Chissà dove si nasconde la poesia quando ne hai bisogno. In quali anfratti della mente si relega, in quali orridi bisogna cercarla.
Ho freddo. In questa stanza di qualche metro quadro; ho freddo… e sono stanco.
Stanco dei pensieri ricorrenti e pungenti come l’odore di naftalina che mi sento addosso.
Stanco di essere nemico di questo briciolo di esistenza che in termini universali equivale ad uno sputo di mosca.
Stanco di decidere “per il meglio” senza sapere il meglio di chi.
Sono stanco dei miei viaggi, delle soste, delle interminabili attese, della comprensione stantia, delle riflessioni estemporanee e di quelle condizionate da un fiasco di vino.
Stanco del “secondo me” e delle opinioni personali, dei ringraziamenti a mezza voce che non servono a niente.
Stanco dei “come stai” - come se a qualcuno importasse davvero il tuo stato fisico o quello mentale - stanco dei “bene, grazie” - tanto non servirebbe un’altra risposta-.
Stanco di negarmi tutto, anche le piccole cose.
Stanco dei sacrifici, di scoprire come, giorno dopo giorno, si possa rimanere schiavi della propria vita, delle proprie necessità elementari, delle esigenze che continuiamo a dimezzare sperando possano avanzare almeno due euro per la cassa da morto.
Stanco di degradare inesorabilmente verso uno stadio di abbrutimento dal quale ci si rende conto sarà sempre più difficile venir fuori.
Ed i pensieri, quei maledetti, funesti, pensieri che, come tormentoni estivi, ti perseguitano ovunque e ti levano le forze lasciandoti stremato a contare i giorni per la fine.
Vorrei restare appeso al muro come una di queste riproduzioni di Magritte che mi scrutano torve e severe, fermo, immobile, impassibile a tutto quello che accade attorno a me oppure vorrei poter alzare un dito per dire “ci sono anche io; voglio vivere”.
Vorrei essere caparbio e canaglia quel tanto che basterebbe a sopravvivere intatto ai mutamenti.
Ho superato l’insostenibile leggerezza dell’essere per approdare ad una più modesta inettitudine all’esistenza.
Vorrei poter dire “basta”, sollevarmi sopra il muro di apatia e scuotere le coscienze per il tempo necessario a bere un caffè il lunedì mattina.
Un gesto, l’ultimo, che mi accomiati dalla rete globale dell’indifferenza, dalla narcolessia di un puzzle intricato che non sento più mio, che forse non ho mai sentito mio.
Ho freddo. Nemmeno il vino, ormai, mi concede più calore. Tremo, mi si irrigidiscono i muscoli dietro la nuca. Ho le dita ghiacciate, ma continuo a scrivere, l’unica speranza è che anche i pensieri non abbiano più la forza per tormentarmi. C’è calore attorno a me, ma dentro avverto solo un gelo che comprime il torace e non mi lascia respirare.
Vorrei urlare a Dio la mia sfiducia e accovacciarmi a recitare strofe, ma anche la poesia, dolce puttana, mi ha abbandonato lasciandomi alle corde.
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[Modificato da ili@de 01/03/2013 19:26]