Attirata dai nomi della
Kidman e di
Hopkins, quasi sempre una garanzia, entro velocemente in sala, giusto per non essere scambiata per una fan di
Boldi/DeSica, in programmazione nella sala contigua, ma, ahimè, la sorte che mi attendeva non è stata molto migliore di quella evitata!
1998: all'epoca dello scandalo sessuale che porta all'impeachment del presidente Clinton, il professore universitario Coleman Silk deve fronteggiare un'ingiusta accusa di razzismo che lo porta all'allontanamento dal college. Scomparsa la moglie, la sua vita, che nasconde un segreto seppellito per anni, viene segnata fatalmente da due incontri: quello con lo scrittore Nathan Zuckerman e quello con Faunia, una donna molto più giovane di lui.
Si è parlato, per
“La macchia umana”, di ritorno alla solidità del cinema degli anni 60 e 70 e un'impressione rètro fortissima l'ho avuta anche io. Nei primi 5 minuti.
“La macchia umana” propone in oridine sparso: conflitti di classe, tormenti legati alla razza, al sesso, alla religione, a una vita costruita sulla menzogna. Fanno da contorno: riflessioni sulla correttezza politica, fulminea aneddotica sull'affaire Clinton (tanto per far capire in quale epoca si svolgono i fatti), l'integrazione e l'affermazione dell'individuo nella società americana (cenni). Conseguenti rimpianti, recriminazioni, sconfitte esistenziali, rivincite, vendette. Il film, che aspirerebbe a ben altro, è un catalogo inerte di questi temi, in cui la
Kidman sbaglia parte (è ora di dirlo: non è che una discreta attrice
; risulta pericolosamente artificiosa e poco credibile);
Hopkins sbaglia razza (alterna guizzi di euforia all’ormai intollerabile sguardo da babbo buono e fascinoso);
Gary Sinisesbaglia mestiere;
Ed Harris timbra il cartellino per l'ennesimo ruolo da non protagonista\ caratterista. Il regista gestisce male gli andirivieni temporali, non dà spessore alcuno ai personaggi (l'amicizia tra
Silk e
Zuckerman che si intuisce decisiva, è resa malamente; la relazione tra il professore e
Faunia si riduce a qualche scambio di verbosissime battute e ad alcune imbarazzanti scene di letto), espone meccanicamente le storie: la pellicola non ha nessuna compattezza componendosi di una serie di brutti frammenti (le scene migliori sono quelle del protagonista in giovane età) che non appassionano in alcun modo. Nella generale sciatteria anche il velo di menzogna che avvolge la vita di
Silk diventa, una volta squarciato, ultima scena di un dramma improbabile se non ridicola e il nodo tematico centrale, la volontà dell'individuo di affrancarsi dalle costrizioni e dai pregiudizi della società, si riduce a quieta formuletta.
La fotografia livida, bluastra nel riflesso di neve e ghiaccio che raggela i protagonisti, è molto suggestiva. Le tonalità neutre, quasi grigiastre, lasciano i protagonisti come cristallizzati, come definitivamente schiavi delle proprie ossessioni. Il regista li segue, spiandoli in quel loro muoversi che si capisce essere senza speranza. Toccanti e riusciti i flashback del protagonista da giovane, ritratto nel momento della scelta/trappola che gli condizionerà la vita in un’illusione di libertà. Purtroppo il bello del film è tutto qui.
Eppure la storia di quest’uomo che si inventa un’esistenza, si auto-inganna pensando di raggiungere ciò che è il bene più prezioso, la libertà, è intrigante e attuale, quasi un esempio aberrante delle estreme conseguenze del concetto tutto americano del self-made man.
Nel complesso, la pellicola non coglie il bersaglio. La trama si sfilaccia in più direzioni, tanti fiumiciattoli che finiscono per inaridirsi; la tensione è spezzata dai continui flashback o da inutili anticipazioni. Se analizzassimo il film episodio dopo episodio, troveremmo scene ben costruite, di grande effetto, ma l’insieme è senza vita, e la bellezza svanisce.cool
La sceneggiatura si butta a capofitto nella vicenda amorosa tra i protagonisti: nel romanzo è una storia di complicità, pudori, erotismi e segreti condivisi, qui viene trasformata in un melodramma passionale tra un’ultratrentenne e un settantenne. L’alchimia passionale tra l’anziano intellettuale e la giovane non funziona: non accade nulla, è pura accademia. Non c’è sangue, non c’è passione.
La potenza di questo film è l'idea narrativa. Al romanzo, che merita di essere letto, aggiunge poco, anzi toglie qualcosa, specie nella caratterizzazione dei personaggi.
I due protagonisti, pur bravi, non sono credibili nei ruoli: né
Hopkins che è troppo
Hopkins, né la
Kidman, improponibile, con quel viso aristocratico, come custode dall’esistenza martoriata.
Lo so che a Natale bisogna essere tutti più buoni, preferisco quindi fermarmi qui non rivelandovi neppure il vero colpo di scena, in realtà all'inizio del film, che da solo vale il prezzo del biglietto.
Un colpo di scena, nel casting, che in realtà è l'autogoal più smaccato di questo film.
Un film che sfiora, lambisce, a volte tocca decisamente, il trash più evidente ed autoconsapevole (???)
Cinema vecchio? Magari!!!! (Come dimenticare quel gran melodrammone –anni 50- sugli stessi temi che fu
“Lo specchio della vita”?)
[Modificato da Raylight 28/12/2003 15.46]