c’è un filo che lega il cielo al sottoterra e si chiama dolore
se avessimo aperto le speranze nelle strettoie delle mani giunte
se mai avessimo schiuso le vertigini prima dell’insolenza
del germe ermafrodita che sconvolge i piani e se nel germe avessimo
scorto le ali del giudizio avremmo forse ragione di graffiare un nome
sulla vernice di occhi fiduciosi sorpresi solo nel dolore
aperti all’infinita bontà del giglio senza bianchi, rotti nell’arcano dello specchio
se avessimo tolto le giunture i legamenti le garze volatili della coincidenza
dove la morte è soltanto un teorema senza incognite ma con centomila variabili
(
se con quelle ali perse al gioco della mela trinità meschina del possedere)
avremmo -chissà- risolto la polvere nei vassoi del destino somigliando a dei
dalle facce rozze e mani piccole ma con dentro tanto amore da superare il guado
delle stelle dove una Maria attende che si muova la pietra-cornamusa che annuncia
[Modificato da al_qantar 11/01/2012 19:07]