Laboratorio di Poesia scrivere e discutere di poesia

Vittorio Bodini

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    00 16/07/2014 20:26
    Alcuni testi dell'autore:


    Da Foglie di tabacco (1945-47)

    1.
    Tu non conosci il Sud, le case di calce
    da cui uscivamo al sole come numeri
    dalla faccia d'un dado.

    4.
    Quando tornai al mio paese nel Sud,
    dove ogni cosa, ogni attimo del passato
    somiglia a quei terribili polsi dei morti
    che ogni volta rispuntano dalle zolle
    e stancano le pale eternamente implacati,
    compresi allora perché ti dovevo perdere:
    qui s'era fatto il mio volto, lontano da te,
    e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare.

    Quando tornai al mio paese nel Sud
    Io mi sentivo morire.

    8.
    Una funesta mano con languore dai tetti
    visita i forni spenti, le stalle in cui si desta
    una lanterna o voce impolverata.
    Come da un astro prossimo a morire
    S'ode un canto dai campi di tabacco.
    Sulle soglie, in ascolto, le antiche donne sedute
    - o macchie che la luna ripercuote nell'aria &endash;
    socchiudono pupille d'una astratta durezza
    dai palmi delle mani, aperte pietre sui grembi.


    9.
    Cuatro caminos

    Che nevoso silenzio,
    che sogno miserabile
    di carbone e di fango nei sobborghi!
    Fra spettinate case qualche fanale a gas
    getta nell'ombra la sua ombra verdastra:
    lì una coppia dilegua, e nel punto ove sparve,
    la coda d'una serpe fra le canne
    d'una remota estate un attimo balena.

    Una pietà insensata
    arida come semi di girasole
    gira in folle ai crocicchi,
    mentre nella tua terra i contadini
    invisibili parlano turchino
    dai campi di tabacco, e fra un istante
    la notte avrà sapore di oliva verde.

    11.
    Viviamo in un incantesimo,
    tra palazzi di tufo,
    in una grande pianura.
    Sulle rive del nulla
    mostriamo le caverne di noi stessi
    - qualche palmizio, un santo
    lordo di sangue nei tramonti, un libro
    lento, di pochi fatti che rileggiamo
    più volte, nell'attesa che ci dia
    tutte assieme la vita
    le cose che crediamo di meritare.


    12.
    Un monaco rissoso vola tra gli alberi.


    Da Altri versi (1945-47)

    Tanti anni

    Noi abitiamo in una rosa rossa.
    Passavanbo treni in corsa alla periferia
    - un gomito sonoro -
    e tutto il resto era un fermento di cieli.
    Un meriggio d'inverno, col sole su un muro bianco,
    riconoscemmo la nostra amata calligrafia.
    Chi avrebbe mai pensato
    che voi scriviate come un'ombra d'alberi,
    come i pettini freddi
    con i denti coperti di capelli!

    (S'era in pena per voi.)
    Così passammo la notte.


    Da La luna dei Borboni

    1.
    La luna dei Borboni
    col suo viso sfregiato tornerà
    sulle case di tufo, sui balconi.
    Sbigottiranno il gufo delle Scalze
    e i gerani &endash; la pianta dei cornuti -, *)
    e noi, quieti fantasmi, discorreremo
    dell'unità d'Italia.

    Un cavallo sorcigno
    Camminerà a ritroso sulla pianura.

    *) il geranio non è riuscito a salvarsi. Ma perché pianta dei cornuti? Penso per associazione d'idee con le donne che passano molte ore affacciate ai balconi o alle finestre dove i gerani sono immancabili (n. d. A.)

    4.
    Un campanile di sughero
    verso i capelli corti della luna
    ghiotta d'angurie. Un grande carro fermo
    ai passaggi a livello,
    fra gli orti coi piselli calpestati
    di nottetempo. Dorme
    il carrettiere o non dorme,
    bocconi
    con il capo fra le braccia,
    e il fanciullo covava
    il desiderio inquieto dei pidocchi
    al passaggio del treno verso il Nord.


    6.
    I preti di paese
    hanno le scarpe sporche
    un dente verde e vivono
    con la nipote.
    Presso cassette vuote
    d'elemosina
    sanguina Cristo in piaghe
    rosso borbonico;
    esala un'agonia
    dura dai banchi
    e dai fiori di campo.
    In piazza, accoccolati
    sulle ginocchia del Municipio,
    stanno i disoccupati
    a prendere l'oro del sole.

    Trotta magro e sicuro
    un gatto nel Sud nero.


    8.
    Qui non vorrei vivere dove vivere
    mi tocca, mio paese,
    così sgradito da doverti amare;
    lento piano dove la luce pare
    di carne cruda
    e il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.

    Pigro
    come una mezzaluna nel sole di maggio,
    la tazza di caffè, le parole perdute,
    vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
    divento ulivo e ruota d'un lento carro,
    siepe di fichi d'India, terra amara
    dove cresce il tabacco.
    Ma tu, mortale e torbida, così mia,
    così sola,
    dici che non è vero, che non è tutto.
    Triste invidia di vivere,
    in tutta questa pianura
    non c'è un ramo su cui tu voglia posarti.


    11.
    E infine aranci imbandierati e carichi,
    spine e raffiche
    di dolcezza nei fichi d'India, uomini
    traballanti sui carri
    vuoti
    per caricare il tufo dalle cave,
    col cane morto di sonno.

    E stagioni dal becco sottile
    di cicogna, che si spulciano il petto,
    che prendono pietre da terra
    e le buttano più in là.


    Da Dopo la luna (1952-55)


    L'allodola e la luna

    L'allodola e la luna sole nel cielo:
    lei sorta appena e il passero spaurito
    dal pino nero e i silenziosi spari
    dei finti cacciatori in mezzo al grano nascente.
    Nessuno l'attendeva. Nessuno attende.
    Volava di traverso con tutto il cielo in gola.
    Sotto di lei crollavano i papaveri,
    un'ombra cancellava coi grossi pollici
    il dolce vino e il viola del tramonto.

    In una stanza in fondo, la memoria,
    lasciata ai suoi più torbidi solitari,
    di te non s'informava, fine d'un grande giorno:
    giorno da meditare
    davanti a una finestra, col silenzio alle spalle.


    Come un polpo sbattuto

    Come un polpo sbattuto ancor vivo contro lo scoglio
    si arricciavano i miei pensieri
    a Bari fra le barche verdi e gli inviti
    favolosi dei venditori
    di quella iridescente pena; ma io
    non avevo che una moneta
    d'impazienza e di notte,
    una moneta nera dei paesi
    dell'interno, che soffoca le case
    fra orizzonti di corda su cui oscilla
    la tarantola &endash; un'altra pena -; e tu un'altra,
    quando dicesti: la pietà è più forte
    dell'amore. Più rapida è volata
    che il mio odio la mano sulla tua guancia.
    Sto davanti alla tua caverna

    Sto davanti alla tua caverna.
    Esci fuori e arrenditi.
    Noi abbiamo la sintassi e la radio,
    i giornali e il telegrafo
    e tu non vivi che del mio sonno,
    non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,
    e per farmi dispetto
    non mi rispondi nemmeno.


    Tutto ciò che ti dono

    Tutto ciò che ti dono
    non t'interessa.
    Guardi le grandi siepi
    gialle,
    e il ponticello senz'acqua
    o la grottesca ira del pungitopo,
    e pensi a un cielo più alto,
    non quello su cui corrono
    pattinando i miei occhi,
    o le gare fra case ed erba, e i gialli
    e rossi dei suoi fiori.
    Un contadino catafratto spruzza
    d'azzurro le sue viti:
    se ne tinge il vento
    capelli e dita per gioco.
    E non è bello? E dunque? Noi viviamo
    assieme da tanti anni,
    e non posso sapere
    cos'è che ti rattrista,
    che respingi ogni cosa:
    se è l'orgoglio e i belletti del piacere
    o se il dispetto di non essere eterno.


    Voli basso sulla pianura

    Voli basso sulla pianura
    amore il cielo
    poco ti solleva
    come sei verde e nera
    la bocca rossa
    di rosolaccio.
    Vola così e così
    t'incurvi bianca
    fra le vigne fugaci
    e a me torni più viola
    mia di colore e tutto
    agave mia
    che ha imparato a cantare
    dal gorgoglio dei pali del telegrafo
    un canto nero che va giù e s'interra.
    Cresce l'erba
    e la capra legata al fico.


    Xanti-Yaca *)

    Solo quando tu entrasti
    la barca fu piena,
    e il barcaiolo coi buchi nella maglietta
    fece sparire la nazionale
    che gli diedi perché remasse di spalla.
    Così il mare quel giorno
    poté maturare ricordi per dopo.

    Al tempo dell'altra guerra contadini e contrabbandieri
    si mettevano foglie di Xanti-Yaca
    sotto le ascelle
    per cadere ammalati.
    Le febbri artificiali, la malaria presunta
    Di cui tremavano e battevano i denti,
    erano il loro giudizio
    sui governi e la storia.

    Così semplice,
    che noi non lo avremmo fatto.

    Uno l'ho visto io
    camminare col capo in giù
    sul soffitto,
    altri bevevano a un pozzo
    di scorpioni e di serpi,
    non senza gridi,
    nel viola acido e sporco
    d'una cappella,
    mentre fuori era il chiaro giorno
    steso coi piedi avanti
    come il Cristo del Mantegna.

    Così mi disorienti
    se ti guardo vivere:
    io vedo tutte le insidie
    e tu sei in grande pesce senza testa,
    disordinato e prode,
    che smuove più acqua del necessario,
    ed è quando mi dici disperata
    "Vorrei già avere trent'anni".


    Col tramonto su una spalla

    Col tramonto su una spalla
    e fasce gialle e blu,
    alto, come un gelato
    di corvi in mano,
    chino la testa e passo
    sotto l'arco di Carlo V.
    E al passaggio si spegne
    il lumino dell'anime sante
    che tengono la destra
    a cinque punte sul petto,
    fra le fiamme del Purgatorio.

    Questa è la mia città,
    le mura le avete viste:
    sono grige, grige.
    Di lassù cantavano
    gli angeli dei Seicento,
    tenendo lontana la peste
    che infuriava sul Reame.
    Ora c'è fichi d'India, un aquilone,
    un ragazzo che tende
    il suo elastico rosso
    contro qualche lucertola
    troppo spaurita e minima
    per presentarsi a quel sogno
    d'inaudite avventure
    di cui s'inorgoglisca il cuore umano.


    Da Serie stazzemese

    2.
    Ninetta, la poesia
    (d'estate) è un pappagallo
    dalle penne oro e verdi e la mania
    di contraddire.
    Così mentre tu sogni
    d'arrivare in Versilia
    in regola, coi pantaloni gialli,
    io penso a un viaggio di sei anni fa.
    Ballava la Olivetti
    la bombola del gas
    sopra il sedile posteriore, il trucco
    troppo forte ti sbilanciava il viso &endash;
    poi l'ulivo e un paese
    dove moriva il giorno
    come un gran gallo suicida
    sulle terrazze.


    4.
    Son maturato tardi. È la smania
    di vivere troppo presto che m'ha tradito.
    Non dar tempo al tempo. Vedere
    la bellezza soffrendo
    di non poterla usare.
    Ho imparato tardi ad accordare
    al mormorio del ruscello i moti del cuore,
    a ammettere la natura fra i miei pensieri
    come un ospite da lasciare a suo agio.


    Da Metamor

    Conosco appena le mani

    Conoasco appena le mani,
    le scarpe che metto ai piedi.
    Conosco il giorno e la notte
    e i terrori del vento.
    Ma gli anni? Dove son gli anni,
    e tutti i libri che ho letto?
    I volti amati si sfrondano
    delle loro vicende,
    non restano che i nomi.
    Tutto nella memoria
    cade a pezzi, sprofonda
    senza rumore
    nelle botole dei morti.
    Ah, dove sono le acute presenze
    del passato, le sue calde forme,
    la cera su cui incidevano
    i miei sentimenti?
    Dove si nasconde il senso
    delle cose che ho vissuto,
    e i brividi lucenti
    e i cieli dell'avventura?
    (1962)


    Nelle spire del boom

    Presi nelle spire del boom ne gustiamo anche noi
    gli alti palazzi e le piante nane
    piume serpenti chiomati sotterfugi intimi.
    L'astrattismo ci punse un dito come una rosa neoclassica.
    Tacevano i cani di calce e la civetta veloce
    e tutto ciò che un tempo avevamo dentro capovolto come in un negativo.
    Solo una luce lontana e senza voce
    accucciata davanti al mio mare in tempesta
    come la vedova d'un marinaio
    era il banco di prova dei tuoi velieri
    di solitudine e d'ira,
    solo una sera ignara che si versa
    nella buca delle lettere.
    (1963)


    Daccapo?


    Alle radici dei gesti
    dove amare significa
    imbeccare risposte a un passero giallo
    chi ti cercò con l'anima
    non ti trovò che con gli occhi.
    La laguna interiore
    insabbiata in accuse
    proposizioni vertigini soavi sassi
    aveva sogni circondati di vuoto
    manifesti gialli
    sui quali si leggeva comodamente
    che tutto avrebbe potuto
    ricominciare daccapo.
    Gli occhi d'oro del sole
    sequestravano nell'aria
    un colore di ponti levatoi.
    Persuadeva i tuoi seni di mercurio
    l'incerta ubiquità
    del pube a filo dell'acqua.
    (1965)


    Night II

    Se bere un whisky è versarlo
    sull'arso terriccio della propria tomba
    dove l'oscenità canticchia assassinata
    dall'ombra d'un cane o dalla furia della ragione
    trofei d'occhi inespugnati
    come fregi di antiche stamperie
    si scioglieranno nell'alcol tra i sadici archivi
    di una notte tradita da strambi propositi. *)
    Una finestra morrà.
    Morrà sul Bosforo un ferro di cavallo.
    (1965)

    *) tradita da strani propositi, proviene dal sonetto My Mostress' eyes are nothing like the Sun di Shakespeare, nella traduzione di Alberto Rossi (Einaudi, 1952, p, 307) &endash; (n. d. A.).


    Tramonto a S. Valentino

    L'uomo che s'affeziona al proprio deserto
    guarda la proditoria brace
    che scolora fra i platani
    e sa che il suo pensiero un tempo amante di sfide
    non sa andar oltre e quasi di quel limite
    s'accontenta.
    Lo sfiora appena il sospetto
    d'essere prediletto
    da quel rosso nulla.
    (1964)

    --

    Da Inediti (1954-1961)

    I pomodori secchi

    I pomodori secchi
    attaccati a uno spago
    e le donne dai cuori di cicoria.
    I pomodori secchi e i datteri gialli,
    e le donne che colgono le olive
    fra gli olivastri, con la bocca viola;
    tutto è univoco e perso a furia d'esistere.

    Dove hai nascosto, cielo, l'altra ipotesi?
    Quale parte è la nostra?
    Non saremo null'altro
    che rozzi testimoni di questo esistere?


    O mio dio a cui non credo

    O mio dio a cui non credo,
    ti leggo come una poesia profonda
    piena d'occulti sensi e di fiumi paterni.

    Sera

    La lezione di musica
    bruca l'umido
    nel mezzo della via,
    sentinella perduta dell'autunno,
    e in una scia di zucchero filato
    si fa strada l'urlo dei Sioux.
    Nessun tempo avrà speso così male
    tanta sete d'ignoto:
    compra educatamente biglietti di morte
    ai botteghini la gente, i giornali
    parlano di dischi volanti
    da cui ciascuno spera una rivincita.
    (1959 ?)


    Da Zeta


    Antipoetica

    Un tempo il verso d'avvio
    cadeva direttamente dalle ginocchia di Giove
    bastava riconoscerlo e seguitare
    elaborare trascegliere il reale o se stessi
    non già questo sporcarsi e intridersi
    questa mano accusativa
    che non salva e non placa
    che lascia tutto come sta.
    (19 giugno 1968)


    La passeggiata del poeta

    Il poeta passeggia fra i seni altrui
    fra lune altrui
    ed intanto si interroga sulla propria
    statura d'uomo.
    Girano delicatamente
    piccoli e grandi emisferi
    ma non sanno svelargli
    quale delitto lo apparenti
    al rosso dell'occaso o all'aurora del bosco.
    (1969)




    Vittorio Bodini

    a cura di Gianmario Lucini



    Questo poeta non pubblicò molto in vita: una novantina di poesie in tutto. Ci rimane di lui un fondo, molto ordinato, studiando il quale Oreste Macrì ha ricostruito filologicamente tutta l'opera del Bodini, curandone l'edizione definitiva, stampata dalla Mondadori nella collana "Oscar" nel 1983, pp.345. Dall'importante, ampio e curato saggio filologico introduttivo (circa 65 pp.) di Oreste Macrì (amico di giovinezza del poeta), ho attinto ampiamente per stendere questa nota. Il corpus delle poesie di Bodini è dunque relativamente modesto: circa 310 poesie. Ma, ovviamente, un grande poeta non è necessariamente un poeta che scrive molto: di Bodini mi pare di poter dire che l'accuratezza e l'originalità dello stile, la sapienza del mestiere e la profondità dei temi, ne fanno un personaggio degno di grande rilievo nella poesia italiana del '900, un autore che ha arricchito il '900 letterario italiano di contributi originali e dal quale non si può prescindere se si vuole avere una, pur modesta, visione globale della letteratura italiana di questo secolo; un maestro da quale c'è da imparare e che andrebbe rimeditato. L'edizione citata (ignoro se ne è uscito un aggiornamento) riporta in appendice una esauriente bibliografia sull'opera e sugli studi bodiniani (poco meno di 200 titoli di note, riferimenti, saggi critici di autori vari), sui convegni a lui dedicati e sulle traduzioni bodiniane da autori stranieri.
    Nasce a Lecce nel 1914. Già da adolescente inizia la sua attività letteraria e in parte aderisce al futurismo (viene considerato il "capogruppo dei futuristi leccesi"), pubblicando 22 scritti su varie riviste leccesi, ma poi staccandosene con la sua prima importante raccolta di poesie del 1943. Con la sua terra ha un rapporto sofferto e ambiguo, come si evince dalle sue poesie: si considera di "famiglia e tradizione leccese", da una parte, ma nello stesso tempo accumula insofferenza verso l'abbandono del Sud, anche perché soggiorna spesso fuori dalla sua terra, (Roma, Firenze, Spagna) e pur portandone il ricordo e il segno, non si esime dal confrontarla con altre realtà.
    Nel 1937 &endash; 1940 è a Firenze, dove si laurea in filosofia con una tesi sul Romagnosi. A Firenze il giovane Bodini entra in contatto con il tardo ermetismo di Luzi, Bigongiari e Parrocchi. Collabora a riviste come "Giubbe Rosse" e letteratura. Di quel periodo abbiamo sette poesie. Scrive Oreste Macrì: "Si badi che in quel tempo di "fiorentino" puro in libro era uscita solo la Barca di Luzi, quindi quello che fosse l'ermetismo di Bodini , ancorché non coagulato in libro, riuscì originale e alla pari. Solo Gatto impuro aveva raggiunto la prima maturità con le Poesie del '39". Scrive lo stesso Bodini: "La brevità della mia esperienza ermetica mi lasciava libero di cercare alla fine dello sfacelo nazionale un'altra via, un altro linguaggio poetico. Non son pentito però di quella esperienza (che oggi in mutate condizioni storiche riappare in un'altra forma nella mia poesia), ma durante e dopo la guerra incolpai l'ermetismo per averla straniata e disavvezzata dai grandi temi ed eventi collettivi avverso a quel calarsi nel fondo di sé".
    Torna a Lecce e vi soggiorna fino al 1944. Un rientro amaro, malvoluto ("da allora in poi non potevo aspettarmi nulla di peggio" &endash; scrive Macrì: "odiava Lecce ma di un odio gelosissimo, filiale, esclusivo"). Nella "fossa dei leccesi", com'egli definisce il suo soggiorno, è troppo lontana quell'Europa letteraria con la quale egli cerca un collegamento di temi e di stili. Sin dal periodo fiorentino Bodini aveva aderito agli ideali di "Giustizia e Libertà", aderendo anche al "Partito D'Azione" e "Democrazia del Lavoro": nel periodo leccese questa scelta si consolidò in un ideale liberal-socialista al quale si attenne anche in seguito, caratterizzando la sua poesia con un impegno etico e sociale. Avverso (ovviamente) al regime fascista, fu spiato, perseguitato, vigilato speciale e anche condannato al carcere.
    Si trasferì nel luglio del '44 a Roma. Finita la guerra, la politica italiana si rimise inmoto senza grandi cambiamenti nel profondo: lo Stato cambiava superficialmente volto ma l'essenza di molti problemi, segnatamente quello meridionale, non mutò di prospettiva. Da qui la sua "delusione senza rimpianto" di quegli anni. Di quel periodo abbiamo 40 poesie che testimoniano il contatto di Bodini con quello che Macrì chiama il "Barocco romano", una stagione dell'ermetismo che "risaliva in parte al chimerico liberty di D'Annunzio e si esprimeva anche nel mitico paesaggio urbano del Vigolo". Qui matura il progetto di un libro di poesie di cui alcune confluiranno nell'opera successiva in volume La luna dei Borboni, forse la più conosciuta delle due che il Bodini pubblicò in vita. Ma è evidente in queste liriche, come nella raccolta citata, l'influsso della poesia spagnola, soprattutto di Federico Garcia Lorca. Dall'autunno del 1946 a Pasqua 1949 infatti, l'artista si reca più volte in Spagna, con breve ritorno a Roma nell'estate del 1947, ed è in quella esperienza che matura la genesi de La luna (ricordo, per inciso, che la luna è un archetipo fondamentale della poesia di Garcia Lorca). Ricorda Macrì: "La generazione di Federico aveva scoperto e inventato il barocco di Gòngora e di Quevedo, consumato il sacrificio della Guerra Civile insieme con Antonio Machado, sofferto la diaspora e l'esilio dall'interno, castiglianizzato il surrealismo francese, inaugurato la poesia "impura" e umana nella nuova poesia di Aleixandre, Neruda, Alberti" Il Nostri autore "indulse al disimpegno, frequentò gli spettri e la varia fronda del Café Gijòn, ma ebbe contatti intimi, anche nei viaggi seguenti, con le organizzazioni antifranchiste… puntò alla Spagna reale ed eterna, minuta e invisibile", giocandosi la Spagna "esistenzialmente e "liricamente"". Ancora Macrì: "Rifece, insomma, lo stesso viaggio orfico interiore, attraverso simboli e oggetti esteriori fluidificati, dei poeti del '98 e del '25 alle radici di Castiglia (Unamuno, Machado) e Aldalusìa (Juan Ramòn, Lorca, Alberti) con la stessa rischiosa semplicità nelò rappresentare e significare gli aspetti più manierati e turistici della Spagna romantica, folclorica e pittoresca". Bodini inizia a scrivere un mese dopo il suo arrivo a Madrid: la Spagna è per lui una specie di lente con la quale osservare la sua terra, un ambiente umano che continuamente lo rimanda al suo Silento, come riferimento, come confronto.
    Dal 1949 al 1960 Bodini è di nuovo a Lecce. Nel 1952 pubblica la sua prima grande opera, già citata e di cui l'esperienza spagnola è in qualche modo la genesi. "con questo blocco di terra lunare-sognata e umanità contadina-artigiana (da salvare senza alcun mezzo), con questo demone scisso e tradito all'interno, con questa apocrifa verità terribile senza pari e senza scampo, si presentò e partecipò quale difficile protagonista e fondatore, eppur facendosi coraggio, al vasto movimento del quinto decennio &endash; assai volonteroso e degno &endash; di risveglio politico-sociale e artistico-culturale della Puglia" (Macrì).
    Si stabilisce di nuovo a Roma nel 1960 fino al 1970, anno della sua morte. L'ultima produzione bodiniana, rappresentata da Metamor, è caratterizzata da una denuncia di totale smarrimento di senso perduto, della frattura fra presente e passato, di un definitivamente andato e perduto senza più possibilità di recupero. Guardingo se non ostile è il poeta verso il "boom" economico degli anni '60, del quale intravede lucidamente i pericoli sociali e umani, mostrando evidente il "sospetto" che tutto non sia che un grande imbroglio (che poi si rivelerà in tutta la sua portata anche sotto il profilo economico nel decennio successivo).

    L'opera di Bodini
    La poesia di questo artista è caratterizzata da un linguaggio ruvido, forte, essenziale anche se discorsivo, anti-decadentista, ovviamente già dalle prime poesie "futuriste". La prima raccolta edita, ha in comune con gli artisti fiorentini degli anni '40 (ermetici fiorentini) la forza e profondità evocativa delle parole e dei concetti, e insieme porta la ricchezza del simbolismo della poesia lorchiana. In La luna dei Borboni, Bodini ricostruisce ambienti e atmosfere del salentino "corroso, arido, vuoto, superstite, assetato, acrono, inerte; è "pietra" che solo l'"alcol" scioglierà alla fine. … tutto "falso", dalla "città" ai suoi "angeli di pietra" (Macrì). Il poeta usa abilmente un gioco di marche semantiche, rime interne,(la rima tradizionale è infatti non cercata), omofonie, nomi e aggettivi ricorrenti nel loro senso e nella loro denominazione, nella ricostruzione dell'ambigua e immobile dialettica, di un contrasto insito nel tutto e nel suo inerte stare che si estrinseca in una serie di coppie antinomiche che potremmo raggruppare nelle caratteristiche luce/ombra, morte/vita, aridità/verde, ecc. La sintesi di questo immobile contrasto, che è anche simbolo della terra salentina, del lavoro dell'uomo e dunque di una sua caratteristica sociale e spirituale, è la foglia di tabacco. Spicca, alla fine della raccolta Foglie di tabacco (1945-47), che introduce La luna, il verso isolato nel quale il poeta si paragona e si identifica spiritualmente in S. Giovanni da Copertino, in quel suo volare (distaccarsi, non sentirsi parte di) e in quel suo carattere "rissoso".
    È una poesia dai forti contrasti dunque, che in qualche modo rappresenta l'ambivalenza del poeta verso la sua terra, un Sud intristito da un tempo che si è fermato e che lo schiaccia, dove l'aridità domina ogni scena vivente, riconducendola al paradosso di un'esistenza che non esiste, di una vita di nulla e del nulla. Dal tempo dei Borboni il Sud non è cambiato nella sua essenza. Lo spirito di allora è lo spirito di oggi. Il senso del barocco, del mistero, trasuda dalle case, dalla sua Lecce, nei soli e nelle lune stillanti oro, sangue e vita perduta in un vivere epico e dimenticato, come se la storia lo ingoiasse e senza fine lo risputasse identico. Non soltanto questa metafora possiamo leggere nell'allusione del titolo e nei contenuti dell'opera, ma anche il riferimento del tema "tutto cambia perché nulla cambi", di gattopardiana memoria, anche alla vicenda della neonata democrazia italiana, in senso amaro e disilluso (come poi è detto anche senza veli in sue corrispondenze e prose), che associa parecchi autori meridionali del dopoguerra. Oppure potremmo leggervi anche un sentimento di abbandono, come interpreta anche Macrì nella citazione precedentemente riportata. L'intera opera infatti del Bodini , per la sua ricchezza di simboli e allusioni (merito, credo, della meditazione sulla poesia lorchiana), presenta una polisemanticità davvero ricca che moltiplica le possibilità interpretative, lasciando al lettore un'ampia libertà ermeneutica e una lettura più personale del testo (caratteristica questa, della migliore poesia del '900).
    La poesia di Metamor invece, accogliendo anche alcuni diversi spunti stilistici e un diverso linguaggio (più lirico-discorsivo, a volte struggente, meno ossuto del precedente ma più denso di simbolismi surreali di non facile interpretazione), si avvicina a una vena esistenzialista e e una tematica politica e sociale pur importante in quegli anni (ad es. Pasolini, Turoldo, e altri), pur senza toccare mai toni disperati e struggenti che troviamo invece in altri, come la Rosselli. Il poeta assiste sconcertato alla crescita economica disordinata di un'Italia che vuol lasciarsi indietro l'atavica miseria a qualunque prezzo, e sente l'esigenza di fermarsi, di riflettere, di considerare la portata degli avvenimenti che si profilano nell'immediato futuro. Da questo punto di vista il Bodini dimostra (anche in raccolte inedite come Zeta e La civiltà industriale o Poesie ovali)un'acutezza di vedute e una sensibilità che troviamo forse soltanto nel Pasolini dei romanzi o delle raccolte poetiche più "politiche", che sono comunque posteriori a questi versi.

    Le poesie di Bodini sono state organizzate, da Oreste Macrì, secondo un criterio temporale e così appaiono nell'opera omnia da lui curata:
    a) Poesie edite in vita - La luna dei Borboni e altre poesie (Foglie di tabacco, Altri versi, La luna dei Borboni, Dopo la luna, Via De Angelis, Serie stazzemese, Appendice)
    - Metamor (
    b) Raccolte inedite in vita (Inediti 1954-1961, Zeta 1962-69, La civiltà industriale o poesie ovali 1966-1970, Collage 1969-70)
    c) Appunti di poesie, residue e sparse (Firenze 1939-40, Lecce 1949-44, Dallo "Zibaldone leccese", Roma 1944-46, Spagna-Roma-Spagna 1946-1949, Lecce-Bari 1949-1960, Roma-Versilia 1969-70)
    d) Appendice (Poesie futuriste 1932-33






    "Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
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    annamariagiannini
    Post: 81
    00 22/07/2014 17:28
    grazie fabella per questa lettura, mi sento un poco più ricca
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    Carla.Aita
    Post: 90
    00 24/08/2014 22:22
    Una lettura che richiede un minimo di concentrazione che ora non ho ma ci voglio tornare. Certo perchè voglio spaziare ovunque, in questo mondo. Bella questa cosa di farci conoscere autori!

    Carla



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