CANTO D'ACQUA

Violadaprile
venerdì 22 gennaio 2016 04:46
Canto d'acqua.


Ma come, ma come, ma come. Com'è che non ti vedo. Seduta su un gradino della casa, lo sguardo corrucciato fisso su uno spazio vuoto tra me e la ghiaia, gioco con le dita dei piedi. Dal bosco risponde la risata delle foglie, lo schiocco dei rami, il cigolio dei tronchi eterni. Non mi volto.
All'ombra del melo la grande pietra piatta si fa beffe della mia fragilità. Ombra grigia, perlacea, che quasi non si distingue dal grigio opalino della luce di una pioggia che ancora non ha finito di cadere. E impregna l'aria, con grande senso di appartenenza.

Lungo la sponda verticale del torrente i sambuchi estendono i loro ombrelli biancastri, trine di minuscole punte odorose. Si distendono vanitosi mentre la linfa sale nel legno antico e interrotto dei cespi, invade le foglie nuove, perfora i capolini per mutarsi in profumo.
Alzo le spalle, arrabbiata, e chiudo gli occhi, ignorando le ultime viole e le prime lantane. Dove sei?
Oltre i sambuchi scorre l'acqua, violenta, allegra, iperbolica. Come sempre quando c'è. Irridente e solitaria. Non voglio andare a guardare, non voglio essere nuovamente catturata. Non oggi, non oggi, non oggi! La tua assenza mi taglia come una lama. Ma l'acqua canta, di sasso in sasso, di dirupo in dirupo. Smetto di pensare. Già sto camminando.

Esco dal cancello a sud e mi trovo sul ponte di sassi, poche pietre che si reggono sull'abisso, cigolando fra una sponda e l'altra, spingendosi l'un l'altra come uccelli sul ramo, per sorreggersi. I muschi, col loro vago chiarore nascosto, abbracciano la sussurrante fatica. Mi sfilo la veste di fiori e la lascio cadere, scivola a terra senza rumore. Con cautela mi siedo, le gambe penzoloni, guardo in basso. L'acqua sotto di me rimbalza in schegge accese, trasparente e morbida sulla pietra dura. Trova la sua strada seguendo le inclinazioni, con irregolare e perentoria cadenza. Improvvisa, come sempre, mi prende la malia.
Adagio divento diafana, adagio mi sciolgo, comincio a gocciolare dalla sponda su cui mi trovo, scorro. Ormai priva di forma mi unisco, goccia con le gocce, flusso col flusso, rimbalzando scorrendo ridendo la mia risata d'acqua insieme alle mille gocce del torrente. Lascio veli umidi sulle felci, pozze fra gli equiseti caprini, stille sulle lance dei gigli rossi non ancora aperti. Dove sei? Dove sei? Ogni goccia canta un richiamo frazionato come un prisma. Lascio le pietre scoscese dietro di me, lascio i licheni luminosi, raggiungo i lunghi steli delle graminacee ancora senza spighe, i giunchi esili, il canneto.

Acqua nell'acqua, mi lascio vagare, ritraendomi e distendendomi come un respiro. Come la mente di un'ameba primordiale, raduno le ife e le lancio in avanti, le raccolgo ancora, inseguendole, mi sposto. Seguendo il contorno dell'acqua, ecco il lago. Fermo. Come sempre.
Sospiro, con l'ultimo dei miei respiri, e mi allargo informe presso la riva. Come una rana virtuale, raduno un po' di molecole e sporgo due occhi. La casa è sempre al suo posto (ma quale posto) e l'acqua dei canali scorre tranquilla. Non ti vedo. Ma l'acqua dei canali fluisce dovunque, la sento che mi penetra e si confonde. Mi adagio sulla superficie, velo d'acqua sull'acqua, e ti sento arrivare.



Canto d'aria.


Il vento passa piano sulla superficie, e mi solleva. Vento e acqua, vento e vapore, vento e nebbia. Il cielo si è fatto scuro, riflette la nera acqua del lago, ferma e misteriosa. Nell'aria mi comprimo e mi dilato, in vortici, trasfondendomi nei vapori bassi che risalgono la riva. Di nuovo il greto, di nuovo la riva, di nuovo l'erba. Un'erba azzurra e diseguale. Passo leggera sulle superfici verdi e grigie che percorrono il sentiero, senza piegare gli steli. I tuoi canali fruscianti e lontani già mi mancano, come uno strappo doloroso.

Dove sei? La tua presenza fa vibrare l'aria, fa vibrare me nell'aria. Respiro in folate risalendo, rallentando, impigliandomi in ogni arbusto spinoso, precipitandomi in improvvisi mulinelli, discontinua e leggera, verso la casa. La calda casa di legno dove troverò la tua presenza. Dispersa in molecole vaghe, mi insinuo ovunque, fra le erbe basse, fra i sassi, fra gli assiti, nelle fessure, nella larga voragine del camino acceso, che mi arroventa. Entro come una breve tempesta, inarrestabile. Mi placo vedendoti.

Con correnti d'aria lieve, dentro la casa, ti circondo, ti avvolgo, mi insinuo nelle maniche corte e fra i capelli. Distratto, ti alzi, apri e richiudi una finestra, torni a sederti davanti al fuoco basso. Chino in avanti, una domanda negli occhi, rimesti con un ferro nelle fiamme basse. Lo sguardo sospeso fra te e il fuoco, attento ad ogni sussurro. Sento la mia voce dalla stanza di fianco, dove sbrigo qualcosa, irreale, appena un'eco. Ti vedo guardarti intorno, come stupito da un'assenza.
Rallento e ti passo adagio sulla pelle, carezzevole. Ti sfioro le labbra, non sai che sono nell'aria, sono l'aria che ti accarezza. Ti passo dita d'aria sulle ciglia velate. Ti guardi intorno, come stupito da una presenza.
Scuoti la testa, sbattendo appena gli occhi, e torni a rimestare nel fuoco.



Canto di fuoco e d'ombra.


Mi avvolgo e mi aggiro di fronte a te, fra le lingue di fuoco. La furia chimica mi infiamma sino a profondità quantiche. La tua mano che impugna il ferro è pericolosamente vicina. Come una quasar pulso ritmicamente. X Cigni. Mi sento sprofondata in abissi stellari. Vederti, seduto sulla tua panca, assorto nel tuo pensiero, mi fonde in gocce laviche. Il mio calore si riflette sul tuo viso, arrossandoti.

Penetro nel legno acceso e spando voci chioccianti e sfrigolanti, col suono delle gocce morenti nel fuoco. Ti chiamo e non mi senti - mi profondo in vampate che non ti fanno avvicinare. Ti vedo muoverti fra ombre rosse e brune, sempre più brune mentre la fiamma si spegne. Mi insinuo nell'ombra mentre si smorzano le ultime braci, un velo di polvere umida mi ricopre, dandomi di nuovo una forma. Ti muovi nella stanza. Solo il tuo sguardo perplesso, che passa da un oggetto all'altro senza quasi vederlo, rivela la tua attesa. Un lungo brivido, che non ti spieghi. Ti vedo, ma non posso raggiungerti. Mi senti ma non mi puoi toccare.

Mi avvicino, piccolo vortice di lamine riarse fra le brune ombre intermedie, mi avvicino, poche scintille nella polvere e nei vapori rotanti, come lucciole nel buio di un improbabile agosto. Ti stupisci e mi guardi, fai per allungare la mano, esitando ... ma no, non voglio, l'ardore che mi incenerisce deve restare in me o distruggerebbe entrambi. Di schianto, davanti ai tuoi occhi allibiti, alla tua mano tesa, mi svuoto al suolo, lasciando, sugli assiti, solo un cerchio solo un'ombra di polvere umida. La mia anima d'aria, diritta davanti a te, acquosa e vibrante, ti vede avvicinare. E palpita.



Canto di terra.


Mi muovo appena. Respiro appena. Ma ormai, forse, mi hai vista. Senza riflettere tendi di nuovo la mano al nulla. -Dove sei?- sembrano chiedere i tuoi occhi. Senza riflettere, prendo la tua mano tesa e ti guido all'esterno. Mi segui, come se davvero ti tenessi. Ti avvolgo nella mia vaporosa presenza e ti spingo ad andare. -...Dove sei?- Mi chiedi di nuovo parlando al vento. Cammini, seguendo i miei passi invisibili, fino al bordo del canale.
La riva terrosa si scioglie nell'acqua scura e lenta, dapprima in pozze, poi in piccole frane. Infine precipita in fontane oscure. L'acqua l'accoglie ma non pare intorbidirsi. Altra terra sopraggiunge, portata dal canale, e viene a depositarsi con metodo. Senza alcun intervento. Senza che le tue braccia forti spendano ansie e fatiche. Qui pulsa il cuore della valle.

Ti guardi intorno, stupito, quasi che fosse un luogo che non conosci. -Sei tu- ti dice piano il mio fruscio. -Cercati e ti troverai, cerca me, sono qui- smetto di vorticare per un momento e l'aria umida di nuovo mi bagna, dandomi una velata forma azzurrina. Un impulso acuto mi spinge a chinarmi, raccolgo una manata di fango morbido e me la passo sul ventre. D'improvviso mi vedi. Come se mi avessi visto sempre. Mi guardi come se non mi avessi mai visto. Vedi il mio gesto e stringi gli occhi, finalmente consapevole. Allunghi le dita e le passi adagio sul fango che mi ricopre rivelandomi, le tue dita lievi mi fanno tremare. Fermo, le tue dita su di me, mi osservi.

La mia forma fluida cambia sotto il tuo sguardo e pare metterti a disagio e al tempo stesso chiamarti come un polo magnetico. Ti chini e raccogli altro fango, con le mani aperte lo passi su di me, immobile. Mi percorri tutta, adagio, coprendomi e svelandomi al tempo stesso, seguendo attento ogni curva e ogni piega, pressioni e carezze. Fatico ora a stare ferma e guardo i tuoi occhi intenti, le labbra socchiuse, le mani rapide e esperte. Le tue mani mi plasmano una forma. Esco dalle tue mani come se mi avessi creato, in questo momento ultimo staccato dal tempo. La morbidezza dell'argilla bagnata mi ha restituito un corpo. Sono il tuo golem, la tua bambola di creta, la tua creatura, il tuo afflato di vita. Tremo di nuovo nel mio abito di terra liscia.



Canto d'acqua.


Mi guardi e sorridi, con le dita infangate mi scosti dal viso i capelli terrosi. Sorrido anch'io, e ammicco.
-Nuova per te!- esclamo con gli occhi socchiusi, maliziosi. Ti porgo la mano e allungo l'altra verso il canale.
-Vieni?- l'invito ti raggiunge insieme al mio sguardo, concreto e impertinente. Sorridi, un po' incerto, esiti a lungo. Sarà una parentesi, lo sappiamo entrambi, mentre ci muoviamo armonicamente nella casa all'altro capo del prato -o dovunque sia nell'universo-, e, staccati da noi stessi, sulla riva di quel canale. Qualcosa di separato sta avvenendo, una storia che esula dalle storie. Eppure mi vieni vicino, eppure mi segui. Eppure questa calamita non cessa di attirare.

Rabbrividendo entro nell'acqua che scorre liscia e uguale. L'acqua rabbrividisce mentre mi accoglie, si increspa appena mentre si allarga intorno a me, lambendo la terra, sciogliendola e lavandola via. Mi segui, cercando di non perdermi. Mi segui e l'acqua ti circonda. Mi sciolgo di nuovo nella corrente blanda, ma ti tengo per mano e ti sento scioglierti. Timoroso e accettante. Di nuovo acqua nell'acqua, ma tu, qui, acqua nell'acqua, mi circondi e mi abbracci, anche tu tremando. Sento il tuo abbraccio d'acqua, acqua che si fonde con l'acqua, sento il tuo respiro invisibile e le tue mani molecolari. Carezzevoli, nell'acqua dove tutto si compie.

Il cielo è nero, come sempre in questi luoghi. Il pensiero vola per un momento a un torrente dove trine di sole si fanno largo fra la vegetazione densa mentre piovono perle, dove l'acqua scende fra sassi lisci, a piccole cascate traslucide, a balzi irregolari fra le felci. Vola alle mimose che hanno perso il giallo splendore e ai sambuchi verticali che profumeranno per settimane nei secoli. Vola alle rupi scoscese e agli equiseti stellati, ai muri rossi e alle pietre antiche fra i pini. Sento il cuore che manda un saluto, sento il tempo che scivola via frusciando, sento le mie punte stellari ritrarsi a lungo, lente, prima di tornare a confondersi in te. L'aria è ferma e tiepida, la sento lambire la superficie e mi perdo nell'attimo presente. Dove sei? Smetto di chiedere, sentendoti ovunque. La tua presenza mi tramortisce. Dolce come miele e penetrante come un pensiero nuovo. E sento, ora, dai gorghi e dalle correnti, un mormorio d'acqua salire, da me, e da te, mescolati, lasciandosi indietro ogni cosa, un canto d'acqua crescente sino allo spasimo, sino alle nebulose cosmiche, sino alla perdizione.

Dalla casa un'ultima debole luce ci mantiene una direzione.

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