tra iride e i silenzi

si inventano
cornici di vignette, sacre
destinazioni di rosari
a poste


|grani d’uva sulle some|


cubico incontro tra iride e i silenzi
a ciglia gonfie
sulle assenze in rime
nei racconti contrari
per metà


|brindiamo nelle grolle a cera persa|


calchi d’anelli
col picciolo a griffa
di scheletri ingessati
nel cilindro


|non sei più qui, a srotolarmi il giorno|


mentre la notte
inspira lame e inghiotte
i chiaroscuri d’aria e di riposo
fila l’acqua
sui ragli di civetta


tra l’obliquo e il canto
fregia di vento


|la speranza|



fine.

... pudore, ho pudore per questa poesia...

Daniela cara, togli quella parola "fine"... è un macigno e tu hai bisogno di volare...

Con affetto,

Anna

Cara Anna,
forse l'atteggiamento di pudore che suscita in te questa poesia, deriva dal fatto che hai perfettamente colto il mio di pudore, nello scriverla.

Succede che... si senta il bisogno di buttar fuori delle cose, senza svelare fatti o focalizzare sentimenti.
Ne abbiamo proprio parlato da poco: che sarebbe la musica, in questi casi a riuscire a dir tutto senza dire nulla.
Purtroppo un mezzo di espressione che mi manca.
O la pittura, certo, fatta solo di colori e immagini indefinite.

La poesia non è mai complice abbastanza, ma è l'arte alla quale sto affidando la maggior parte delle mie emozioni.
E la complicità di chi come te, Anna, riesce a leggerla sull'onda della mia sensibilità, mi rende immensamente felice.

Grazie





daniela

la parola "fine"


credo di averla scritta con doppia valenza

prova a leggerla anche al maschile e non ti apparrà più un vicolo così cieco