un tempo perso, l’orizzonte chiuso
nella piccola luce che riversa
sbiadisce
senza un voltarsi indietro
Tramonti
Mi chiedi di spiegare un mutevole intenso
l’oro che brucia i seni della terra
il rosso nelle croci di una vigna
lo stupore delle gocce su una foglia
ma tu sai, l’inverno stringe pugni d’avorio,
e in un cono di luna che m’inchioda
c’è il desiderio che non riconosco
e non sarà mai sazio
prima di sera
piccola
mi svelo
nell’ombra scavata di un cratere
sfoglio il volto, il corpo
la scena
vuota nella paura, indietro, vado
e sono
speranza, che trema
e sembra un cuore
mai
Di te non parlo
sei voce nel morso che mi tiene
l’albero solo, il ferro dritto
nella radura, il dentro,
E nel tuo fermo non muti
le direzioni, i disegni
che lasciano un andare
Ti seguo tra gli schiaffi del vento
nell’ipnosi intera di un silenzio
che è spazio dove si perde il dove
e non mi appartiene
e non mi abbandona, il mai
R.Capa - Spagna 1936
La spinta è tirata dall’ombra
piegata in un grido di tela,
,rapito in pensieri spaccati
su pelle di carta incolore
sei oscuro confine, la fine
di un attimo breve. Per sempre,
chissà se volevi i miei occhi
la sedia
Hai tolto la tua sedia
ora cammino scolpita di nebbia
spacco pietre, scortico cortecce
rubo memoria nelle vene e sosto
con occhi circolari
In una mano stringo forte un fiume
il taglio nel soffio più lontano
Ma non temere per me
conosco il nome di ogni antenna
lo so, se credo
in questo tempo sacro di niente
io cado
Figlio
In te sento la voce della terra
Sei oltre la soglia, la mia rimanenza
nei tuffi del tuo sangue
Io, aria nell’aria
un vibrare di notte nel suo cielo infermo,
ho vene calde
rifugio, legno
per l’eco infinito dell’ultima tua spinta
nel mio corpo. Dentro
Ancora
Mi chiedo
nelle bocche impagliate
in mani allungate premute sui vetri,
c’è un riflesso che sposa
e i resti di un mercato
e sangue bruciato tra le gambe aperte.
Un ritmo battente insegue un altro come
nel silenzio che invade
poi niente.
Mentre ancora mi chiedo
ancora
Limiti
Ogni ritratto è un amen
l’affaccio di un’edera, l’insegna
lo spazio informe, dilatato
l’idea che teme, tra il corpo e il suo bastone,
c’ è un corridoio estraneo nella congiunzione
un valico di luci oltre la linea
frontiera indefinita, consunzione
in me, senza riparo. I limiti
Modificato da pierrot-- 05/08/2007 7.56 |