Conoscevo Aldo Oliva come "qb": aveva generosamente commentato alcune mie poesie sul blog "The Cats Will Know", dal quale ho trascritto queste sue da proporre alla vostra attenzione.
Aldo si è spento il 30 Aprile scorso all'eta di 50 anni.
Per cena, la carcassa d'un amore
Con la rabbia
d’una tigre bengalese
ho cercato
la giugulare del tuo amore
ed aspettato impaziente
passassero i rumori del traffico, l’ora di punta,
le ronde dei poliziotti di quartiere,
le extrasistole del mio sismografo
per poter finire, con calma,
il mio pasto.
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Comparazione delle maddalene
Non mi toccare maddalena,
che ora mi scorre vapore fra le dita
ed ho collocato la tua foto lontana
nel rispetto dell’editto di Saint – Cloud
non ti disturbare per i miei occhi feriti
da questo anticipo inquinato di primavera
che sfila sotto i portici bolognese
e risparmiami, se puoi, la tua
weltanschaung
difficile da pronunziare persino
dentro una poesia
prendimi solo la misura delle scarpe
per le prossime milonghe
e benedici
anziché cercar benedizione,
che il tuo ventre è ancora asciutto
e non sai imitare la postura delle madri
non toccarmi maddalena,
che non intendo danneggiare
la trabeazione del tuo tempio,
solo trovare un posto in ombra
per controllare gli addominali non più piatti
e la durezza delle anse intestinali,
prima d’uscire alla luce e ritornare
bersaglio dei cecchini,
prima dell’inevitabile persistenza
d’un sapore salino sulla pelle,
prima che il tardi si trasformi
in un codice binario
no, non mi toccare
anche se hai cambiato volto e nome,
che non posso trovarmi ancora
le vene spezzate per parole
che non riesco nemmeno a pronunziare,
che, come nel finale d’un brutto film,
mi sento finalmente orfano.
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Titoli di coda
Appena spento
il suono dei violini,
nell’aria rimane il ricordo
d’un do
ed il respiro d’un vecchio,
stomaco pieno d’aria
e camicia sporca di fernet,
intento a masturbarsi
mentre cerca nel doppio fondo del cuore
un’immagine di te
e sa già le strade
da solcare stasera,
sugo di tabacco sulle labbra,
in mano stretta una tua fotografia,
buona a provocare una bestemmia
che imbarazza la luna.
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Non è la casa di bernarda alba
Non è la casa di bernarda alba,
anche se le campane suonano
per santificare il mezzogiorno
ed una macchia blu tracima sul foglio
qui le cose sono state tutte dette
dall’’alfa al sampi
ed i muri trasudano umido color vinaccia
e ricordi prestati dalla strada
(ed anche tutte scritte per buona aggiunta
che non si sa più come chiamarti
e nel cortile non c’è più vladimiro ad aspettarmi)
no, non è proprio la casa di federico garcia
qui le stanze sfilano mute in un sonno non di mela
e quasi dispiace il suono sordo
di quest’età di mezzo
che controlla con costanza
la sufficiente erezione del sesso
e la buona tenuta della memoria
qui le finestre restano spalancate,
in attesa che la luce curva degli shrapnel
possa far annotare il risultato finale
di questa guerra dei trent’anni
(in fondo,un’unica vittima, non c’era bisogno
di sprecare così tante parole).
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Sura della salvazione
In anticipo sulla preghiera della sera,
un crepuscolo azzurro cupo
nasconde il contorno avvizzito
di questi occhi modello mezza età
ed il pugno che stringe monete di speranza
in conio sconosciuto
perché ti cerco anche qui,
fra ricordi d’uccelli accucciati sui nilometri
e minareti elettrificati per accordarsi
alle sorti magnifiche (e progressive?)
di questo millennio
ti cerco per salvare me e non solo
che anche se sordo da anni,
ti offro i vestiti e le mani,
in cambio del mio udito nuovo
e d’un bisturi sicuro e preciso
scegli pure il tuo nome
dopo questa sura
ed anche un altro per me
se scivolerà indenne
questo venerdì dal numero indigesto,
m’unirò all’ultimo urlo del muezzin
che termina la preghiera della sera.
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Venti anni dopo Robinson
Ed ora, Robinson, che sono arrivati i barbari
e non avrei vergogna
a piantarti addosso una poesia?
niente più cornetti letterari a colare crema nella notte,
nihil sub sole novi
niente tradimenti (i miei) e pene d’amor perdute (le tue)
a separarci, ma solo terra e terra
[ fuggito nella marca dei montefeltro,
spiegò con inesattezza la vicina,
non comprendendo l’horror vacui nei miei occhi
ed il cattivo presagio delle nuvole bombardiere
in avvicinamento rapido alla città ]
bisognerebbe far presto, Robinson,
per non trovare buchi neri negli annali
prima che scompaiano i comunisti in velluto beige,
le donne ritrose a ballar stretto,
i vecchi soci d’affari
bisognerebbe far presto,
scambiarci di nuovo indirizzi e foto,
segnare con il gesso il ponte dell’accademia
perdonare quel che c’è da perdonare, amen
che qui, non vedi, ci hanno circondato i barbari,
qui viviamo in stanze con finestre troppo strette
per i tuoi chili (ancora cento?) e le mie malattie
un poco immaginarie,
qui hanno rubato anche l’inverno
e violentato donne che pensavamo nostre
ed allora, Robinson, ho pulito il giradischi ed il fucile
e t’aspetto alla curva delle scale
per appoggiarci ancora spalla a spalla,
gli occhi asciutti a scrutare dietro il tramonto.
(a Stefano, che sarebbe piaciuto a Celine)
[ROBINSON
Non trovo più foglietti nelle tasche,
Robinson,
da quando sei andato via
portandoti dietro il diluvio,
lasciando tracce di bombe
nel cortile ed un disco,
che continua a suonare
una vecchia canzone
che non sai.
1987 – Ed. Illibroitaliano 1999]
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MACCHINA D’OSSA (poesia dal titolo spudoratamente copiato)
Stanco ancor prima di cominciare,
con un dolore all’ altezza delle scapole,
lì, dove una volta erano le ali
osservo i rimasugli di questa colazione,
ed annoto mentalmente il resoconto
dei disastri quotidiani,
mentre con la mano allontano il fumo
e penso che non posso, I can’t, ich kahn nicht,
essere una macchina d’ossa da guerra e
continuare ad avere negli occhi
le strie di sangue che avanzano dal televisore,
che sarà pure una primavera invincibile,
ma odora di fango e cordite
e non è in vista nessuna madonna del pozzo,
né aleggia nella testa il ricordo di alcuna
canzone di Waits.
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HYPNOMACHIA
Questa è la terra dei miei teschi
e non serve scriverla in versi alessandrini
non è qui il grande romanzo americano,
solo movimenti rapidi degli occhi
in cui inquadro a malapena
galli da combattimento e vicoli Toledo
è la terra dei miei teschi,
dove brindo con misture di lexothan
e negroni
e le lenzuola sono maltrattate
dal calore sputato dall’asfalto
e dal sesso che, come stazione del calvario,
la mano sfiora,
proprio nel mezzo dell’ipnagogica convinzione
che sia tu
a guidarmi dentro il tuo calore
non è la notte di San Lorenzo,
solo un’alba incerta
dove il camion dell’immondizia in frenata
spezza un sogno che devo ricordarmi di ricordare
non è una visita al reliquario del santo,
solo un passaggio rapido nel chiosco dei morti,
con, nelle orecchie, il rumore di fondo
prodotto dallo strato sottile dell’atmosfera
ed intorno, le spaesate figurine da presepe
dell’agosto bolognese
passata la domenica di festa,
è questa la mossa d’apertura – di cavallo, ovvio-
della mia traumfabrik,
l’andirivieni di puttane, passi ipocondrici ed assassini
nascosti nelle pieghe della dura madre,
cui non posso rinunziare nella terra dei miei teschi.
(scritta nell'agosto di due anni fa visitando la chiesa di san francesco della città ove da domani andrò a vivere)
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Civico 42
Tornato alle occupazioni solite
-dormire, mangiare, annuire, annoiare-
e rinnovato il permesso di soggiorno ai miei occhi
ho allineato preposizioni senza virgola
e congiunzioni in fila,
un orecchio sul cuscino, l’altro attento
al vibrare della finestra al passaggio dei treni,
nel buio cieco che precede il rondò della sveglia
wake up, wake up little boy
le occupazioni solite
-stirare la schiena, ignorare il dolore,annusare il caffè –
t’aspettano,prima di poter provare, ben
pettinato e rasato,
l’esatto
sguardo a prova di specchio
necessario per dire quanto non ne possa più
di quel che dicono i poeti
e ritrovarmi ancora immerso nei lavori in corso
di questa casa da riempire di mobili e parole,
senza far caso ai muscoli che tirano
od ai sobbalzi non preventivabili del cuore
e terminare una canzone d’aprile
scritta a novembre,
giusto in tempo per correre a depositarla
sul primo scalino del tuo portone.
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Niente baci sulla bocca
Spenta la mezzaluna,
non mi resta che scrivere il silenzio
e decifrare ricordi
in caratteri braille
infastidito dal viavai
di facce gonfie di acidi urici
e dalla polvere che ingombra la città
e (per scrivere il silenzio)
non presto il corpo alla luce,
confinato nelle ore che precedono l’alba
insieme alle zanzare
la porta semichiusa
per non incoraggiare troppo
ospiti improvvisi
ciononostante,
passaste di qua,
potrete di nuovo prendermi,se volete,
ma, per favore,
niente baci sulla bocca.
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Ghost tour
Dopo tanto viaggiare,
negli occhi c’è solo una valle
di conifere, vuota d’animali
ed il tempo perduto
a progettare vacanze in Spagna e
coltivazioni d’amminoacidi
e lillà
e l’esercizio circense
di tenere perle fra i denti
ed allevare un leviatano
che scalcia gli stinchi ed il ventre,
mette sale sulle ferite e
sabota i tralicci della tensione
di questo vaso di pandora
che pompa sangue acido
e rimasugli di cibo
di questa casa galleggiante
sotto pelle,
ancora intenta a rimirare
la giacca a tre bottoni
che indossavo
il giorno in cui ho perso
la verginità.
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Rivisitazione del carme presunto
Riesco a capire chi ha cercato sirene
od inseguito fantasmi di versi
fra Plaza Cortazar (già Serrano)
e Avenida J.L. Borges ( già Serrano tambien)
meglio che ritrovarsi eroe
di scarsa fortuna
dove il silenzio è un gigante mancino
con un fastidio al metatarso
e la chiusa dell’Aniene
getta riflessi marroni sull’asfalto
dove non ci sono suoni d’angeli
da avvicinare con cautela,
né canzoni che non temono l’inverno
o camicie bianche di dolore
dove navi non ne partono più
e gli etimi incerti di ogni amore
riempiono cassetti e cappelliere
meglio, molto meglio, che lavare le strade
con tentativi di poesie
che aspettano il proprio plotone d’esecuzione
o fissare, non ricambiato, il tramonto
già, riesco a capire chi ha cercato sirene
piuttosto che rotolarsi in un’altra bugia.
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Diluite queste tra le vostre letture: conservo le altre da pubblicare più avanti.
per lui, la mia preghiera. daniela