UN TEMPO LONTANO (BALLATA SPERIMENTALE IN VERSI SCIOLTI)

notturnoop09
domenica 17 giugno 2007 12:59
Vi ringrazio di cuore per tutti i complimenti con cui mi avete accolto qui... [SM=g27985]
Come presentazione in questo sito, nel quale sono stato gentilmente invitato da Walter [SM=g27985]
ho scelto di postare una poesia ( SE IL MIO OCCHIO) data qualche anno, ormai ed alla quale mi sento legato in modo particolare...
Nel tempo, poi, ho modificato decisamente il mio stile, diventato meno "asciutto" e "conciso"... Meno "ermetico", anche...
Non saprei dire se fosse meglio prima od ora...
E' stato comuqnue un percorso proficuo... [SM=g27985]
Walter direi quindi, ritornando alle tue parole, che la via è stata più da Michelangelo a Chagall, che non il contrario (anche se mi sembrano a prescindere accostamenti troppo lusinghieri, sinceramente) [SM=g27985]
Per farvi capire a pieno la portata del mio cammino negli ultimi anni, vi posto nella sezione proprio la mia ultima poesia, che è quasi a metà fra prosa e poesia, appunto; con un andamento quasi da "ballata", sullo stile vagamente "beat generation"...
Un saluto a tutti,
Vale [SM=g27985]

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UN TEMPO LONTANO (BALLATA SPERIMENTALE IN VERSI SCIOLTI)

Esisteva un tempo molto lontano
in cui gli uomini non si curavano di niente.
Venivano da anni di sofferenza disillusione cinismo.
Era un tempo quello
dove il tramonto moriva cadendo nel mare
e i gabbiani sfilavano invisibili
oltre l’orizzonte.
Le persone parevano come alberi d’autunno
e la musica fischiava come fili tra le porte.
Era come un delirio nell’aria una noia una scatola di cemento nello spazio.
Era un tempo quello
in cui tutti erano rinchiusi incapaci.
Erano sordi e ciechi e muti.
Era il tempo dell’inizio del prima di ciò che sarebbe stato dopo.
Era il tempo del già vissuto.
Tutto era così immobile
come una ragazza che ride nello schiaffo di un momento.
Senza logica né programmazione.
Senza luce né vita.
Senza nessun colore.
Eppure l’uomo è una lucida follia. Un arco inconsapevole. Un punto di dolore.
Si dolore.
Lo slancio del nuovo. Di una faccia. Di un’impronta.
E nel dolore c’è chi trovò ancora silenzi. Parole da riempire. Davanzali da cui affacciarsi.

Erano chiodi scolpiti nel petto però.

Si perché noi che siamo voci fra due virgole che vagano nel vento.
Incapaci di capire di vedere di sapere.
Noi che siamo raggi di stelle che s’incamminano nell’universo
pollini di fiori gambe di bambini che corrono sulla spiaggia.
Noi che siamo coriandoli gettati sulle strade
sassi nelle serate d’inverno.
Noi abbiamo un impossibile che ci spinge a cercare e a vivere e a sperare.
Siamo quei racconti di favole del come
“c’era una volta”.
E tutto così cominciò dal buio. Dall’infinito.
L’infinito della dispersione del nulla del desiderio di se e dell’altro.
La distanza di uno schermo in cui dimenticarsi e viaggiare.
Arte direi. In una parola
ARTE.
Era arte quella sorta d’illusione
come un bicchiere di vino bevuto in compagnia.
Era sfiorarsi di sensi.
E così a poco a poco passeggiando su Ponte Vecchio o ad immaginare
un’altra via dispersa nel mondo.
Guardandosi negli occhi verdi.
Guardandosi negli occhi lucidi e sordi.
Negli occhi di chi vede le cose in un modo a sé perché perfettamente idiota.
O pazzo.
O felicemente perfetto.
Guardandosi avevamo capito tutto
invece.
Del prima sì
del prima.
Avevamo capito l’importanza dell’ora e del se.
Del nostro camminare storto ed ingenuo. Del nostro rifugiarci assurdo.
Avevamo capito che potevamo dare tutto e morire in un urlo solo
come chi sbatte le ali in uno spunto incomprensibile.
Come una libellula.

Eppure eravamo compiuti.
Compiuti nel nostro cerchio ignorante di cielo. E stupendo e solare e perduto.
Avevamo capito che anche nel fango nell’ignobile passato.
Nelle verità mai dette o confessate.
Nei vetri rotti e sporchi di noi.
Avevamo capito che altro era l’Amore.
L’Amore che per poco ci baciò la fronte sì.
L’Amore che fu come un fiore nel deserto
come un’alba sul pontile una goccia di cera sulla pelle.
L’Amore che ci graffiò la schiena l’Amore incolpevole.
Troppo puro e dolce e imperfetto.
L’Amore delle notti d’estate delle mani sui prati della terra bagnata nelle scarpe.
L’Amore di spine e di grida fra le coperte.
L’Amore fra la sabbia fra le stelle
l’Amore di lucciole.
Inarrivabile disfatto.
E azzurro e bambino.
L’Amore sogno e speranza e paura.
L’Amore che è morte e indicibile voce.
L’Amore come l’immagine bianca di te che mi dai un abbraccio
sulla Piazza di Santa Croce.
L'Amore delle mille ed insonni lettere.

Avevamo capito che si poteva osare però
scavare nell’ombra.
Come un ultimo canto come una vela.
Lo scatto di un’aquila nel mattino del silenzio.
Per un foglio di carta una penna del sangue nelle vene.
Avevamo avuto un giorno per partire e non voltarci mai.
L’Amore di quando tutto è fermo nell’attesa bruciante di noi.
Che ci aveva dato due binari sospesi nel buio
e nell’attimo in cui tornammo all’inizio
ci aveva chiesto ancora
di vivere.







walter.w
domenica 17 giugno 2007 14:37



Rispondo al tuo interrogativo circa il tuo percorso poetico, caro Valerio, con parole che di certo io non avrei saputo usare e che perciò ti riporto in altra sezione di questo forum:

http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=102771&idd=173

ciao, e mi fa davvero un immenso piacere camminare ancora insieme, fra tante belle voci qui del forum.

Ti ho considerato sempre la più bella voce poetica del web.

sarò solo un tuo tifoso?


Ti abbraccio.

walter






Modificato da walter.w 17/06/2007 14.42
Anhelikax
giovedì 21 giugno 2007 18:59
fa un po spavento commentare una poesia così lunga e complessa...non ci sono abituata,dico che mi è piaciuta,mi riserbo di tornarci
saludos
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