Non male il lavoro di Vincent,brizzolato professionista dal metofo svelto:arrivare in città,in questo caso Los Angeles,”incontrare” alcune persone e…farle passare a miglior vita,soprattutto se sono testimoni chiavi di un’inchiesta sul narcotraffico.
E’ quello che ignora Max,taxista di colore eternamente speranzoso di poter abbandonare il suo lavoro per gestire una sua proprio attività con l’acquisto di una favolosa limousine,quando accetta di scarrozzare il killer in giro per la città in cinque luoghi differenti,per la modica cifra di 600 dollari:accetta,e non saprà chi ha imbarcato fino a quando il primo malcapitato,Ramon, non precipiterà proprio sul suo taxi.
Salvo poi scoprire che l’ultima nella lista…
Da qui comincia un serrato gioco del gatto col topo grazie,o a causa, di Fanning, poliziotto che doveva incontrare Ramon proprio quella sera.
C’è tutta la città a sorvegliare impassibile il pedinamento di polizia e di FBI in direzione dei due viaggiatori notturni,in cui i ruoli,ad un certo punto,si capovolgeranno.
Vedendo questo film,viene in mente ciò che forse era già chiaro un po’ di tempo fa:se New York appartiene a Martin Scorsese e,in maniera diversa,ad Abel Ferrara,Los Angeles è la musa di Michale Mann.
Se del primo Mann possiede la capacità di perlustrare la città per darci un’epica spettrale e massimalista,del secondo adotta lo spostarsi nervoso dallo stomaco ai volti,che il formato digitale ci consegna con una maggiore crudezza.
Fin dall’inizio le immagine pretendono un’aggressiva attenzione da parte dello spettatore,in un a città che pare non conosca una luce mattutina,battuta da Mann con una veemenza insistente,e nessuno come lui sa darci quel silenzio che precede un fragore sanguinario.
Anche se qui si ha la sensazione di un ‘opera meno “necessaria” di Heat con De Niro e Pacino(forse il maggior film americano di genere degli anni’90 insieme con “Fratelli”,appunto di Ferrara),il tocco pensoso e violento della regia avanza nel corpo pesante della metropoli,senza remore,in un luogo che sembra sempre sbarrato:ed è indicativa la scena della discoteca,un pezzo virtuosistico e ipnotico.
Come sempre in Mann i personaggi minori hanno un’importanza pari a quella dei progonisti,tutti affidati ad intepreti più o meno conosciutie tutti efficaci:da Mark Ruffalo,attore già da tempo tra i preferiti dello scrivente(nel personaggio di Fanning,l’unico a credere all’innocenza di Max,anche quando Vincent gli impone di presentarsi col suo nome per recuperare la lista dei nomi da uccidere),a Jada Pinkett Smith(altro personaggio femminile intenso,nota di merito anche questa dei film di Mann),a Javier Bardem in un cameo che più compiaciuto non potrebbe essere.
Sia Cruise che Jamie Foxx assolvono il loro impegno con punte di intensità,e in special modo quando l’uomo comune riesce a far tremare l’omicida,l’uomo che ha il male il solo filtro per la realtà:non sono all’altezza di nessuno dei precedenti interpreti di Mann,ma Cruise almeno non ingombra lo schermo e Foxx non mostra la faccia di plastica di molti attori di colore.
Non tutto è omogeneo(la visita in ospedale alla madre di Max,e l’intreccio sentimentale è forse un po’ facile:ma che diamine,un minimo di romanticismo!),ma l’ultima inquadratura conferma che l’individuo più spietato,più furbo è anche il più solo,e che l’ingannatore è sempre un ingannato.
[Modificato da -Beppe- 24/10/2004 14.13]