Il pendolare

firstlast
giovedì 31 maggio 2007 14:34
Ogni mattina la stessa storia; sono le sei e quarantacinque, quasi quasi altri cinque-dieci minuti di sonno me li farei.

Ma che palle! Mi alzo, rasatura, colazione (e chi ci rinuncia), il tempo di arrivare all’autobus e sono già pronto a continuare il mio sonno interrotto (sempre che non arrivi il rompiballe di turno che, nel sedile dietro si mette a ridere e sbraitare come se fosse un mezzogiorno di un mercato affollato di Karachi).

Pago il biglietto e mi accomodo nel posto migliore: quello appena dopo lo sportello posteriore di entrata dei passeggeri. Questo è l’unico posto (a parte quelli davanti, che odio profondamente perché l’andirivieni dei passeggeri mi disturba non poco), dove posso sistemarmi senza che le ginocchia mi arrivino al mento. Beh, sono alto un metro e novanta ve lo immaginate come dovrei viaggiare incastrato tra due sedili che hanno poco più di 30 cm di spazio per le gambe?
Comunque la maggior parte delle volte riesco a sistemarmi in questa posizione sicuramente più comoda.

Certo che nei miei viaggi da pendolare ne ho viste davvero tante, come ad esempio il vecchietto che da buon osservatore, ha notato che a parità di posti liberi tutti chiedono di sedersi se il posto disponibile è quello lato corridoio, e lui si sposta al lato finestrino appena l’autobus si ferma par far salire qualche giovane signora, salvo poi riposizionarsi se la signora non sceglie di sedersi accanto a lui. Un vecchietto innocuo certamente e molto simpatico, con la caratteristica (non esclusiva) di essere amante della compagnia femminile.
C’e poi il tizio che pretende di occupare sempre lo stesso posto e, con modi spicci, intima alle persone che inopinatamente l’avessero occupato, e che evidentemente sono preoccupate d’altro più che di far storie con lui, di lasciare libero il sedile.
Insomma storie di umanità che si osservano quotidianamente in tutti gli autobus, treni, diligenze e carrette di questo strano Paese.
Ed era questo che pensavo stamattina mentre mi accingevo a chiudere gli occhi cullato dal dondolio dell’autobus che si districava fra i tornanti della strada di montagna, accompagnato da una musica in sottofondo che l’autista accorto si premurava di mantenere sempre a livelli bassi.

Stavolta però non ci sarebbe stato sonnellino, anzi sarei rimasto ben sveglio e me ne accorsi quasi subito, quando alla fermata successiva salì una passeggera non estremamente giovane, ma incredibilmente sensuale e con una carica di femminilità da lasciare senza parole. Si addentrava lungo il corridoio ancheggiando (per quello che la larghezza dello stesso potesse permettergli) e non ci fu maschietto (ma sono pronto a giurare che anche le femminucce presenti stessero occhieggiando, se pur discretamente) che non continuasse a guardarla anche dopo il suo passaggio. "Minchia che culo" (è l’espressione che sibiliamo noi maschietti all’orecchio dell’amico quando ci capita di vedere spettacoli del genere) potevo percepire i pensieri, dei "signori" passeggeri, che addensavano l’aria ed ai quali ella sicuramente non rimaneva insensibile. Arrivo ad un passo da me e:

“ Posso?” -chiese, indicando elegantemente il posto vicino al mio-

“Certo” –risposi con una espressione così impacciata che le fece sfuggire un sorriso di compiacimento-

In realtà io mi ritrovo ad essere abbastanza timido e la presenza di quella donna al mio fianco mi procurava non poco imbarazzo, ma preso da un impeto di orgoglio maschile, secondo il quale ogni donna che ci rivolge la parola deve essere fatta bersaglio di attenzioni sessuali più e meno esplicite, cominciai, dopo qualche minuto, ad attaccar bottone facendole il terzo grado.

E’ strano come siamo pronti a deprecare simili atteggiamenti quando accadono agli altri ed invece ci sembrano del tutto naturali quando siamo noi ad esserne protagonisti.
Ad ogni modo lei aveva un'aria molto cordiale e disponibile, anzi appariva divertita per la piega che la faccenda stava prendendo. Ogni tanto vedevo gli occupanti dei sedili dell’altra fila occhieggiare verso di noi e potevo percepire il loro disappunto per non trovarsi nella mia situazione privilegiata.

Ad un tratto, inaspettatamente ed in maniera del tutto naturale, mi prende la mano e continua a tenerla senza il minimo imbarazzo, cosa che invece in me provoca a dir poco degli scompensi cardio-vascolari, con notevole affluso ematico in punti che in quel momento sarebbero dovuti stare, invece, a riposo.
Comincia a parlarmi di sé sottovoce, in tono quasi familiare. Non entrava in particolari personali, ma riusciva, ad ogni frase, a dare un quadro sempre più nitido della sua personalità, anche se lo ammetto, in quel momento della sua personalità non è che me ne fregasse un gran ché. Penso che lei lo avesse capito perché, con la disinvoltura che l’aveva fino ad allora caratterizzata, poggiò la mia mano sulla sua gamba. Parlava e muoveva le mani strofinandole con noncuranza sui jeans che portava attillati. Pensai che forse era il caso di osare e lo feci. La guardai negli occhi, divincolai la mano e la feci scivolare verso l’interno della sua coscia. Mi ricambiò con un sorriso così complice che maledii di trovarmi su quell’autobus affollato invece che in una tenda da campo alle pendici del K2.

Anche se lei sembrava non curarsene, a me dava tremendamente fastidio che potesse esserci qualcuno ad osservare la scena, ma quello che seguì, mi fece perdere anche gli ultimi residui di pudore.

E pensare che avrei dovuto solo sonnecchiare come al solito.

Mi afferrò per il braccio e fece cenno di seguirla sui sedili posteriori, gli ultimi, che erano rimasti insolitamente vuoti. In preda all’imbarazzo più angosciante mi spostai come calamitato da quel corpo che mi precedeva e mi sedetti al suo fianco. Tutti gli occupanti delle ultime file si giravano al nostro passaggio e non mancarono i commenti ed i risolini sarcastici. Dio!! Avrei voluto sparire, ma il desiderio e la curiosità di scoprire quello che mi riservava questa storia furono più forti del resto.

Fu ancora lei a prendere l’iniziativa: mi prese la mano e la infilò sotto la maglietta di cotone, la premette sul seno e chiuse gli occhi. Non potevo crederci, non era un film e stava accadendo a me. Mi si annebbio la vista e perdetti la cognizione della realtà.
Mi posò la mano sul petto accarezzandomi e poi la spostò giù, sempre più giù fino a percepire il desiderio che stava provocandomi.
Allora chiusi gli occhi e mi lasciai andare.

Signore! Signore! Ma lei non doveva scendere alla fermata precedente?
Una voce che sul momento non riuscii a focalizzare mi stava chiamando.
Porca puttana mi ero addormentato!
Il tizio dall’altra fila mi guardava con aria preoccupata; ero seduto nel posto dopo l’ingresso posteriore e la signora di fianco mi guardava con una espressione incuriosita, fuori pioveva ed non avevo neppure l’ombrello. Pregai il conducente di farmi scendere e mi ritrovai ad un chilometro dall’ufficio. La pioggia sferzava e la temperatura non era affatto piacevole, nonostante fossimo in una giornata di fine maggio.

Durante il tragitto per l’ufficio, fradicio ed infreddolito, pensavo che forse aveva ragione mia moglie: sto diventando davvero troppo vecchio se riesco ad addormentarmi persino seduto accanto ad una bella sconosciuta dell’aria sensuale ed eccitante con la quale avevo scambiato appena due parole.




Leonardo


Modificato da firstlast 31/05/2007 15.14
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