intervista: a filodiseta

ormedelcaos
venerdì 20 luglio 2007 21:44




Tra il combaciare un’idea sulla tela e il nuovo refuso del pennello.
Mi piacerebbe tu descrivessi questo tuo stato d’animo, in particolare come da un pericolo possa nascere una opportunità
.



Il refuso del pennello è un grande amico: mai che io lo tema.
Mi commissionarono di dipingere su di uno specchio. Era la prima volta ed erroneamente, abbozzai il disegno col pennello, in giallo evidenziatore, bello come il magenta. Non avrei dovuto farlo: era la prima stesura sullo specchio che avrebbe riflesso quel colore cosi sgradevole. Proseguii, impastando la luce con l’ocra e l’oro. Il disegno, classico del putto appoggiato a un albero che correva parallelo al lato destro delle cornice e una fiera maculata, stesa sulla base, era di grande effetto.
Una volta finito e visto nell’insieme, si notava qualcosa di magico, oltre la bellezza della realizzazione: pareva un bassorilievo, se solo il punto di vista si spostava dal centrale all’accidentale, anche di pochi gradi. Tutto grazie al quel primo errore che si rispecchiava, fornendo punti di luce anche dal rovescio della pittura.

E mille altri errori, mi vengono in aiuto a produrre effetti gratuiti, che mantengo, nel percorso pittorico di un’opera.




Tempo e spazio, colore e forma, l’evento tra il gesto e il pensiero. Dove collocheresti, mentre dipingi, l’idea: in quale luogo spaziale e temporale rispetto alla tela.
Per chiarirci meglio, prendiamo la tua bicicletta, il tuo quadro che la rappresenta: quale era la tua idea mentre la rappresentavi e in quei colori
?







Fu il mio primo momento pittorico, quello della bicicletta. Delle stesure piatte, dei colori puri, delle luci non impastate, ma sovrapposte. Fu definito il mio periodo “fauve”. Il sentimento predominante era il potere da esercitare sulla tela, quasi a violentarla, a ferirla col colore. Mi aveva fatto soffrire e volevo vendicarmi. Ne uscì una lunghissima serie di tele, con paesaggi di ruderi, rami spogli, vecchi portici, mezzi agricoli, biciclette e pure stufe di altri tempi.
Dire dove collocherei l’idea mentre dipingo, non lo so. Anzi, sì che lo so, nel gesto la collocherei.
Il gesto pittorico supera, stravolge, prende e guida. Un potere razionale, però, resta alla base di tutto: il disegno a matita, per non chiamarlo solfeggio a matita, metrica a matita, sbarra a matita.
La tecnica indispensabile per sviluppare, violentare, stravolgere, qualunque tipo di espressione artistica, senza sentire dietro il vuoto.





Lo sfondo. Quando per te lo sfondo è più rappresentativo del soggetto del quadro.



Qui occorre rifarci all’esempio del “collage rosso”. Lo sfondo spesso, per me è il quadro e il soggetto è il pretesto figurativo per un discorso esclusivamente pittorico.

Vado con l’esempio. Ecco il “collage rosso”:





Una figura abbandonata, malinconica, con lo sguardo perduto nel vuoto e nel tempo, quasi in attesa di qualcuno che non vede arrivare... tanti significati, o nessun significato.

Ma supponiamo che il significato (volto) sia di troppo e vediamolo così nella versione corretta al computer ruotata di 90° a sinistra:





Cosa resta di tutti i nostri significati?

Proprio nulla mi pare: il richiamo figurativo risulta solo un pretesto per suscitare gradimento, per fare riposare l'occhio su un bel viso. L'intento è solo pittorico. Trovare l'equilibrio di masse informali, su una base figurativa, per distruggerla nella ricerca e nella sovrapposizione della materia.
Nell'insieme, il mio quadro viene letto in funzione del viso, non essendo generalmente abituati a leggere a geroglifici di poesie, scritti, dipinti, dei quali forse perdiamo qualcosa che la mente non percepisce.





In quale angolo del quadro sosta la tua mente, e dove in esso individui il tuo Essere te.



Tra le penombra e la luce, dove la tela attende le ultime pennellate per diventare quadro. La mia mente è li, più che nei contrasti evidenti, nelle piccole luci, quelle tendono a passare inosservate sul buio o quelle che vanno abbassate sul chiaro. Perché il nero non sia mai un buco e il bianco non sia mai di gesso. Lì, individuo il mio Essere me: nella profondità del non-nero e nel rilievo del non-bianco.





I confini tra forma e colore



Il confine tra la forma e il colore è l’atmosfera. La forma la incide ed essa la avvolge dei suoi colori.
Il confine si annulla con la lontananza, dove l’atmosfera inghiotte le forme che sarebbero visibili in sua assenza (certo che i colori “evidenziatore”, sono sempre gli ultimi ad essere inghiottiti: vedi giubbotti obbligatori, in dotazione sulle auto).




In pittura è una lezione che ci viene da Leonardo. Ecco che torna il discorso dello sfondo.

Quanti ad arrovellarsi sul misterioso sorriso della Gioconda e quant’altro di quel viso, quando è lo sfondo, protagonista del quadro e la figura fa solo da spalla: l’elemento in primo piano, nei diversi strati di compenetrazione delle figure con l’atmosfera.




Riprendo questa tua frase: “Il sentimento predominante era il potere da esercitare sulla tela, quasi a violentarla, a ferirla col colore”, per chiederti come rappresentante femminile: In quali atti della vita artistica o quotidiana della donna noti questa virilità, questo atto di violenza e ferimento da parte della donna, ossia di dominio sul suo mondo che la circonda?





risposta sadisbuffa alternata a carezze “cinghiale”



Sarà che quando sbuffo sulle domande cieche
mi contengo nella tua capienza
laddove sono gomito e mi vuoi baciare

laddove non accetti inviti dalle amiche, anche se
preparo il doppio cambio del pigiama
e leggo bugiardini di condoms da metterti in valigia

sappi che affondo mine sul bianco ombrato
di un disegno più bello della battaglia di Anghiari
e vorrei che solo una radiografia lo veda, nel duemila e80
sotto l’olio di un tema da dozzina

sappi che so violentare le foglie nel sottobosco
arruffarle
in un disordine apparentemente quieto
pensierini spruzzati di fragole e morsi
di rose canine e genzianelle


Voglio sentirti capitolare ai silenzi
affusolarti alla vendetta conteggiando percentuali
inconciliabili


sappi che so tagliare di giallo la schiusa dei calici
le ruote pensili
orizzontali corone di pavone, sugli stami


Spalmata di grissini al rosmarino ti pungo il sudore
alla canicola
tra il fumo e il rancio grasso in alluminio

stringerti il cavallo dirimpetto
con i piedi e sentirmeli
mordere dai buchi della cinta

burattinaia sulla carne
instabile
quale setola di cinghiale inspiro
il colore raddolcito


dell’astinenza




La prossima intervista, se accetterai, sarà proprio sulla tua poesia, sulla tua ultima risposta, e sui differenti spazi pittorici e mentali tra pittura e scrittura alfabetica.
Ti ringrazio.
















Modificato da ormedelcaos 20/07/2007 22.32
filodiseta
venerdì 20 luglio 2007 22:39
Subito ti dico che mi piace molto l'idea di queste interviste, nelle quali ognuno di noi può scegliere chi intervistare o da chi essere intervistato.

Questa sulla Pittura, grazie alla tua pazienza e alle domande che ho particolarmente sentito, è venuta davvero bene.
Per quella sulla Poesia, certo che accetto.
Rispondere alle domande di una intervista, in questi termini, non può che aiutare a capire meglio se stessi.



Vabbé, grazie non lo devo dire... e non lo dico [SM=g27995]





[SM=g28003]
ormedelcaos
sabato 21 luglio 2007 08:55


Allora mi preparerò le domandine...ine ine.

Ti sorrido.


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