Manuel Micaletto

fabella
sabato 4 febbraio 2012 08:54
questo autore mi ha folgorata dalle prime righe. potere leggerlo qui:




il cartaceo





questa un'introduzione alla sua poetica di Rosa Pierno


"Se l’uso della filosofia in poesia corrispondesse a un mettere dei paletti intorno a cui fare slalom per mostrare come a certe indicazioni perentorie la poesia risponda con un rilanciare verso l’aperto, useremmo come esempio di siffatto caso il libro di Manuel Micaletto “Il piombo a specchio”, Cierre Grafica, 2012, appena uscito grazie al concorso indetto dal sito www.poesia2punto0.com, fortemente voluto da Luigi Bosco e accolto con entusiasmo da Flavio Ermini nella collana da lui diretta “Opera Prima”, il quale ha anche stilato la premessa, mentre Mario Fresa ne ha redatto la postfazione.

Un porre dei paletti che non equivale a disseminare citazioni, ma letteralmente a prefigurare dei percorsi attraverso una segnaletica divelta da un travolgente, velocissimo passaggio che lascia sul campo, vero e proprio atto di lacerazione, una sfrangiatura che diviene ambiente di coltura, come certe anfore inabissatesi su cui si incrostano migliaia di organismi.
Abbiamo detto filosofia, ma avremmo dovuto dire anche scienza, biologia, religione, storia. Si addensano e si espandono, col ritmo variato del respiro, mentre si ascolta lo scorrere del sangue nelle vene, le punture, le contusioni, le ferite della cultura le quali pretendono una cura, necessitano di un decorso e di una “condotta clinica”. Poiché in Micaletto agisce il bisogno di liberarsi dal fardello, dall’insana deviazione inflitti da un sapere che se riceviamo come già composto, dobbiamo vivisezionare, scandagliare, ricondurre a più miti apparenze, a meno sirenee deviazioni o astrazioni: bisognerà decostruire il consenso. “Tutto un mondo, ora, passa la mano, scivola / nel linguaggio, commette un’intesa. // da che ho invertito / osservanza e osservazione” e si noti quel ‘commette’ che porta con sé una colpa e quel rimando a un metodo che trova collocazione nella poesia in quanto l’osservazione di tipo scientifico si stringe con un lacciuolo alla regola morale, affinché stretti assieme non perdano pezzi per strada, non restringano il campo visivo, non decurtino le diramazioni percorribili.

L’andamento investigativo si dipanerà tra l’osservazione effettuata applicando un metodo scientifico, chiamiamola pure ragione a larghe falde, e tutto il resto del mondo, ove persino i morti coabitano nel medesimo spazio del poeta: dal proprio divano si proiettano interiori mondi iperurani, domestici aldilà.
Il dialogo intessuto in questo libro si mostra in controluce come formato da mille piani solo apparentemente contradditori: abbiamo già detto geometria/spirito, ragione/immaginazione, fisico/mentale, ma, appunto, la contraddizione non è elemento sul quale far leva per Micaletto:

La luce cariata delle tapparelle
passa il corpo a setaccio, prende la stanza
in contropiede: bianco che azzera
la linea mediana e questo silenzio
lanciato a mille sgombra
a pattuglia del nome. È già una lesione, una prosa
del taglio

A riprova del fatto che il mondo è proiezione linguistica e che è nella lingua che risiedono le regole, anche quelle nuove, quelle che ogni poeta inaugura:

Nel mare immediatamente successivo l’acqua
si comporta come nel mondo reale. Se si oppone
è liquido di contrasto, matita rossa, l’errore
è un cerchietto attorno alle cose, l’aureola di fiato
mentre incolli la faccia al vetro.

Esiste un luogo, ed è la poesia, in cui “l’interezza dei pesci e degli dei mirabilmente” sono compatibili e in cui la filosofia viene liberata dalle sue strettoie (quando acconsente ai limiti della ragione) e in questo luogo esiste “una sproporzione / tra estensione e vita, ed è difficile in tutto questo / rinunciare a un distretto / immacolato, fare a meno del vuoto”. Ciò nondimeno accade, si percorre il sentiero accidentato. Vi collassano dunque tutte le separazioni, paletti, steccati, veli divisori che sono attivi in ogni dove, meno che qui, in questo sgorgante, inaugurale libro"

Rosa Pierno
fabella
lunedì 18 febbraio 2013 07:33
per leggere più facilmente
Nota dell’autore

Poesia è archeologia. Svelare qualcosa di antico. Un rinvenimento - più estesamente, *rinvenire*. Maneggiare fossili, cocci: il corpo dell'estinzione.
(Per questo leggere-scrivere: non divertissement ma, realmente, questione di
*principio*).
Questo è Rilke che spolvera il suo pianoforte: "ed il suo bel nero profondo diventava sempre più bello. Che cosa non si è conosciuto, se non si è vissuto questo! [...] mentre tutto diventava chiaro intorno a me e l'immensa superficie nera [...] acquistava, in qualche modo, una nuova coscienza del volume della stanza, riflettendola sempre meglio (grigio chiaro, quasi cubico)". (Poesia come faccenda domestica).

La casa, inevitabilmente, è il témenos. Il luogo (e non lo spazio) spinoziano dove collidono istanza etica e
geometrica. (Diciamo, per economia: il luogo *geometico*). Dove l'azione è prosciolta dalla volontà, scagionata, tradotta in gesto gestazione. Dove la polvere sprigiona gli oggetti =>
stando a Brodskij, "privatizzano l'infinito". L'infinito è proprio un esito della pressione, dello schiacciamento:
davvero la parola è "flatus vocis". S-fiatare.

Perciò la casa non è la "somma di tutte le perfezioni", non l'addizione, ma la dizione. Scandire l'evento. Anche nel senso per cui Bachelard dice degli armadi che sono il "luogo del candore".
L'impasse heideggeriana dello svelamento (a-letheia) si risolve nel prendersi-cura-del-mondo, accudire gli oggetti, sollevare la polvere fino al momento della luce, alla radura improvvisa (il mot(t)o eracliteo del fulmine che taglia il bui o).Forse è questa la lezione di Cartesio, del Cartesio ottico, del Cartesio di Grünbein, "sulla neve": le parole sono "lente" (prima ancora che lette e dette - diottria\dottrina e latenza).
Frenano l'evento fino alla pacificazione del perimetro. Ingrandiscono, adulterano, falsificano, soffondono, mettono a fuoco l'evento ("feu la cendre"). Lo destrutturano fino a rimuoverne il significato cinetico. La casa è il singolo "frame" - la cornea, la cornice (battuta gratuita: cornietzsche). Vedere la casa significa non vedere niente. Muoversi geometricamente, automaticamente, un orientamento dianoetico.

Casa è l'altro nome della cecità. La neve è un continuamento della casa, l'applicazione dell'uniformità del luogo allo spazio.
(Derrida *osserva*, a proposito di Tobit: *vedere* l'origine. Archeologia). =>: dare alla luce: convocare la superficie, lo "smalto sul nulla". Riesumare un volume pregresso. E allora, più precisamente, riportare (dall'ordine) alla luce: rendere conto alla luce di -, riferire alla luce. Un catasto (dolente)."Io sono morto e resuscitato con la chiave ingemmata della mia ultima cas(s)etta spirituale" (Mallarmé). La casa-scatola. Meglio ancora, la casa-scrigno. Una stagione all'interno. Una sintassi china su se stessa, ricurva, come la verità nietzschiana.

Dunque cas(s)a di risonanza, a vantaggio della parola. Per questo la poesia deve essere vuota: per essere abitabile.- (Non non non (non) "rovinare le rovine". Piuttosto, rovinare. Mimeticamente, fino alla spina dell'identità, il ricovero. Il romanzo, la tragedia del fenotipo.Non a caso Bachelard parlava (insistentemente) di "retentissement").

Manuel Micaletto

Il piombo a specchio

Benedizione del legamento
Ricordo la passeggiata
di Hobbes, le strade premute come cefalopodi – soprattutto
[di ogni passo
l'origine, la gabbia intercostale. Poiché la secchezza delle fauci
vale come carestia
per queste vie brachiali, percorse ora a un fianco
ora in mezzo al torace, dove
il sangue è reciproco e la sintassi
dispari – il “più bel legame”, il vertice che attira
gli insetti. Un viale alberato
è un cordone sanitario
dove il centro sta per miracolo, mentre i lati
toccano alle epidemie. Per comodità, separo la predicazione
dal contagio - ma decisiva è l'inclusione, la corsa
ai linfonodi. (Le cose più piccole, per esistere
devono eccedere in numero, sfasare il tetto, tramutare la cifra
in effetto). Ma come gestire le gambe, tutto – se il corpo contiene
vuoti ricorrenti
ricavati tra le spugne – come, se accoglie
ogni schiacciamento
e teste enormi. La peste è un'unità
piramidale, installata dove tutto è più molle - è una camera
sottoscapolare, un tessuto
poroso. E raggiunta la sua sede, trema:
esattamente un budino.

Retentissement
Anche questo sonno mescola le ossa, sceglie il centimetro, la
[statura
dell'amnesia. Tutto è esposto
alla trazione invisibile, il fiato corto degli dei
che inalano il soffitto. A nulla vale l'agilità del telaio,
la parola al carbonio, l'acqua
senza mediazioni, nel prodigio. (Qui la fine
è una funzione del tessuto, procede dall'amido).
Dunque molte cose sono un'esplosione, più le altre
che arrivano in barella
nello spazio di un taglio. Perciò della tosse credo
più della scossa: invece concentra il buio, la sillaba
dell'infortunio. Svegliarsi allora
è medicare la stanza, sbucare nel secolo.
Più alto l'incarico: tutto accade così fuori – tutto, intendo, rasoterra
in perfetta aderenza, la frizione anatomica -non possiamo che ricevere i feriti
dove avviene l'origine e tende
a non scomparire, ma anzi a precisare la cura
questa casa ha un decorso, una condotta clinica.

Ri-capitolazione
Non si interroga un oggetto ma si collauda il vuoto
non si torna vivi tra i vivi per raccontare
come l'occhio si conclude dove
comincia la pista degli atomi e più o meno tutto si arrampica
per mai più tornare, più o meno tutto stravolto, con le zampe
che tentano un recupero, un insetto in quella frenesia
che risucchia l'aria - e la crosta pure intatta, dietro, fa a gara
col mondo, disegna una ruota, una trottola
nel cuore della corsa, un giocattolo
della fine.
L'infanzia è un ronzio di aerosol: un boccaglio spray
attrae la percentuale, la frazione curativa, il settore
che ripristina il sangue, l'acqua derivativa
ai minimi termini.

Layout
Il tempo a barre dei display
strattona il sangue nella mischia, contende la mosca
al suo dominio di centinaia
e centinaia di occhi, e centinaia ancora, la folla
si rovescia e reclama
il vuoto innocente e preme e divarica
la stanza, curva a strapiombo, rintraccia nel letto quella norma
che detiene l'origine.
Non è facile rinvenire
un altrove del centro, spiazzati
in testa al buio compatto
che si fa strada e lascia
il mondo al palo.
Così poveri di mondo, allora, staccare il testo dalla pagina e
[questo enunciato
che prende una strana piega, si sbilancia, cade a specchio,
[obbedisce
al suo stesso piombo.

Rodaggio
Non c'è intelligenza nei passi ma la molla
asciugata di scatto, la retorica del corpo, la circolazione.
(Se osservi un millepiedi muoversi
hai veramente l'impressione di vedere un'onda
che sfila lungo i suoi fianchi)
A volte quando dormi
un braccio dorme più forte, ti sveglia. ora è sordo,
chiama il mondo a raccolta. così una parentesi
si allarga a forbice
dall'unghia alla spalla - così una periferia
del discorso, una subordinata
costruisce il consenso.
Anche il sonno è una disciplina,
gli occhi a pieno regime. sarà materia di studio,
elenco puntato, indice, dottrina. Lo stesso azzurro del cuscino
ci sarà da lezione. un confine semplice.
Intanto quel braccio prosegue, realizza
un distinguo, scioglie gli indugi, fa
come niente fosse, esprime un peso.
tutto un mondo, ora, passa la mano, scivola
nel linguaggio, commette un'intesa.
- da che ho invertito
osservanza e osservazione
(Verremo poi interrogati, valutati, daremo conto del sangue)

Norme viventi
La sepoltura dei morti è un modo di contare l'ombra
che risale alla piena dei passi, dimezzare la parola
contro il varco o come
distribuire il dolore in parti eguali e tutti
rendere grazie al suo unico
principio di conversazione - mentre qualcosa
resiste alla vita come
a un'inondazione, una scorreria di cellule
tutto procede senza interruzioni
finché l'evento non chiede asilo al regno
degli invertebrati e in osservanza
alle leggi più abissali assume
una densità altra, sconfessa quella severità
dello scheletro per resistere al fischio della pressione
che confeziona la silhouette
in vista dello scoppio
e l'interezza dei pesci e degli dei mirabilmente
assistono la concorrenza
di niente in vari
e pratici formati (l'idea è che le cose, nella discesa
sostituiscano al peso
un dispositivo
di sicura efficacia)
e l'evento di cui prima
semplicemente non può esistere e plana
uno strato più in basso, perviene al tappeto
del discorso, si deposita
nel vuoto
è dunque prassi che la stazza dei morti
sia incrementata per ragioni
di compatibilità strutturale, in adeguazione
alla morte e alle recenti norme (la prima non conosce scomparti
ma scomparsi e potete facilmente riconoscerla, enorme
e si presenta sempre tutta dunque ciascuna morte
si configura come una strage, una frana integrale)
perciò un cadavere non conosce pace da che
inizia ad ingrandìrsi
fino a quando non spicca il volo e certamente occorre indagare
riguardo questa sproporzione
tra estensione e vita, ed è difficile in tutto questo
rinunciare a un distretto
immacolato, fare a meno del vuoto

Un primo niente
Cose durissime si opposero
all'anello terrestre, al metamero irrigato.
Nella boccia avvenne l'insperato,
la corolla d'aria: non una foglia
tremò più del devoto.
Per mezzo di grandi anfore e di
significati ancora maggiori
approntiamo il travaso di umori,
il medaglione di creta.
"Due infelici tendono in principio ad amarsi
poi a farsi dispari"
Un bilanciamento più esatto
si esprime oggi
nel lingotto di pane
che tappa la casa, imbocca il milione.
In concomitanza di niente
si avverano pietre

Un secondo

-Dicevi dei gesti
che non hanno mai conseguenze - ma gestazioni,
placente, vuoti materni. Temo l'entusiasmo
degli uomini.
Qualsiasi pioggia
ci trova sbilanciati,
conosce l'abito
fino alla carne scoperta, al segno dell'elastico.
"Diffida dei viventi
ed ama gli abitanti
poiché lo spirito di dio aleggia
in principio sulle acque, poi sulle case.
In maniera non difforme
ogni azione è feroce
e solo un'idra
prepara gli esami"
"Non impareremo mai a legare
che sia la scuola, o le scarpe"
"Ti attribuisco i morti e un cappotto
analogo alle mosche"
Uno stagno
bastò a scoperchiare il nome
esatto delle tartarughe.
Da cui tutte le cose docilmente
discendono - con il carapace
e il liquore inattingibile.
Che possa
questa giaculatoria
esorcizzare l'inevitabile, la pozza in pieno viso.

Trattativa
Per un tempo che ci parve a strisce, a loacker
hai chiesto un pennarello.
Se soffi (all'indietro) si attacca alla lingua.
Indispensabile è soffiare a ritroso. Con un po' di pratica.
In quel punto diventa bianca.
La sveglia ha un'apertura alare di 12 metri
per sorvolare gli stagni e il sonno e cibarsi di
- tutto fa presumere – pesci.
Per scuotere a dovere le campane.
Il letto è perpendicolare al discorso:
i due angoli che si vengono a creare sono uguali.
Questo corpo sotto dettatura
non oppone resistenza, smette a tentoni,
versa l'intera somma, sull'unghia,
il bottino di sangue. Una tratta di zero
farà saltare il banco, metterà fine.

Mi piacciono i labirinti sospesi
come in KULA WORLD, sapere un cielo
di laser, ustioni
una semplificazione delle sfere
dall'Empireo ai palloni, dai pianeti
ai cinema. Similmente
non ci è dato percorrere una città,
ma colpire a valanga, travolgere le ante.
Tutte le case sono una,
l'economia domestica. E ciascuna
custodisce il mistero
delle cose svelate, e un altro più uniforme
che dispone la presenza,
la materia compres(s)a.
Diciamo indifferentemente
quanto sopra e memoria, nulla si crea
nulla si ricrea, tutto viene a noia
prima di svanire in corner, a febbraio.
Un insieme è la bolla
più insperata: stabiliamo una tattica
di interruttori, la slavina di merito
che piomba sul muso della stanza,
sulla plafoniera.
"Questo quadro potrebbe far perdere la fede"
"Nessun quadro è bonus.
Perderai 30 vite.
A ciascuna opporrai la torsione stabilita, il click.
Resusciterai
all'inizio del mondo, nel midollo di luce
dove apprenderai Cristo,
la croce direzionale".

Porgi l'altra guancia
offri il cotone, la borraccia
salvami dalla menta, dal flacone
che impazza
e lascia il vetro inalterato, dalla chimica
che formicola fin dentro il letto.
In cambio vorrò parlarti, offrirti una bibita
la cannuccia dell'infanzia.
"Perdonami o padre, perché molto ho dormito,
perché tutto è pieno d'aria
tranne gli insetti - che danno l'idea
di non respirare"
Noi vivi ospitiamo il quadrante
la flessione dell'ombra, il catrame. Abbiamo la fronte tenera,
friabile, siamo disposti agli squarci.
La popolazione dei morti
occupa un'estremità del pianeta
dove il sangue non supera gli uomini
ma anzi li accompagna, li vede a tavola.
Deponiamo i libri
perché qualcosa potrebbe esserci, infine
mentre dai macigni
ci chiamano, imbevono gli stracci

A.W.
È un coccio di cisterna
la cavità trattiene
il vuoto, un'ultima volta: così incubiamo
le munizioni,
concepiamo le analogie a pelo d'acqua, affilate. Con
[generose fiale
di ossigeno -Abbiamo avuto ventose, in tempi diversi
abbiamo fatto dell'aria una cupola,
una biglia lucente. In un pomeriggio
ho violato il tuo piano
bloccando ogni cosa al suo porto
il fuoco compatto
delle navi. Fu per sempre - quella costola investita
di una coerenza improvvisa. Hai spento il DS,
hai abbottonato lo sbarco.
Hai preso la catastrofe
in tempo, prima che divenisse finestra nelle opzioni,
inalterabile culla statistica. Mi hai mostrato la nascita
fatta com'è
di mari del nord, montacarichi, bocche arrese ai quintali.
Purtroppo mangiano
le persone
in treno.
Il taglio è sempre a spirale, è un temperino
un tentativo avvitato. Non sei bravo
non sei bravo. Ci succede un trionfo,
un bambino scemo. Come possiamo sperare ancora
le alabarde, il pattern, la configurazione
dei comandi, dal momento che noi non ci siamo mai stati,
e l'inverno sì,
cento volte, cento mille, ciao. Per questo ti chiamo fratello,
ti compro un ghiacciolo.

Un niente ancora precedente
L'analogia del piombo
così vicina agli scatti, alla pressione
immersa nei quattro circoli del latte
nella tazza che inquadra piccolissimi naufragi
dove qualcosa ancora annaspa
Mentre il cucchiaio percorre vortici
in ordine sparso
registro questa mania
di capovolgermi (come una vocazione
alle ruote di tortura)
e il cuoio flessibile dei demoni, già di ritorno
- qui sono tutti sconosciuti, fermiamoci
Non vedere i sigilli lucidi,
i binari inarcati, sollevati dall'incarico – è solo per rigenerarsi
a più riprese ci mostrano
come il mistero sia una genìa lenta,
una specie di ritardo
(i sacchi del sacro
li hanno già ammassati, uccisi
sulla via di Damasco)
Non c'è niente di umano - vi prego - in quel gonfiore
nel profilo gravido
riempito di morte, scoppiato
sprofondato, infine,
per abitudine, solidarietà,
per pietà delle rette

Lettera sull'estinzione dei dinosauri

Il led del videoregistratore, questa notte,
mi è sembrato un fantasma. Ora dinosauri a fascicoli
e miniature della X Fretensis – mai dipinte,
nonostante i buoni propositi – sono un invito transitorio
per le anime dei salvati. Ed è un miracolo
che le coperte fino al mento separino
i vivi e i morti - dove altrimenti le mani i piedi
nudi crescerebbero in numero – poi non basterebbe
la stanza.
Tutti abbiamo un materasso, e temiamo
si perda - tra colossi di scaglie e amianto
- nell'epopea scalza
delle orme - temiamo
soprattutto il freddo - come tutte le cose
nella clemenza del rifugio.
Vi dirò del sonno
che è una resina mesozoica
e la resa dei mobili, squamata - poi altro – un canale
della trachea, o una varietà
dell'estinzione.
Probabilmente, la fine di un'era geologica
- la processione di bestie enormi e tristi
e lente – i nostri unici amici – retrivi
e senza più un artiglio.
Dei dinosauri ricordiamo i volti di gorgone,
le corazze intatte - le mandrie curve
nel passaggio della fine. Da allora
sono racchiusi, tutti, in gemme d'ambra
- e capita tornino, soli tra i giganti
per far vacillare gli assi, e la terra.
(Un dinosauro è sempre il rovescio
di una testuggine, il terrore straordinario
che accresce i mansueti)
Le loro code di iguana
frustavano l'aria - ma così immense -perchè la morte potesse, un giorno
trovarli ovunque.
Così il mercurio nel suo grado - le placche
blindate - e il giorno avanza
tra le pietre e la sabbia
e la mistica manichea, anche - negli spazi liberi
dove i nomi cedono per un pasto
e un passo di rettile sfonda
il torace delle ore.

Anche io ho i miei bravi battesimi
strangolati nella notte, livellati
nelle vasche del sonno – e la stanchezza a grumi, a legioni
sui quartieri del crollo
Dalle rughe secche del letto
le condense dei pochi, pochissimi
ancora in piedi, magnetici
sopravvissuti alle ore
Quando ad una certa quota le lancette
permettono il mondo,
quando un po' ovunque sbucano
vapori schedati, risme funebri
Allora - non me ne voglia Raskolnikov - prego che il castigo
sia una ricompensa, un catalogo crociato
e che qualcuno, imbottito di panico (piombato dagli spigoli)
sappia dirmi
dell'ora in cui tremiamo di tenerezza

Ora posso dirlo – dopo i coltelli, le corse
la certezza di vedere qualcosa, prima o poi
entrare dalla finestra - e l'islandese (vicinissimo): la
persecuzione
è una nube di insetti, nei secoli dei secoli
negli angoli degli angoli – negli acquari -se ne avanzano – nelle acque ad ostacoli
c'è un'ora meccanica
uno slancio di leve – e di notte
questa stanza esplosa
in alto - una cattedrale
e tutti i superstiti nelle loro nicchie, riparati -dal basso – altri- allentano i cavi
una volta a letto – o nel sonno, o altrove
ma comunque qualcosa - poiché ha le sue leggi, come gli
altari
e come sugli altari steso, un sacrificio
a tutti i mostri, ai labirinti

Questo buio è un difetto del corpo,
si consegna alla sbarra. Dove finisce il contatto
comincia un osso, la sporgenza esatta
delle basi. Così fino al rintocco dei polsi
la trasparenza rileva un calo eidetico, l'onda
che ribalta il sangue, la polarità dei flussi.
L'ago testimonia il peso controluce, percorre il binario
della frattura: qui si avvita l'aria
inclusa fino al centro, alla spina della voce.
Niente sopravvive al vetro, al varco stretto
del fuoco. Perciò un calore uniforme prova
l'autenticità del distacco, la filigrana invalicabile.
Non sentiamo la pioggia, ma un'acqua minore,
una detrazione sintattica, quanto della linea
inaugura il tratto. Non altrove
si avvera il crampo, l'accento del muscolo. Lo stesso niente
ora vibra, impatta il tronco, il palato della pagina.
lastrega65
lunedì 18 febbraio 2013 14:45
GRASSIE...LEGGOLEGGOLEGGO, POI TI DICO [SM=g2843109]
Versolibero
venerdì 26 gennaio 2018 15:36
Sono arrivata a circa la metà, e mi sono piaciute in particolare "Rodaggio" e "Un secondo".
Continuerò a leggere.
Non sono poesie facili, sicuramente la banalità è stata cacciata di casa e mandata via definitivamente. Auspico però una maggiore ricercata semplicità lessicale, mantenendo la complessità e profondità concettuale, quella leggerezza dello stupore che si acquisisce col tempo.
Faccio un esempio: se leggo poesie di Pierluigi Cappello posso andare avanti all'infinito e ugualmente arricchirmi anche in quel caso della sua profondità ma con un linguaggio più abbordabile senza essere, anche lui, mai banale.


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