Laboratorio di Poesia scrivere e discutere di poesia

Manuel Micaletto

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    fabella
    Post: 5
    04/02/2012 08:54
    questo autore mi ha folgorata dalle prime righe. potere leggerlo qui:




    il cartaceo





    questa un'introduzione alla sua poetica di Rosa Pierno


    "Se l’uso della filosofia in poesia corrispondesse a un mettere dei paletti intorno a cui fare slalom per mostrare come a certe indicazioni perentorie la poesia risponda con un rilanciare verso l’aperto, useremmo come esempio di siffatto caso il libro di Manuel Micaletto “Il piombo a specchio”, Cierre Grafica, 2012, appena uscito grazie al concorso indetto dal sito www.poesia2punto0.com, fortemente voluto da Luigi Bosco e accolto con entusiasmo da Flavio Ermini nella collana da lui diretta “Opera Prima”, il quale ha anche stilato la premessa, mentre Mario Fresa ne ha redatto la postfazione.

    Un porre dei paletti che non equivale a disseminare citazioni, ma letteralmente a prefigurare dei percorsi attraverso una segnaletica divelta da un travolgente, velocissimo passaggio che lascia sul campo, vero e proprio atto di lacerazione, una sfrangiatura che diviene ambiente di coltura, come certe anfore inabissatesi su cui si incrostano migliaia di organismi.
    Abbiamo detto filosofia, ma avremmo dovuto dire anche scienza, biologia, religione, storia. Si addensano e si espandono, col ritmo variato del respiro, mentre si ascolta lo scorrere del sangue nelle vene, le punture, le contusioni, le ferite della cultura le quali pretendono una cura, necessitano di un decorso e di una “condotta clinica”. Poiché in Micaletto agisce il bisogno di liberarsi dal fardello, dall’insana deviazione inflitti da un sapere che se riceviamo come già composto, dobbiamo vivisezionare, scandagliare, ricondurre a più miti apparenze, a meno sirenee deviazioni o astrazioni: bisognerà decostruire il consenso. “Tutto un mondo, ora, passa la mano, scivola / nel linguaggio, commette un’intesa. // da che ho invertito / osservanza e osservazione” e si noti quel ‘commette’ che porta con sé una colpa e quel rimando a un metodo che trova collocazione nella poesia in quanto l’osservazione di tipo scientifico si stringe con un lacciuolo alla regola morale, affinché stretti assieme non perdano pezzi per strada, non restringano il campo visivo, non decurtino le diramazioni percorribili.

    L’andamento investigativo si dipanerà tra l’osservazione effettuata applicando un metodo scientifico, chiamiamola pure ragione a larghe falde, e tutto il resto del mondo, ove persino i morti coabitano nel medesimo spazio del poeta: dal proprio divano si proiettano interiori mondi iperurani, domestici aldilà.
    Il dialogo intessuto in questo libro si mostra in controluce come formato da mille piani solo apparentemente contradditori: abbiamo già detto geometria/spirito, ragione/immaginazione, fisico/mentale, ma, appunto, la contraddizione non è elemento sul quale far leva per Micaletto:

    La luce cariata delle tapparelle
    passa il corpo a setaccio, prende la stanza
    in contropiede: bianco che azzera
    la linea mediana e questo silenzio
    lanciato a mille sgombra
    a pattuglia del nome. È già una lesione, una prosa
    del taglio

    A riprova del fatto che il mondo è proiezione linguistica e che è nella lingua che risiedono le regole, anche quelle nuove, quelle che ogni poeta inaugura:

    Nel mare immediatamente successivo l’acqua
    si comporta come nel mondo reale. Se si oppone
    è liquido di contrasto, matita rossa, l’errore
    è un cerchietto attorno alle cose, l’aureola di fiato
    mentre incolli la faccia al vetro.

    Esiste un luogo, ed è la poesia, in cui “l’interezza dei pesci e degli dei mirabilmente” sono compatibili e in cui la filosofia viene liberata dalle sue strettoie (quando acconsente ai limiti della ragione) e in questo luogo esiste “una sproporzione / tra estensione e vita, ed è difficile in tutto questo / rinunciare a un distretto / immacolato, fare a meno del vuoto”. Ciò nondimeno accade, si percorre il sentiero accidentato. Vi collassano dunque tutte le separazioni, paletti, steccati, veli divisori che sono attivi in ogni dove, meno che qui, in questo sgorgante, inaugurale libro"

    Rosa Pierno
    [Modificato da fil0diseta 18/04/2013 16:51]



    "Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
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    fabella
    Post: 731
    18/02/2013 07:33
    per leggere più facilmente
    Nota dell’autore

    Poesia è archeologia. Svelare qualcosa di antico. Un rinvenimento - più estesamente, *rinvenire*. Maneggiare fossili, cocci: il corpo dell'estinzione.
    (Per questo leggere-scrivere: non divertissement ma, realmente, questione di
    *principio*).
    Questo è Rilke che spolvera il suo pianoforte: "ed il suo bel nero profondo diventava sempre più bello. Che cosa non si è conosciuto, se non si è vissuto questo! [...] mentre tutto diventava chiaro intorno a me e l'immensa superficie nera [...] acquistava, in qualche modo, una nuova coscienza del volume della stanza, riflettendola sempre meglio (grigio chiaro, quasi cubico)". (Poesia come faccenda domestica).

    La casa, inevitabilmente, è il témenos. Il luogo (e non lo spazio) spinoziano dove collidono istanza etica e
    geometrica. (Diciamo, per economia: il luogo *geometico*). Dove l'azione è prosciolta dalla volontà, scagionata, tradotta in gesto gestazione. Dove la polvere sprigiona gli oggetti =>
    stando a Brodskij, "privatizzano l'infinito". L'infinito è proprio un esito della pressione, dello schiacciamento:
    davvero la parola è "flatus vocis". S-fiatare.

    Perciò la casa non è la "somma di tutte le perfezioni", non l'addizione, ma la dizione. Scandire l'evento. Anche nel senso per cui Bachelard dice degli armadi che sono il "luogo del candore".
    L'impasse heideggeriana dello svelamento (a-letheia) si risolve nel prendersi-cura-del-mondo, accudire gli oggetti, sollevare la polvere fino al momento della luce, alla radura improvvisa (il mot(t)o eracliteo del fulmine che taglia il bui o).Forse è questa la lezione di Cartesio, del Cartesio ottico, del Cartesio di Grünbein, "sulla neve": le parole sono "lente" (prima ancora che lette e dette - diottria\dottrina e latenza).
    Frenano l'evento fino alla pacificazione del perimetro. Ingrandiscono, adulterano, falsificano, soffondono, mettono a fuoco l'evento ("feu la cendre"). Lo destrutturano fino a rimuoverne il significato cinetico. La casa è il singolo "frame" - la cornea, la cornice (battuta gratuita: cornietzsche). Vedere la casa significa non vedere niente. Muoversi geometricamente, automaticamente, un orientamento dianoetico.

    Casa è l'altro nome della cecità. La neve è un continuamento della casa, l'applicazione dell'uniformità del luogo allo spazio.
    (Derrida *osserva*, a proposito di Tobit: *vedere* l'origine. Archeologia). =>: dare alla luce: convocare la superficie, lo "smalto sul nulla". Riesumare un volume pregresso. E allora, più precisamente, riportare (dall'ordine) alla luce: rendere conto alla luce di -, riferire alla luce. Un catasto (dolente)."Io sono morto e resuscitato con la chiave ingemmata della mia ultima cas(s)etta spirituale" (Mallarmé). La casa-scatola. Meglio ancora, la casa-scrigno. Una stagione all'interno. Una sintassi china su se stessa, ricurva, come la verità nietzschiana.

    Dunque cas(s)a di risonanza, a vantaggio della parola. Per questo la poesia deve essere vuota: per essere abitabile.- (Non non non (non) "rovinare le rovine". Piuttosto, rovinare. Mimeticamente, fino alla spina dell'identità, il ricovero. Il romanzo, la tragedia del fenotipo.Non a caso Bachelard parlava (insistentemente) di "retentissement").

    Manuel Micaletto

    Il piombo a specchio

    Benedizione del legamento
    Ricordo la passeggiata
    di Hobbes, le strade premute come cefalopodi – soprattutto
    [di ogni passo
    l'origine, la gabbia intercostale. Poiché la secchezza delle fauci
    vale come carestia
    per queste vie brachiali, percorse ora a un fianco
    ora in mezzo al torace, dove
    il sangue è reciproco e la sintassi
    dispari – il “più bel legame”, il vertice che attira
    gli insetti. Un viale alberato
    è un cordone sanitario
    dove il centro sta per miracolo, mentre i lati
    toccano alle epidemie. Per comodità, separo la predicazione
    dal contagio - ma decisiva è l'inclusione, la corsa
    ai linfonodi. (Le cose più piccole, per esistere
    devono eccedere in numero, sfasare il tetto, tramutare la cifra
    in effetto). Ma come gestire le gambe, tutto – se il corpo contiene
    vuoti ricorrenti
    ricavati tra le spugne – come, se accoglie
    ogni schiacciamento
    e teste enormi. La peste è un'unità
    piramidale, installata dove tutto è più molle - è una camera
    sottoscapolare, un tessuto
    poroso. E raggiunta la sua sede, trema:
    esattamente un budino.

    Retentissement
    Anche questo sonno mescola le ossa, sceglie il centimetro, la
    [statura
    dell'amnesia. Tutto è esposto
    alla trazione invisibile, il fiato corto degli dei
    che inalano il soffitto. A nulla vale l'agilità del telaio,
    la parola al carbonio, l'acqua
    senza mediazioni, nel prodigio. (Qui la fine
    è una funzione del tessuto, procede dall'amido).
    Dunque molte cose sono un'esplosione, più le altre
    che arrivano in barella
    nello spazio di un taglio. Perciò della tosse credo
    più della scossa: invece concentra il buio, la sillaba
    dell'infortunio. Svegliarsi allora
    è medicare la stanza, sbucare nel secolo.
    Più alto l'incarico: tutto accade così fuori – tutto, intendo, rasoterra
    in perfetta aderenza, la frizione anatomica -non possiamo che ricevere i feriti
    dove avviene l'origine e tende
    a non scomparire, ma anzi a precisare la cura
    questa casa ha un decorso, una condotta clinica.

    Ri-capitolazione
    Non si interroga un oggetto ma si collauda il vuoto
    non si torna vivi tra i vivi per raccontare
    come l'occhio si conclude dove
    comincia la pista degli atomi e più o meno tutto si arrampica
    per mai più tornare, più o meno tutto stravolto, con le zampe
    che tentano un recupero, un insetto in quella frenesia
    che risucchia l'aria - e la crosta pure intatta, dietro, fa a gara
    col mondo, disegna una ruota, una trottola
    nel cuore della corsa, un giocattolo
    della fine.
    L'infanzia è un ronzio di aerosol: un boccaglio spray
    attrae la percentuale, la frazione curativa, il settore
    che ripristina il sangue, l'acqua derivativa
    ai minimi termini.

    Layout
    Il tempo a barre dei display
    strattona il sangue nella mischia, contende la mosca
    al suo dominio di centinaia
    e centinaia di occhi, e centinaia ancora, la folla
    si rovescia e reclama
    il vuoto innocente e preme e divarica
    la stanza, curva a strapiombo, rintraccia nel letto quella norma
    che detiene l'origine.
    Non è facile rinvenire
    un altrove del centro, spiazzati
    in testa al buio compatto
    che si fa strada e lascia
    il mondo al palo.
    Così poveri di mondo, allora, staccare il testo dalla pagina e
    [questo enunciato
    che prende una strana piega, si sbilancia, cade a specchio,
    [obbedisce
    al suo stesso piombo.

    Rodaggio
    Non c'è intelligenza nei passi ma la molla
    asciugata di scatto, la retorica del corpo, la circolazione.
    (Se osservi un millepiedi muoversi
    hai veramente l'impressione di vedere un'onda
    che sfila lungo i suoi fianchi)
    A volte quando dormi
    un braccio dorme più forte, ti sveglia. ora è sordo,
    chiama il mondo a raccolta. così una parentesi
    si allarga a forbice
    dall'unghia alla spalla - così una periferia
    del discorso, una subordinata
    costruisce il consenso.
    Anche il sonno è una disciplina,
    gli occhi a pieno regime. sarà materia di studio,
    elenco puntato, indice, dottrina. Lo stesso azzurro del cuscino
    ci sarà da lezione. un confine semplice.
    Intanto quel braccio prosegue, realizza
    un distinguo, scioglie gli indugi, fa
    come niente fosse, esprime un peso.
    tutto un mondo, ora, passa la mano, scivola
    nel linguaggio, commette un'intesa.
    - da che ho invertito
    osservanza e osservazione
    (Verremo poi interrogati, valutati, daremo conto del sangue)

    Norme viventi
    La sepoltura dei morti è un modo di contare l'ombra
    che risale alla piena dei passi, dimezzare la parola
    contro il varco o come
    distribuire il dolore in parti eguali e tutti
    rendere grazie al suo unico
    principio di conversazione - mentre qualcosa
    resiste alla vita come
    a un'inondazione, una scorreria di cellule
    tutto procede senza interruzioni
    finché l'evento non chiede asilo al regno
    degli invertebrati e in osservanza
    alle leggi più abissali assume
    una densità altra, sconfessa quella severità
    dello scheletro per resistere al fischio della pressione
    che confeziona la silhouette
    in vista dello scoppio
    e l'interezza dei pesci e degli dei mirabilmente
    assistono la concorrenza
    di niente in vari
    e pratici formati (l'idea è che le cose, nella discesa
    sostituiscano al peso
    un dispositivo
    di sicura efficacia)
    e l'evento di cui prima
    semplicemente non può esistere e plana
    uno strato più in basso, perviene al tappeto
    del discorso, si deposita
    nel vuoto
    è dunque prassi che la stazza dei morti
    sia incrementata per ragioni
    di compatibilità strutturale, in adeguazione
    alla morte e alle recenti norme (la prima non conosce scomparti
    ma scomparsi e potete facilmente riconoscerla, enorme
    e si presenta sempre tutta dunque ciascuna morte
    si configura come una strage, una frana integrale)
    perciò un cadavere non conosce pace da che
    inizia ad ingrandìrsi
    fino a quando non spicca il volo e certamente occorre indagare
    riguardo questa sproporzione
    tra estensione e vita, ed è difficile in tutto questo
    rinunciare a un distretto
    immacolato, fare a meno del vuoto

    Un primo niente
    Cose durissime si opposero
    all'anello terrestre, al metamero irrigato.
    Nella boccia avvenne l'insperato,
    la corolla d'aria: non una foglia
    tremò più del devoto.
    Per mezzo di grandi anfore e di
    significati ancora maggiori
    approntiamo il travaso di umori,
    il medaglione di creta.
    "Due infelici tendono in principio ad amarsi
    poi a farsi dispari"
    Un bilanciamento più esatto
    si esprime oggi
    nel lingotto di pane
    che tappa la casa, imbocca il milione.
    In concomitanza di niente
    si avverano pietre

    Un secondo

    -Dicevi dei gesti
    che non hanno mai conseguenze - ma gestazioni,
    placente, vuoti materni. Temo l'entusiasmo
    degli uomini.
    Qualsiasi pioggia
    ci trova sbilanciati,
    conosce l'abito
    fino alla carne scoperta, al segno dell'elastico.
    "Diffida dei viventi
    ed ama gli abitanti
    poiché lo spirito di dio aleggia
    in principio sulle acque, poi sulle case.
    In maniera non difforme
    ogni azione è feroce
    e solo un'idra
    prepara gli esami"
    "Non impareremo mai a legare
    che sia la scuola, o le scarpe"
    "Ti attribuisco i morti e un cappotto
    analogo alle mosche"
    Uno stagno
    bastò a scoperchiare il nome
    esatto delle tartarughe.
    Da cui tutte le cose docilmente
    discendono - con il carapace
    e il liquore inattingibile.
    Che possa
    questa giaculatoria
    esorcizzare l'inevitabile, la pozza in pieno viso.

    Trattativa
    Per un tempo che ci parve a strisce, a loacker
    hai chiesto un pennarello.
    Se soffi (all'indietro) si attacca alla lingua.
    Indispensabile è soffiare a ritroso. Con un po' di pratica.
    In quel punto diventa bianca.
    La sveglia ha un'apertura alare di 12 metri
    per sorvolare gli stagni e il sonno e cibarsi di
    - tutto fa presumere – pesci.
    Per scuotere a dovere le campane.
    Il letto è perpendicolare al discorso:
    i due angoli che si vengono a creare sono uguali.
    Questo corpo sotto dettatura
    non oppone resistenza, smette a tentoni,
    versa l'intera somma, sull'unghia,
    il bottino di sangue. Una tratta di zero
    farà saltare il banco, metterà fine.

    Mi piacciono i labirinti sospesi
    come in KULA WORLD, sapere un cielo
    di laser, ustioni
    una semplificazione delle sfere
    dall'Empireo ai palloni, dai pianeti
    ai cinema. Similmente
    non ci è dato percorrere una città,
    ma colpire a valanga, travolgere le ante.
    Tutte le case sono una,
    l'economia domestica. E ciascuna
    custodisce il mistero
    delle cose svelate, e un altro più uniforme
    che dispone la presenza,
    la materia compres(s)a.
    Diciamo indifferentemente
    quanto sopra e memoria, nulla si crea
    nulla si ricrea, tutto viene a noia
    prima di svanire in corner, a febbraio.
    Un insieme è la bolla
    più insperata: stabiliamo una tattica
    di interruttori, la slavina di merito
    che piomba sul muso della stanza,
    sulla plafoniera.
    "Questo quadro potrebbe far perdere la fede"
    "Nessun quadro è bonus.
    Perderai 30 vite.
    A ciascuna opporrai la torsione stabilita, il click.
    Resusciterai
    all'inizio del mondo, nel midollo di luce
    dove apprenderai Cristo,
    la croce direzionale".

    Porgi l'altra guancia
    offri il cotone, la borraccia
    salvami dalla menta, dal flacone
    che impazza
    e lascia il vetro inalterato, dalla chimica
    che formicola fin dentro il letto.
    In cambio vorrò parlarti, offrirti una bibita
    la cannuccia dell'infanzia.
    "Perdonami o padre, perché molto ho dormito,
    perché tutto è pieno d'aria
    tranne gli insetti - che danno l'idea
    di non respirare"
    Noi vivi ospitiamo il quadrante
    la flessione dell'ombra, il catrame. Abbiamo la fronte tenera,
    friabile, siamo disposti agli squarci.
    La popolazione dei morti
    occupa un'estremità del pianeta
    dove il sangue non supera gli uomini
    ma anzi li accompagna, li vede a tavola.
    Deponiamo i libri
    perché qualcosa potrebbe esserci, infine
    mentre dai macigni
    ci chiamano, imbevono gli stracci

    A.W.
    È un coccio di cisterna
    la cavità trattiene
    il vuoto, un'ultima volta: così incubiamo
    le munizioni,
    concepiamo le analogie a pelo d'acqua, affilate. Con
    [generose fiale
    di ossigeno -Abbiamo avuto ventose, in tempi diversi
    abbiamo fatto dell'aria una cupola,
    una biglia lucente. In un pomeriggio
    ho violato il tuo piano
    bloccando ogni cosa al suo porto
    il fuoco compatto
    delle navi. Fu per sempre - quella costola investita
    di una coerenza improvvisa. Hai spento il DS,
    hai abbottonato lo sbarco.
    Hai preso la catastrofe
    in tempo, prima che divenisse finestra nelle opzioni,
    inalterabile culla statistica. Mi hai mostrato la nascita
    fatta com'è
    di mari del nord, montacarichi, bocche arrese ai quintali.
    Purtroppo mangiano
    le persone
    in treno.
    Il taglio è sempre a spirale, è un temperino
    un tentativo avvitato. Non sei bravo
    non sei bravo. Ci succede un trionfo,
    un bambino scemo. Come possiamo sperare ancora
    le alabarde, il pattern, la configurazione
    dei comandi, dal momento che noi non ci siamo mai stati,
    e l'inverno sì,
    cento volte, cento mille, ciao. Per questo ti chiamo fratello,
    ti compro un ghiacciolo.

    Un niente ancora precedente
    L'analogia del piombo
    così vicina agli scatti, alla pressione
    immersa nei quattro circoli del latte
    nella tazza che inquadra piccolissimi naufragi
    dove qualcosa ancora annaspa
    Mentre il cucchiaio percorre vortici
    in ordine sparso
    registro questa mania
    di capovolgermi (come una vocazione
    alle ruote di tortura)
    e il cuoio flessibile dei demoni, già di ritorno
    - qui sono tutti sconosciuti, fermiamoci
    Non vedere i sigilli lucidi,
    i binari inarcati, sollevati dall'incarico – è solo per rigenerarsi
    a più riprese ci mostrano
    come il mistero sia una genìa lenta,
    una specie di ritardo
    (i sacchi del sacro
    li hanno già ammassati, uccisi
    sulla via di Damasco)
    Non c'è niente di umano - vi prego - in quel gonfiore
    nel profilo gravido
    riempito di morte, scoppiato
    sprofondato, infine,
    per abitudine, solidarietà,
    per pietà delle rette

    Lettera sull'estinzione dei dinosauri

    Il led del videoregistratore, questa notte,
    mi è sembrato un fantasma. Ora dinosauri a fascicoli
    e miniature della X Fretensis – mai dipinte,
    nonostante i buoni propositi – sono un invito transitorio
    per le anime dei salvati. Ed è un miracolo
    che le coperte fino al mento separino
    i vivi e i morti - dove altrimenti le mani i piedi
    nudi crescerebbero in numero – poi non basterebbe
    la stanza.
    Tutti abbiamo un materasso, e temiamo
    si perda - tra colossi di scaglie e amianto
    - nell'epopea scalza
    delle orme - temiamo
    soprattutto il freddo - come tutte le cose
    nella clemenza del rifugio.
    Vi dirò del sonno
    che è una resina mesozoica
    e la resa dei mobili, squamata - poi altro – un canale
    della trachea, o una varietà
    dell'estinzione.
    Probabilmente, la fine di un'era geologica
    - la processione di bestie enormi e tristi
    e lente – i nostri unici amici – retrivi
    e senza più un artiglio.
    Dei dinosauri ricordiamo i volti di gorgone,
    le corazze intatte - le mandrie curve
    nel passaggio della fine. Da allora
    sono racchiusi, tutti, in gemme d'ambra
    - e capita tornino, soli tra i giganti
    per far vacillare gli assi, e la terra.
    (Un dinosauro è sempre il rovescio
    di una testuggine, il terrore straordinario
    che accresce i mansueti)
    Le loro code di iguana
    frustavano l'aria - ma così immense -perchè la morte potesse, un giorno
    trovarli ovunque.
    Così il mercurio nel suo grado - le placche
    blindate - e il giorno avanza
    tra le pietre e la sabbia
    e la mistica manichea, anche - negli spazi liberi
    dove i nomi cedono per un pasto
    e un passo di rettile sfonda
    il torace delle ore.

    Anche io ho i miei bravi battesimi
    strangolati nella notte, livellati
    nelle vasche del sonno – e la stanchezza a grumi, a legioni
    sui quartieri del crollo
    Dalle rughe secche del letto
    le condense dei pochi, pochissimi
    ancora in piedi, magnetici
    sopravvissuti alle ore
    Quando ad una certa quota le lancette
    permettono il mondo,
    quando un po' ovunque sbucano
    vapori schedati, risme funebri
    Allora - non me ne voglia Raskolnikov - prego che il castigo
    sia una ricompensa, un catalogo crociato
    e che qualcuno, imbottito di panico (piombato dagli spigoli)
    sappia dirmi
    dell'ora in cui tremiamo di tenerezza

    Ora posso dirlo – dopo i coltelli, le corse
    la certezza di vedere qualcosa, prima o poi
    entrare dalla finestra - e l'islandese (vicinissimo): la
    persecuzione
    è una nube di insetti, nei secoli dei secoli
    negli angoli degli angoli – negli acquari -se ne avanzano – nelle acque ad ostacoli
    c'è un'ora meccanica
    uno slancio di leve – e di notte
    questa stanza esplosa
    in alto - una cattedrale
    e tutti i superstiti nelle loro nicchie, riparati -dal basso – altri- allentano i cavi
    una volta a letto – o nel sonno, o altrove
    ma comunque qualcosa - poiché ha le sue leggi, come gli
    altari
    e come sugli altari steso, un sacrificio
    a tutti i mostri, ai labirinti

    Questo buio è un difetto del corpo,
    si consegna alla sbarra. Dove finisce il contatto
    comincia un osso, la sporgenza esatta
    delle basi. Così fino al rintocco dei polsi
    la trasparenza rileva un calo eidetico, l'onda
    che ribalta il sangue, la polarità dei flussi.
    L'ago testimonia il peso controluce, percorre il binario
    della frattura: qui si avvita l'aria
    inclusa fino al centro, alla spina della voce.
    Niente sopravvive al vetro, al varco stretto
    del fuoco. Perciò un calore uniforme prova
    l'autenticità del distacco, la filigrana invalicabile.
    Non sentiamo la pioggia, ma un'acqua minore,
    una detrazione sintattica, quanto della linea
    inaugura il tratto. Non altrove
    si avvera il crampo, l'accento del muscolo. Lo stesso niente
    ora vibra, impatta il tronco, il palato della pagina.
    [Modificato da fabella 18/02/2013 07:33]



    "Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
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    lastrega65
    Post: 684
    18/02/2013 14:45
    GRASSIE...LEGGOLEGGOLEGGO, POI TI DICO [SM=g2843109]
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    Versolibero
    Post: 745
    26/01/2018 15:36
    Sono arrivata a circa la metà, e mi sono piaciute in particolare "Rodaggio" e "Un secondo".
    Continuerò a leggere.
    Non sono poesie facili, sicuramente la banalità è stata cacciata di casa e mandata via definitivamente. Auspico però una maggiore ricercata semplicità lessicale, mantenendo la complessità e profondità concettuale, quella leggerezza dello stupore che si acquisisce col tempo.
    Faccio un esempio: se leggo poesie di Pierluigi Cappello posso andare avanti all'infinito e ugualmente arricchirmi anche in quel caso della sua profondità ma con un linguaggio più abbordabile senza essere, anche lui, mai banale.




    ______________________________________________________________________________
    "Le parole sono 'contenitori' troppo angusti per le mie emozioni e quando, leggendo, le sento 'soffrire'
    o mi segnalano delle 'sofferenze' corro a liberarle senza pensarci due volte per provarne di più adatti".
    (citazione di EEFF)