il "duende" negli autori di Calliope

al_qantar
lunedì 18 maggio 2009 22:51
Credo che ci sia un suono ad accompagnare ogni parola ed ogni verso, e credo che questo suono sia proprio all’origine della parola stessa.
Immaginiamo per un attimo che in un luogo primitivo della nostra anima vi sia come una cava di cristalli in cui si generano vibrazioni e che queste vibrazioni condensate diventino suoni o protosuoni indefiniti, ma che già hanno dentro tutti i geni dell’armonia.
D’un tratto un essere, il poeta, comincia a percepire e comincia a provare quel senso di quasi dolore, a volte di smarrimento, altre di confusione, ma comunque di disagio che precede la creazione.
Frattanto quei suoni cominciano a salire da quel profondissimo e cominciano a formarsi i primi accenni di parole che tuttavia ancora non amalgamiamo in un verso; parole sparute, senza senso, che non si legano fra loro ma che servono a farci percepire vagamente cosa l’anima ha da dirci.
Poi, all’improvviso il primo verso! da questo momento già l’intera poesia è creata ma non ancora visibile.
A questo punto, se non riusciamo a seguire quei suoni quello che faremo e solo una poesia che viene dalla testa, cioè dall’esperienza e dalla capacità di renderla gradevole, ma se afferriamo anche solo uno di quei suoni il duende ci ha preso, è dentro di noi e allora la poesia diventa qualcosa che arriva direttamente dalle viscere del caos.

“Allora La bambina dei pettini si alzò come una folle, gobba come una prefica medievale, trangugiò d’un sol sorso un gran bicchiere d’acquavite come fuoco, e si sedette a cantare senza voce, senza fiato, senza sfumature, con la gola riarsa, ma con duende. Era riuscita a uccidere l’intera impalcatura della canzone per cedere il posto a un duende furioso e rovente, amico dei venti carichi di sabbia, che induceva gli ascoltatori a stracciarsi le vesti quasi al medesimo ritmo dei negri antillani del rito ammassati dinnanzi all’immagine di santa Barbara. (Federico G. Lorca)”

Ecco, da questo passaggio di Lorca si comprende che non sono necessarie grandi parole o grandi esperienze. Ci ricorderemo della grande Janis Joplin che con una voce pressoché inesistente riusciva ad indemoniare decine di migliaia di spettatori col duende. E si possono citare tantissimi artisti come Il Goya, Picasso…
Ma non voglio allontanarmi dal nostro piccolo mondo vorrei rimanere dentro il nostro salotto e parlare delle nostre lotte
con questo demone che ci prende ma che ci fa percepire dagli altri interamente.

“Ogni uomo, ogni artista, ogni scala che sale nella torre della propria perfezione è il prezzo della lotta che sostiene con un duende, non con un angelo, come si è detto, né con la sua musa. È necessario operare tale fondamentale distinzione per la radice dell’opera” sostiene Nietzsche; “L’angelo abbaglia, ma vola oltre la testa dell’uomo, è al di sopra, dirama la sua grazia e l’uomo, senza sforzo alcuno, realizza la propria opera, la propria simpatia o la propria danza. La musa detta e, in talune occasioni, soffia. Può abbastanza poco, perché è già lontana… Di contro, il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue.” ci insegna Lorca ed è da questi insegnamenti che voglio partire ed il primo esempio ce lo da il nostro Mamundi-Leonardo:

io non ascolto che il latrare dei cani
sotto casa mia
e quando a notte fonda vado a letto
mi sembra di avere appiccicato il mondo
dentro quel fottuto abatjour
che mi ferisce gli occhi


Ecco in questi versi, seconda strofa di “Fottuto mondo”, è palese la lotta tra il poeta ed il suo demone, la sofferenza sotto forma di rabbia, di delusione. Mi sembra di percepire ogni pesante sospiro o il digrignare dei denti mentre sta creando perché sta creando con duende. A questi versi vorrei contrapporre questi di
Filodiseta-Daniela:

vorrei vederti amore, sì amore
mostrare il mormorio
che è mio dai primi odori
sull’uscio a strattonare il vento
sgusciare grani
tra vestiti e festa


Anche qui c’è la sottile presenza, ma su un’accordatura differente, un registro che sa di brezze e fiori nel deserto, dell’eterna lotta tra l’effimero ed il tempo, la dove una stilla d’acqua è una divinità, dove la morte è presente come la sabbia e le pietre e una palma rappresenta l’attimo precedente o successivo al dolore, e mai l’adesso. Non mi interessa se siano bei versi o meno, ma è quello che risvegliano l’importante e quando una poesia rievoca emozioni vuol dire che è stata in grado di svegliare anche il demone nel lettore cosi come gli spettatori della Joplin.


Una via mediana a questi due “estremi” la trovo in alcuni versi di Ecat-Mirella da “Cosa resta delle rose”

un odore dolciastro di parole nascoste
questo resta delle rose
lo stupore che dell'altro innamora
quando tutto è silenzio

e di noi rimane indietro una curva
un accenno
il ritrovarsi nei fuochi
nell'acqua


dove si sente il dramma del finito, di qualcosa che non può più tornare. Qui la smania si muove come un liquido molto denso; qui il demone è come in uno stato di torpore, si muove appena e lascia spazio a quell’aristotelico pathos che cresce, attraverso il logos e si rivela nell’emozione che suscita. Devo dire che in questi versi, ma in generale nella scrittura di questa autrice, emerge un certo “Fado” un tantino inquinato da una cultura geograficamente distante da quella fadista, ma il “dolciastro un po’ avvelenato delle rose appassite, il silenzio, la curva degli spazi vuoti ed infiniti, i fuochi e l’acqua sono i suoni di un ritmo ancestrale che si muove dentro le viscere.


“Il duende ama il bordo, la ferita, e si avvicina ai luoghi dove le forme si fondono in un anelito superiore alle loro espressioni visibili. (F.G.Lorca)” e l’esempio lo abbiamo dentro casa con Francesca Coppola.

Vale la pena sedersi su qualche
viola e non vedere quanti niente
attraversano maestosamente l'aria?


oppure

Ignorami
sono il sangue che scorre
nel più sontuoso arcobaleno


Ecco solo due dei numerosi esempi che potrei portare. Qui si può notare come quel liquido denso di Ecat-Mirella diventa magma furioso che cerca un’uscita, la Coppola sveglia il duende con velocità e azzardo al punto che spesso questi la supera e tutto il meccanismo diventa proprietà dell’inconscio. Non ci sono vie mediane, la poetica di F.C. nasce, cresce e muore nell’essenza di un unico vortice.
Più cauta trovo Maredinotte-Roberta ma pur sempre carica di quella magia che fa scorrere l’emozione a volte come un pacato, ma inarrestabile fiume a valle altre come le rapide del Colorado nel Gran Canyon, aprendo tutte le porte dell’anima di chi legge.

Filtrami tra i colori del rosone
scomponimi primitivo
caleidoscopico, radiale
Richiamami il sonno


che contrappongo a:

affogando in me, con me
di me, per me
senza sapere come

al respiro sostituendo

incandescenze


sempre di Roberta, a dimostrazione di come si muovono, si intensificano o si affievoliscano le tonalità di questa poetessa di frontiera senza tempo definito, che riesce a spaziare tra il blu ed il rosso senza sfiorare minimamente il banale.

Altro autore che non posso non citare e che ritengo fra i migliori sia tecnicamente che strutturalmente è ViolaCorsaro-Mattia. Innumerevoli sono i testi che mi piacerebbe proporre ma, in particolare, qualcuno mi ha preso fortemente. Uno di questi è “Terra mia”

Ah i campi! Potessero esser tutti vigne,
da annegare ciascuno di quei sassi che spezzano
tante ginocchia quanti aratri senza distinzione
riempiendo botte e bocche, di fatica e di niente.


Qui, la narrazione del lento sud arso, pirandelliano, verista e vero ma lento, è carica di quel Duende che riesce a trasmettere l’odore della terra secca, del sudore di chi la lavora, dei vestiti neri di tante madri mutilate delle loro ambizioni e femminilità, dell’ignoranza, della caduta di alcuni valori ma contemporaneamente dell’innalzamento di altri che non portano a niente se non la conservazione di alcune schiocche tradizioni. ViolaCorsaro che avvicino a Filodiseta con la sua “Le cattedrali”

davanti a te, oh figlio
da battezzare l’acque, sciogliendo
corsi ai piani, per tramandare
meriti alle madri


non solo per la vicinanza nella struttura semantica, ma anche nei risvolti tonali, ViolaCorsaro dicevo rimane uno dei maggiori poeti di questo salotto. A lui posso contrapporre poeti come
Il Complice-Francesco il cui duende si respira verso per verso e Anemonephobia-Antonio che però, a differenza di Francesco sembra che tema le sperimentazioni rimanendo per il momento e pericolosamente ancorato alla sua pur bella ed incantevole poesia. Opposti in questo senso, Francesco ed Antonio, molto simile è invece il loro demone che riesce, con gli stessi suoni e con differenti colori ad emozionarci incredibilmente. Ambedue, comunque, autori che intendo riprendere.

Con questo studio non voglio assolutamente fare critica, ma esprimere il mio punto di vista partendo dall’esperienza e dallo studio personale delle fondamenta della poetica. Vorrei più spazio per tracciare i profili dei nostri autori, affinché chi li legge li possa apprezzare con maggior profondità. E' scontato che più si conosce di un autore e più si possono notare dettagli che altrimenti sfuggirebbero, ma non voglio suscitare in voi quegli sbadigli da caimano per una lettura lunga, che facilmente può diventare noiosa.

Autori come Ginevra-Giusy, Rebby- Carla, Morgan4-Simina, Apassoleggero-Anna, Elfo nero-Alessandro, Cino720-Vincenzo, AltaMarea-Chiara ed altri che mi sfuggono in questo momento (per favore non me ne vogliate) dei quali ho molto da dire ma in un contesto diverso, cioè in uno studio sulla poetica che verte però sulla filosofia aristotelica, dell’Ethos, del Logos e del Pathos.

Grazie!
Francesca Coppola
mercoledì 20 maggio 2009 21:26

Uno studio molto interessante è che vorrei arricchire ulteriormente cercando a mio avviso il tuo duende, nel frattempo vorrei inserire questa ricerca su google, che mi pare alquanto esplicativa:


Il Duende è uno stato d'essere, una caratteristica che accomuna l'arte in continua ricerca, evoluzione, mutazione. Esso va risvegliato, nutrito e cresciuto. È al tempo stesso l'amore verso questa stessa arte che sottintende, è la magica forza della musica, della danza, della poesia, l'energia e il carisma che le rende impossibili alla ripetizione ma costanti nella mutazione creativa.

“Quando un artista mostra il duende non ha rivali...Tutto ciò che ha suoni oscuri ha duende. Questi suoni oscuri sono il mistero, la radice che affondano nel limo che tutti noi conosciamo, che tutti noi ignoriamo, da dove proviene ciò che è sostanziale...quando sopraggiunge presuppone sempre un cambiamento radicale di ogni forma rispetto a vecchi piani, dà sensazioni di freschezza del tutto inedite, con una qualità di rosa appena creata, di miracolo, che produce un entusiasmo quasi religioso...
Il duende è energia, un'energia che capita di suscitare, richiamare (non c'è mappa né esercizio), è il desiderio del desiderio, un'energia che arriva da sotto i piede come a certe ballerine, o dal fondo della gola come per certi cantanti. Un'energia che accade, e accade talmenteda non poter passare inosservata o impercepita, sempre diversa, come i disegni che formano le onde dell'oceano, ma sempre uguale e riconoscibile come tale da tutti.”

(Federico Garcia Lorca)


Francesca Coppola
mercoledì 20 maggio 2009 22:02

Beh! io non ho l'abilità tua nella critica, mi lascerò guidare dalle sensazioni di alcuni passi che sono andata a ricercare perchè mi avevano allucinato...


Chi mi terrebbe nell’incrocio dei lini,
fra le pieghe della quercia,
dietro le anse o ai lati
o dentro la corolla congiunta
delle mani?

L'arrivo è fortemente malinconico, mi pare di vederti lì , seduto su una roccia, con le mani fra le mani, a chiederti l'improbabilità degli eventi. Mi giunge carico d'intenti mancati, perplessità più che mai condivisibili e la paura della solitudine regna, non ha rivali.



Non ho paura d’averti
ma nemmeno di perderti
stanza e cose mie


Qui, invece cambi il verso, appare la tua decisione, fermezza, quella consapevolezza dell'effimero, del non eterno materiale e prevale la parte spirituale.


Voglio tutto quel niente che ci ha fatto grandi
per giocare, per riderci, morirci
come quando dissi per la prima volta
“finalmente mamma! dov‘è mio padre?”


in questa risvegli i sensi, mi arriva come un colpo di sciabola ad arte e mi sanguina la vita leggendoti.


Tu, degli accartocciati ricordi,
del sogno da fare, delle corde leggere,
delle tastiere e delle cantine buie.
La stessa tu del caffelatte e delle spiagge deserte
e del fare l’amore.


Ecco un passo altamente romantico e fortemente evocativo. Riesci a dire cose semplici ma cariche di pathos che rapiscono l'emozione.



Priorità è il giorno che va via
quando il buio mi afferra
e mi fa sparire tra i bottoni
e non -dimmelo adesso-


è immediato, lampante, quasi invasivo, leggo e rileggo non capisco, ma prendi e poi ci rifletti, scorri con la fermezza di un destriero d'altri tempi, ma inali paura evidente nella nervosià del ritmo.



In quali sensi sei entrata
sesti, settimi, mentre cammini
nel mio giardino di sedie
come una artista che recita
le parti senza virgole...



Ti trovo nei contro della luna
senza spiegazioni e fra le pieghe
dei cuscini dell’alba arricciata
sull’edera sui balconi

penzoloni e con me


Questi due passi me li sono ricopiati tempo fa, la tua poesia è avvolgente, è universale, mi rende protagonista, permette l'immedesimazione mi fa diventare un tassello di quel mosaico che componi giorno dopo giorno ed è per questo motivo che pur non conoscendoti all'inizio, mi sono lasciata trascinare nei meandri del tuo verso.

Il tuo duende è ricamato e cambia vesti al nano secondo. Sei versatile e questo comporta uno stile non definito, spazi bene in tutto.







al_qantar
venerdì 22 maggio 2009 13:59
Mi piace!
Quello che hai fatto cara Francesca, un bel tantino mi commuove ma soprattutto rimuove la pietra che ho posto sulla mia "vanità" anche se per un attimo. Normalmente mi imbarazza quando si parla di me, ma tu sei andata a cercare il "peggio" ed il piacere che mi ha fatto è stato grande.
Ma è dall'esterno che lo voglio osservare e devo dire che ben mi conosci come autore. Bel lavoro Fra che non può che piacermi sia come oggetto in causa che come autore in questo Forum.

Grazie

Sebastiano
al_qantar
venerdì 22 maggio 2009 14:01
Mi piacerebbe che il discorso non si chiudesse qui e che possa nascere un costruttivo dibattimento per allargare l'argomento che credo interessi tutti noi.

Che dite ci proviamo?

Sebastiano
Francesca Coppola
venerdì 22 maggio 2009 14:31
Offro altri spunti presi da google per avviare un dibattito:

Angelo e musa vengono da fuori; l’angelo dà luce e la musa dà forme (da loro apprese Esiodo). Pane d’oro o piega di tuniche, il poeta riceve regole nel suo boschetto di alloro. Di contro, il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue.

E respingere l’angelo e tirare un calcio alla musa, e perdere la paura della fragranza di violette che esala la poesia del Settecento e del gran telescopio nei cui cristalli s’addormenta la musa malata di limiti.

La vera lotta è quella con il duende.

Si conoscono le vie per cercare Dio, dal rude modo dell’eremita a quello sottile del mistico. Con una torre come santa Teresa, o con tre vie come san Giovanni della Croce.

E anche se dovessimo esclamare con la voce di Isaia: «In verità, tu sei il Dio ascondito!», alla fine Dio invia a chi lo cerca le sue prime spine di fuoco.

Per cercare il duende non v’è mappa né esercizio. Si sa soltanto che brucia il sangue come un topico di vetri, che prosciuga, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili, che fa sì che Goya, maestro nei grigi, negli argenti e nei rosa della migliore pittura inglese, dipinga con le ginocchia e i pugni in orribili neri di bitume; o che spoglia Don Cinto Verdaguer con il freddo dei Pirenei, o porta Jorge Manrique ad attendere la morte nella landa di Ocaña, o copre con un vestito verde da saltimbanco il delicato corpo di Rimbaud, o mette gli occhi da pesce morto al conte di Lautréamont nell’alba del boulevard.

I grandi artisti della Spagna meridionale, gitani o flamenchi, sia che cantino, ballino o suonino, sanno che non è possibile nessuna emozione senza l’arrivo del duende. Essi ingannano la gente e possono dare sensazioni di duende senza averlo, come vi ingannano tutti i giorni autori o pittori o stilisti letterari privi di duende; basta, però, prestare un minimo di attenzione, e non lasciarsi guidare dall’indifferenza, per scoprire la trappola e metterli in fuga col loro rozzo artificio.

fil0diseta
venerdì 22 maggio 2009 14:34
certo che ci proviamo


al_qantar, 22/05/2009 14.01:

Mi piacerebbe che il discorso non si chiudesse qui e che possa nascere un costruttivo dibattimento per allargare l'argomento che credo interessi tutti noi.

Che dite ci proviamo?

Sebastiano




Per cominciare, do al topic un periodo di piena visibilià in questa sezione. Merita, perché è uno studio che riguadra tutti i nostri poeti. Merita perché è frutto della generosità e della passione di Sebastiano, che non finirò mai di ringraziere per le belle cose delle quali ci rende partecipi.


[SM=g27998]
anumamundi.
venerdì 22 maggio 2009 15:23
Da perfetto Ignorante non avevo mai sentito parlare del duende.
Ho letto con estremo interesse e credo rileggerò ancora perché la cosa merita approfondimento. Mi scuso fin da ora se non riuscissi ad apportare il mio contributo, ma reputo questo, un argomento che necessità di una ricerca non superficiale, come dimostrano gli interventi finora succedutisi, ed in questi giorni il mio tempo lo sto dedicando ad altro.
Ancora una volta devo, con piacere, a fare i complimenti a Sebastiano per l'entusiasmo che infonde nei suoi interventi e per l'appropriatezza dell'argomento trattato.

Davvero bravo!!! [SM=g28002] [SM=g28002]
filodiseta--
venerdì 29 maggio 2009 08:08
Re:
al_qantar, 18/05/2009 22.51:


D’un tratto un essere, il poeta, comincia a percepire e comincia a provare quel senso di quasi dolore, a volte di smarrimento, altre di confusione, ma comunque di disagio che precede la creazione.
Frattanto quei suoni cominciano a salire da quel profondissimo e cominciano a formarsi i primi accenni di parole che tuttavia ancora non amalgamiamo in un verso; parole sparute, senza senso, che non si legano fra loro ma che servono a farci percepire vagamente cosa l’anima ha da dirci.
Poi, all’improvviso il primo verso! da questo momento già l’intera poesia è creata ma non ancora visibile.
A questo punto, se non riusciamo a seguire quei suoni quello che faremo e solo una poesia che viene dalla testa, cioè dall’esperienza e dalla capacità di renderla gradevole, ma se afferriamo anche solo uno di quei suoni il duende ci ha preso, è dentro di noi e allora la poesia diventa qualcosa che arriva direttamente dalle viscere del caos.




Molto interessante questo tuo studio, Sebastiano. L'ho letto più di una volta e all'ultima lettura, hai visto che ti ho corretto qualche errorino di ortografia che ho trovato qua e là.

Mi preme evidenziare il passo che mi sento più addosso. Quando compongo un testo, mi comporto esattamente così, seguo suoni che emergono e portano suoni ed altri ancora.
Purtroppo, a questo punto non mi fermo, perché in me scatta il lavoro di testa e riprendo, anche dopo qualche giorno la stesura grezza scaturita e inizio ad affinarla. forse come a vestirla per creare un filtro tra la mia anima e quella del lettore. Forse per un gusto mio minuzioso di cesellatura, forse per una componente caratteriale, non so, ma questo duende, secondo me è veramente presente solo nella parte grezza delle mie stesure poetiche. Salvo eccezioni naturalmente, di cose che escono e così rimangono, come love buzz la poesia di cui hai citato uno stralcio.


Grazie a te! Spero di leggere presto il prosieguo del tuo lavoro.



Ariel_AltaMarea
venerdì 29 maggio 2009 17:06
Interessantissimo, a dir poco, grazie del tuo lavoro, Sebastiano.

Mi accodo ad anumamundi, non posso essere molto presente per ora (e soprattutto in tal caso cmq non avrei la competenza per dare contributi sul tema) ma sappi Sebastiano e sappiate tutti che leggo con estremo interesse e curiosità i vostri interventi su questi temi, che trovo molto utili e stimolanti sulla via della propria crescita poetica [SM=g27985]
filodiseta--
giovedì 11 giugno 2009 14:32
si tratta di un pezzo che ha pubblicato un'amica su facebook e che ho condiviso. contiene alcuni passi, che pur essendo già stati proposti da Francesca, non sto a togliere per non privarne il contesto.



"Manuel Torres, grande artista del popolo andaluso, diceva a uno che cantava: «Hai voce, conosci gli stili, ma non ce la farai mai, perché non hai duende»."

"Il meraviglioso cantaor El Lebrijano, creatore della debla, diceva: «I giorni che canto con duende non conosco rivali»; un giorno La Malena, la vecchia ballerina gitana, sentendo suonare da Brailowsky un frammento di Bach esclamò: «Olé! Questo sì che ha duende!» e si annoiò con Gluck, con Brahms e con Darius Milhaud. E Manuel Torres, l’uomo di maggior cultura nel sangue che io abbia conosciuto, ascoltando dallo stesso Falla il suo Notturno del Generalife, pronunciò questa splendida frase: «Tutto ciò che ha suoni neri ha duende». Non c’è verità più grande.
Questi suoni neri sono il mistero, le radici che affondano nel limo che tutti noi conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da dove proviene ciò che è sostanziale nell’arte."

"Così, dunque, il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare. Ho sentito dire da un vecchio maestro di chitarra: «Il duende non sta nella gola; il duende sale interiormente dalla pianta dei piedi». Vale a dire, non è questione di facoltà, bensì di autentico stile vivo; ovvero di sangue; cioè, di antichissima cultura, di creazione in atto."

"Questo «potere misterioso che tutti sentono e nesun filosofo spiega» è, insomma, lo spirito della terra, lo stesso duende che abbracciò il cuore di Nietzsche, il quale lo cercava nelle sue forme esteriori sul ponte di Rialto o nella musica di Bizet, senza trovarlo e senza sapere che il duende da lui inseguito era saltato dai misteriosi greci alle ballerine di Cadice o al dionisiaco grido strozzato della seguiriya di Silverio.
La musa sveglia l’ intelligenza, reca paesaggio di colonne e falso sapore di lauro, e spesso l’ intelligenza è nemica della poesia, poiché imita troppo, poiché eleva il poeta su un trono di spighe acute e gli fa dimenticare che all’improvviso se lo possono mangiare le formiche o gli può cadere sul capo una grossa aragosta di arsenico, contro la quale nulla possono le muse che stanno nei monocoli o nel rosa di tiepida lacca del salotto."

"Per cercare il duende non v’è mappa né esercizio. Si sa soltanto che brucia il sangue come un topico di vetri, che prosciuga, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili, che fa sì che Goya, maestro nei grigi, negli argenti e nei rosa della migliore pittura inglese, dipinga con le ginocchia e i pugni in orribili neri di bitume; o che spoglia Don Cinto Verdaguer con il freddo dei Pirenei, o porta Jorge Manrique ad attendere la morte nella landa di Ocaña, o copre con un vestito verde da saltimbanco il delicato corpo di Rimbaud, o mette gli occhi da pesce morto al conte di Lautréamont nell’alba del boulevard."

"Spesso il duende di un musicista passa al duende dell’interprete e, altre volte, quando il musicista o il poeta non sono tali, il duende dell’interprete, e ciò è interessante, crea una nuova meraviglia che, all’apparenza, altro non è se non la forma primitiva. È il caso della induendata Eleonora Duse, la quale cercava opere fallite per portarle al successo grazie alla sua capacità inventiva, o il caso di Paganini, riferito da Goethe, che sapeva trarre melodie profonde da autentiche volgarità, o il caso di una deliziosa ragazza di Puerto de Santa María, che io vidi cantare e ballare l’orribile canzonetta italiana Ohi Marí!, con dei ritmi e dei silenzi e un’intenzione che trasformavano la paccottiglia italiana in un duro, eretto serpente d’oro. Ciò che in realtà avveniva in quei casi era un qualcosa di nuovo che nulla aveva a vedere con quanto esisteva prima; veniva immesso sangue vivo e scienza in corpi vuoti d’ogni espressione."

"Il duende Ma dov’è il duende? Dall’ arco vuoto entra un’ aria mentale che soffia con insistenza sulle teste dei morti, alla ricerca di nuovi paesaggi e accenti ignorati; un’aria con odor di saliva di bimbo, di erba pesta e velo di medusa che annuncia il costante battesimo delle cose appena create."

(da “Il duende, Teoria e giuoco” _ Federico Garcìa Lorca)
Di più qui: www.antoniogramsci.com/garcia-lorca/prosa_ita.htm
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