Grazie tantissime due venti...
... Vorrei ampliare un altro racconto che ho scritto; vorrei iniziare così:
“Vuoi un’altra birra Piero?”
“No grazie. Prenderei volentieri un buon rum; poi vado a letto che domattina la sveglia suonerà presto.”
Alle spalle del barista, alla sinistra della luccicante macchina del caffè, poco sopra le file dei superalcolici ben allineati ed invitanti, c’è un grande specchio che riflette l’immagine di un uomo in piedi davanti al bancone. I rossi occhi trasognati aggrappati al naso pronunciato e la barbetta trascurata come i capelli non danno l’idea, secondo me, di un personaggio particolarmente trasandato o che si sia lasciato andare… sicuramente ha bevuto, ma non troppo ubriaco: sono io.
Da quando ho divorziato con il magico, avvolgente, e spesso impertinente mondo dei gestori di bar, di locali, di ristoranti o qualsivoglia tipologia di regolamentare pubblica somministrazione, un poco mi sento perso.
“Ecco un buon Caroni di ventuno anni. Il tuo Centenario del Costarica, come ben sai, non lo importano in Italia. L’ultima bottiglia che mi hai regalato l’hai finita tu.”
“Ottimo. Però ricordami di portartene un’altra. Quella rimasta preferisco scolarmela qui, mi sento a casa.”
Davide, Davidino come da tutti veniva chiamato, era diventato il mio barista di fiducia, idealizzava il mio genere. Era sempre allegro ma non eccessivamente sorridente, anche se solo per consumata professionalità, mi faceva spesso sentire speciale. Non faceva trapelare quell’asettica ospitalità che alcuni esercenti oramai usano come un’arma; qualcuno per indolenza, ma sempre più spesso per necessità… purtroppo.
“Beato te che non sei più in questo mondo assurdo fatto solo di ‘pazza quotidianità’. Giornaliero o notturno che sia, è cambiato qualcosa.”
“Davidino, non pensare che in altri mondi sia tanto differente.”
“Però tu mi sembri meno stressato. Sicuramente più rilassato di qualche mese fa. Abbasso il riscaldamento? Sei un poco paonazzo.”
Le cattive abitudini sono difficili da perdere. Non mi sono mai considerato un forte bevitore e, sinceramente, di baristi e barman astemi, sinora, nella mia di vita, ne ho conosciuti veramente pochi. Quasi nessuno. Sicuramente uno non beveva birrette defaticanti a fine turno giornaliero e neanche un caffè corretto ogni tanto, ma del tutto astemio non l’era: un brindisi a capodanno, per scommessa o compleanno che fosse, l’abbiamo fatto… ne sono sicuro. Forse, ma non ricordo e non potrei giurarlo, durante una cena di fine stagione lavorativa si prese anche una sonora mezza ciucca divertente. Girava con un foglietto sgualcito nel portafogli su cui aveva annotato le sue personali ricette per cocktails poco modaioli, vinse diverse competizioni a livello nazionale; tutte, tutte quelle disponibili anche ai non iscritti AIBES (Associazione Italiana Barman E Sostenitori), non gli ‘garbavano’ molto. Conobbi Athos poco dopo aver superato l’esame d’ammissione all’Aibes. Prima di allora avevo lavorato un paio di stagioni in due discoteche differenti, una più “truzza” e l’altra più “chiccosa”. “Barman” improvvisati che si spacciavano per baristi di alto livello, abili giocolieri capaci d’intrattenere in modo magistrale flotte di sprovvedute di anime assetate, a volte anche con nozioni di “mixology”, ne avevo conosciuto qualcheduno. Il mondo della notte mi affascina. Ritmi tribali, alternativi, mixati, commerciali e melodiche sonorità si sono alternate come colonne sonora della mia breve ma intensa esperienza lavorativa, la prima post scolastica
Due anni, due stagioni in cui non andavo mai a dormire prima delle due di notte. Migliaia di facce, sguardi, persone e personalità. Attori protagonisti, antagonisti, comparse e spettatori, registi, molti artisti e qualche cantante famoso. Una volta ho avuto la fortuna di lavorare nel locale in cui sul palco a cantare I fell good non c’era una tribute-band, era l’originale: ho servito da bere a James Brown. Insieme ad alcuni miei colleghi sistemai i tavoli nella sala da ballo al cospetto e gradimento di Patty Pravo… Interessanti, o perlomeno curiosi incontri di questo genere li devo a quell’adolescenziale percorso lavorativo anche se solo stagionale. La prima annualità interamente retribuita la passai prendendo lezioni di vita al bancone di un bar-ristorante con Athos. Mi insegnò a precedere le richieste delle più svariate tipologie di clienti. Lui, ancor prima che oltrepassassero la soglia, sapeva già cosa avrebbero chiesto e indovinava quasi sempre, tanto in alternativa aveva subito una scusa pronta. Parlava lo stretto necessario, in modo efficace e spiritoso, nel pieno del lavoro gli spuntavano tre braccia, due teste e mille piedi, ma sempre con un’invidiabile semplicità. Ascoltava attentamente e cedeva, a titolo gratuito, preziosi consigli professionali e paterni durante “riposanti” mansioni di riassetto tra un turno e l’altro. Non sono mai riuscito a imitarlo. Grazie a lui credo d’essere riuscito ad appassionarmi a tutte le sfumature che questo mestiere, come molti altri, è in grado di farti vivere: colorate e brillanti, però facilmente possono accecarti; grigie e totalmente scure che se non stai attento ti incupiscono. Mi piace l’ambiente. Inventare ricette, consigliare birre giuste e, se possibile, il giusto numero che se ne dovrebbero bere. Parlare con la gente, ascoltare storie, organizzare piacevoli ritagli di lunghe giornate quotidiane, trovare equilibrate formule per avvolgenti serate che, quando riuscite, sono state le mie più grandi e inebrianti soddisfazioni.