Meditazioni ovvero ... l'attività di chi non ha nulla da dire...

anumamundi.
sabato 25 luglio 2009 20:14
ASCOLTATE!

Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?

E tutto trafelato,
fra le burrasche di polvere meridiana,
si precipita verso Dio,
teme d'essere in ritardo,
piange,
gli bacia la mano nodosa,
supplica
che ci sia assolutamente una stella,
giura
che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi
cammina inquieto,
fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
"Ora va meglio, è vero?
Non hai più paura?
Si?!".
Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella?"

Vladimir Majakovskij (Bagdadi, Georgia 1893 - Mosca 1930)




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E la paura del buio, dell’ignoto unì gli uomini ancor più che la necessità del cibo.

Canto la notte esorcizzando così, forse , il timore che possa non esserci un domani e che le mani affondino nel nulla dell’oblio e dell’intolleranza in un ammasso di parole indistinte e omologate che necrotizzano l’intelletto.
E’ questo che leggo ogni giorno fra le righe scarlatte di un pentagramma sospeso fra il cielo e la linea lontana d’orizzonte. Fra il grigio cupo di una nuvola ed il lieve sussurro dell’allodola dentro le pieghe dell’anima.
Cerco fra le trine d’Orione una risposta alle lacrime ed alla disperazione e mi ritrovo a domandare ancora “per chi suona la campana”.
E il buio ci sommerge, dilaga, evapora assieme al barlume di razionalità che ci accompagna, lasciando sogni sospesi a metà strada fra allucinazioni e utopie, fra passioni e desideri morti ancora bambini, fra il grido strozzato di madri affrante e la consapevolezza della propria impotenza.
Canto la notte nelle maglie rugose di una storia senza fine che tinge di porpora le mani di un mondo in cui ci si ritrova al mattino sempre pronti ad alzare i coltelli.
E ancora la quiete di chi cerca, in essa, l’armonia con il creato, di chi collega i lembi di un universo non a misura d’uomo, ma di una energia cosmica di cui l’umanità ha dimenticato di far parte.
Quella notte che ci allontana e ci avvicina ai dubbi, come una risacca in perenne movimento in cui l’unico “rumore” è quello delle nostre vite altalenanti che nell’opzione tra il bene e il male, fra le ipotesi del dare e del ricevere, tra il ragionare ed il credere, sceglie inevitabilmente quella con la maggiore dose di rimorso .
Noi siamo becchi adunchi, rostri fra assi di navi alla deriva; ci circondiamo della notte per dimenticare la nostra identità e ritorniamo all’alba con i colletti inamidati e l’odore del sangue sui denti ci forgiamo, sterili, in camicie di forza e riscaldiamo l’anima con due etti di sorrisi a perdere e, dimentichi della notte appena passata, ma ancora vigili su quella che verrà, narcotizziamo i sensi in nome di una legge sovrana.
Ma anche nella notte più cupa è l’attesa ad avere il sopravvento e, come in una giostra senza tempo dove alterniamo afflizione e fiducia, anch’io vengo al fine pervaso dalla necessità di sentirmi parte vitale del cosmo quando, non dimentico delle miserie, mi riappacifico con esso e “il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Leonardo



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