Walter Vetere

fabella
00martedì 15 maggio 2012 11:08
la complessità della poesia

"La complessità quale struttura linguistica che donando respiro e transito alla parola presa, rap/presa, la eleva dalla concretezza dell'attimo a concetto di infinità." (W.V.)


avrei potuto
gennaio 2012



La poesia di Walter Vetere. Uno svolgersi temporale che trasfigura il singolo fatto universalizzandolo nella parola, con le parole. L’atto formale già-noto della poesia universale si manifesta prediligendo l’utilizzo delle parole "umili". Così che nel quadro strutturale della sua scrittura, risulta una forma sacrale del linguaggio che a tratti svolta al classico, a tratti assume l’impianto di un testo sacro o filosofico. Quasi la reminiscenza della storia che ci portiamo dentro da millenni a percepire gli ambienti, a sfiorare appena i particolari della quotidianità contemporanea e il suo procedere nell’era della cultura digitale e mediatica. L’autore stesso spiega: “Il ‘noi’ sta a rappresentare la perdita dell'individualità a favore di un io massificato, l'indicazione che è sempre e solo rappresentazione contingente di fenomeni che richiamano all'interno di noi stessi sensazioni già provate ed ivi già codificate.” Egli non si definisce un passista con la parola, quanto uno scattista potendo solo nello spazio ridotto, trovare un certo equilibrio dell’intero tessuto, compreso il linguaggio. Linguaggio che per lui, è sempre dominante in quanto mezzo di annodamento ed evoluzione storica in sé, sia quando la parola viene evocata, sia solo strumentalizzata per una pura comunicazione.
(13/04/12)


Che s'ammatura ai venti

Questo tuo prestare i fianchi nell'alto,
gli anatemi, il dì futuro
che tanto parve, a me, così ben ordinato,
di sera, i lampioni, l'apparirne tu incantata
di luna, il profferir lontano dei semafori
che, a dir poco, più non contenemmo
le voglie, i rudimenti che, altri, avrebbero
chiamato amori, noi solo incanti
da spicciolar, così, come petali di rosa
che s'ammatura ai venti.



La via del ritorno


Che non ci sia più il candore d'un tempo,
alla luna.
Che anche le lucciole cantino stasera,
nella loro danza degli attimi, i ricordi.
Il sia che tutto fu tra petali d'un buio e tu lì
a rimpiazzare l'ornato, con ancora tra le mani
il freddo delle foglie.
E tutto si parea dolce, tornando dall'inverno,
al caldo di una rosa che sapeva, per più,
di primavera.

Come oleandri i fiori s'appellavano
tra le siepi, in cui quegli anfratti nostri,
a terra, nei tramonti,
che le parole giungevano così scampoli
ai meno di un silenzio
che ozioso, ora, anch'esso s'allenava
sulla via del ritorno.



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Vuotità

E più e più
già: la rondine in cielo
avemmo vent'anni, allora-
avrei da dire alcune cose, ora,
avrei da dirle da seduto
accanto ad una tavola imbandita
con bicchieri in cristallo,
inizierei da lì
porgendo il bicchiere in alto
verso il lampadario a tre luci,
assommando così vuoto al vuoto,
necessità e desideri,
ed in fine: è giunto il tempo, si
dirà
il tempo di alzarci anche oggi,
mentre il televisore continuerà
a restare acceso.





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