Ecco Antonio... comincio con l'esprimerti l'invidia -buona- che provo a leggere cose come questa, venute
quasi di getto, io che cerco disperatamente di scrollarmi di dosso quel cesello del verso, quel gusto di prosciugarlo, che spesso mi tengono a lungo su un testo.
Tenendo conto di questo mio stile ti segnalo le poche cose, che personalmente ritengo andrebbero limate
Ho imparato ad avvertire i passi della paura
A coglierne il peso inesprimibile
come di sabbia caduta dalle mani
che ritrova la strada del suo biondo mare
Ho imparato a decifrarla con lo sguardo
A cavalcare i suoi lampi di gelo
che come chiavi frantumano i segreti
e li aprono al dolore
Ho imparato a scorgere l'arrivo del bagliore
che arde come un falso sole nelle pupille
e si scioglie come veleno nei bicchieri
e nei piatti del mio aggrapparmi alla vita
Ho imparato tante cose
ma non a disimparare
la paura.
I
come sono davvero tanti, ma può succedere in una prima stesura. Comunque il "come" in genere introduce un paragone, non una metafora, per quello lo userei con parsimonia.
Il
suo biondo mare mi piace poco di per sé, inoltre
suo è proprio necesserio? e l'aggettivo prima del nome, un altro pallino mio, sa un po' di maniera.
E
i suoi lampi di gelo, lo leggo davvero meglio senza
i suoi, l'espressione ne acquista in efficacia.
La chiusa, infine, comprendo che hai voluto produrre un'eco, ma la lettura in quel
disimparare, a mio avviso si inciampa proprio alla fine.
Ho imparato tante cose
ma
non a disimparare
la paura.
Mi sembra di avere detto un sacco di cose, ma sono solo piccolissimi accorgimenti, che tirerebbero più a lucido una poesia già molto bella