Quel Nixon in China ha un che di profetico

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vanni-merlin
00domenica 27 gennaio 2008 07:52
AL FILARMONICO DI VERONA LA PRIMA ITALIANA DI UN LAVORO CHE RISALE A 20 ANNI FA


Quel Nixon in China ha un che di profetico


Cesare Galla
VERONA
Nel panorama assai vario del teatro per musica contemporaneo, con le sue multiformi e spesso divergenti ricerche della "formula" drammaturgica, l'americano John Adams si è guadagnato fin dal debutto uno spazio particolare, portando in scena gli eventi del nostro tempo, a cavallo fra cronaca e storia. Così avvenne vent'anni fa con "Nixon in China" (1987) e così ha continuato a essere almeno con "La morte di Klinghoffer" (sulla tragedia dell'Achille Lauro, 1991) e con "Doctor Atomic" (su Oppenheimer e la costruzione della bomba, 2005). Può sembrare un modo di ammiccare allo spettatore contemporaneo, in realtà è un esercizio complesso e sofisticato, basato sulla rinuncia a qualsiasi comodo percorso narrativo e drammatico. Il punto di partenza è infatti il "grado zero" degli eventi nella loro cronistica evidenza: su di esso l'opera nasce come percorso in cui l'invenzione testuale - volutamente alta e poetica, alla maniera antica - si assume il compito di raccontare e di creare i personaggi ma nello stesso tempo di interpretare, di suggerire in qualche modo un "commento", di offrire una visione che vada oltre.
Alla musica, in ardua complementarietà, tocca il compito inverso: "incarnare" quell'interpretazione letteraria dei fatti fino a calarsi nel racconto e a plasmare i personaggi. E dunque a completare la drammaturgia. Lo schema appare evidente in "Nixon in China", che la Fondazione Arena ha scelto coraggiosamente e meritoriamente di proporre al Filarmonico, primo titolo della stagione lirica (ed era la prima volta che l'opera veniva rappresentata in Italia).
Il bellissimo libretto della poetessa Alice Goodman rievoca lo storico viaggio del presidente americano e il suo incontro con Mao nel 1972, sciorinando - in eleganti distici - una complessa gamma di registri, da quello lirico a quello epico, da quello ironico a quello satirico. È un libretto intimamente "politico", che a vent'anni di distanza dalla prima e fuori dagli Stati Uniti perde ogni connotazione polemica per assumere piuttosto quasi un tono profetico. C'è un Nixon attento soprattutto a far sì che tutto avvenga in diretta Tv, e durante il prime-time, ma capace anche di intuire come la Cina, in futuro, potrà fare crollare con il suo peso il mercato globale. Di fronte a lui, ecco un Mao "filosofo" che disprezza la Storia, "sudicia scrofa", fissato memorabilmente nel suo minaccioso quanto vano ideologizzare su destra e sinistra dentro e fuori dal marxismo. Il privato dei due statisti finisce per prevalere; ad esso - nei rapporti con le rispettive mogli - è dedicata l'ultima scena, sorta di trasognato bilancio esistenziale dei due statisti. Tutto questo trova nella musica di Adams un mezzo di duttile espressività. Certo, a volte il rigore minimalista dell'invenzione, con la sua ipnotica tendenza reiterativa, appare fin troppo spinto, con un effetto di dilatazione narrativa che confina con la narcisistica prolissità. Ma è innegabile che la scrittura sia estremamente sofisticata, una volta che ci sia calati nell'ascolto cercando di cogliere i particolari. Le pagine strumentali sono ampie e timbricamente molto ricche, a tratti perfino descrittive, mentre la scrittura vocale non rinuncia a più evidenti linee melodiche, sempre però con un gioco di dissimulazione che rende i caratteri nello stesso tempo ben incisi e sfumati. I tempi sono in campo lungo, ma non senza cesure e scarti, il ritmo interiore è cangiante e non mancano allusioni stilistiche e citazioni (dal jazz al tardo-romanticismo). Di tutto si preoccupa molto bene il direttore Andreas Mitisek, che delinea - con l'impegnatissima orchestra areniana - un'interpretazione solida e profonda, nitida nei particolari e "flou" nell'insieme, com'è caratteristica di questa complessa partitura. Fra i cantanti (amplificati) si distinguono il teso e incisivo Mao di Daniel Norman, il meditabondo Chou En-lai di Roberto Perlas Gomez, il retorico e vuoto Nixon di Jeremy Huw Williams. Ottima per eleganza e tenuta vocale Suzan Hanson come Pat Nixon; molto meno, per la non controllata asprezza sull'acuto, Yu So-Yung nei panni della moglie di Mao. Preciso il coro. Spettacolo minimalista anch'esso, lineare ma un po' grigio, senza brillantezza di particolari per quanto corretto.
Lo firmano Peter Pawlik per la regia e Wilhelm Holzbauer per le scene, accomunati nei cordiali applausi riservati a tutti i protagonisti della serata. Si replica questo pomeriggio (ore 15.30) e poi martedì, giovedì e sabato sera.



da: www.ilgiornaledivicenza.it/


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