Laboratorio di Poesia scrivere e discutere di poesia

Ubertuso il gravido

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    ggiacinto
    Post: 627
    08/09/2014 12:35
    Buongiorno a tutti, questo è un vecchio testo, lo lascio nelle vostre mani, per chi avesse voglia di scondirlo, limarlo, frantumarlo...

    [SM=x2823269]

    -2006-

    lungo un sentiero mai assolato, contorta fuga d'argilla
    screziata di marmo e fango, erta d'aridi arbusti
    ispide macule del rigoglio di un rovo
    si rabattava Ubertuso, tondo infame e indotto
    su una lancia di strada battuta
    angusta, all'orizzonte ferma, corona di luce e faville
    si rabattò.
    Divorava rotolando adiposo
    al rimbalzo tra l'impaccio e l'affanno
    morsi soffocati da lesto agonismo
    dove l'oro é adito di giardini celesti.
    Degradò sul terreno sterile a cogliere un grano
    lo assimilò tra i denti, ne ruminò il sapore
    ingurgitò.
    Calò con un arto e di mano su un tozzo di pane
    trafugato dalle languide appetenze di una creatura
    abbattuta da rachitiche espressioni nelle condense
    più afose delle folte selve.
    Ne assaporò.
    Marciò ingordo tra una punte e l'incappo, sulle prede scorte
    si rifocillò.
    E ancora vibrò sulla lingua distorta
    di mele e lamponi, tranci di carne della sacralità di un bovino
    un petto piumato di struzzo, spezie di un polposo cosciotto
    ornato di verde e di sfarzo, tra gengive usurate
    ingurgitò.
    Sorsi di latte rappreso dai seni di giovani madri, graffi
    e confetti di mandorle amare, estorte
    alle spirate copule.
    Spruzzi, canditi e scorze di limone, vitelli straziati
    si rigonfiò.
    Tre fichi, porpore dense di fregole mai accolte
    ritratti mai spesi né doni.
    Dal peso e il sorvolo di una mongolfiera strampalata dai venti
    barcollò
    fracasso d'epa di una botte vuota all'unisono.
    Si soffermò.
    gelido alla meta, preziosa aura
    trascinio di masse corpose, l'ingombro
    un boccone, lo spasmo.
    Empio e sicuro di esser degno
    a un varco d’Etere in cascata libera
    di balze pasciute in tondo.
    E impallidì gravido all'atrio del firmamento
    emesse in stille la sciagura di una massa sospesa
    poltiglia d'avide trite.
    Lo accolse la carestia ingrata, donna dall'anima bianca e la pelle corvina
    Ubertuso, cosparso di stelle e del nulla, roso d’altra fame
    morse da se.

    sal@

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    fabella
    Post: 1.590
    15/09/2014 10:25
    tu sai come io subisca il fascino di questa tua poesia datata. in questa addirittura riesco a giustificare la sovrabbondanza di aggettivi, che rappresentano una sottolineatura all'esagerazione che pregna tutto il contesto. ho provato a metterci le mani, a smussare un po', ma con cautela, per non alterare il tuo impianto e soprattutto le tue atmosfere. l'ultima parte poi è stata la più difficile da toccare



    -2006-

    lungo un sentiero mai assolato, contorta fuga d'argilla
    screziata di marmo e fango, ispida di arbusti
    e macule di un rigoglioso rovo
    si rabattava Ubertuso, tondo infame e indotto
    su una lancia di strada battuta
    all'orizzonte ferma, corona di luce e faville
    si rabattò.
    Divorava rotolando
    al rimbalzo tra l'adipe e l'impaccio
    i morsi soffocati da un lesto agonismo
    dove l'oro é adito di giardini celesti.
    Degradò sul terreno sterile a cogliere un grano
    lo assimilò tra i denti, ne ruminò il sapore
    ingurgitò.
    Calò con un arto e di mano su un tozzo di pane
    trafugato dalle appetenze di una creatura
    abbattuta nelle condense più afose delle selve.
    Ne assaporò.
    Marciò ingordo tra una punte e l'incappo, sulle prede scorte
    si rifocillò.
    E ancora vibrò sulla lingua legata
    di mele e lamponi, tranci della sacralità di un bovino
    un petto di struzzo, le spezie di cosciotto
    ornato di verde e di grasso, tra le gengive
    ingurgitò.
    Sorsi rappresi dai seni di giovani madri, graffi
    e confetti di mandorle amare.
    Spruzzi, canditi e scorze di limone, vitelli straziati
    si rigonfiò.
    Tre fichi, come porpore di fregole mai accolte
    ritratti mai spesi, né doni.
    Dal peso divenne un sorvolo di mongolfiera strampalata dai venti
    barcollò
    fracasso d'epa di una botte vuota all'unisono.
    Si soffermò.
    gelido alla meta, preziosa aura
    trascinio di masse corpose, l'ingombro
    un boccone, lo spasmo.
    Empio e sicuro di esser degno
    a un varco d’Etere in cascata rotonda
    di balze pasciute.
    E impallidì gravido all'atrio del firmamento
    emesse la sciagura di una massa sospesa
    poltiglia d'avide trite.
    Lo accolse la carestia ingrata, donna dall'anima bianca e la pelle corvina
    Ubertuso, cosparso di stelle e del nulla, roso d’altra fame
    si morse da sé.


    [Modificato da fabella 15/09/2014 10:26]



    "Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
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    ggiacinto
    Post: 635
    15/09/2014 14:24
    Certo Fabella, è chiaro che si tratta di un testo unto, e sovraccarico, ma sei riuscita a limare il superfluo ingiustificato.

    Grazie!

    [SM=x2823269]

    sal@