Laboratorio di Poesia scrivere e discutere di poesia

burattini e parabole

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    fabella
    Post: 2.572
    00 07/10/2017 08:03

    una raccolta lentissima che vuole sviluppare l'intento riconosciuto dai commenti in studio a questo genere di poesia. ci sto provando, non è per niente facile [SM=g10324]


    mi sento nonna

    mi sento come il diametro di una casseruola
    chiusa in un cerchio che mi rimette al fuoco
    ai debiti, ai debitori, all’ora in cui
    la sedia mi direbbe fermati -o meglio
    accomodati, prendi un caffè
    riprendi fiato, prenditi il tempo

    come se non stessi seduta abbastanza
    così circolare, così concentrica
    piatta sul fondo. una schiena assuefatta
    al nulla per cui valga la pena
    se non di stare qui, a scrivere un diario
    da regalare a chi può crederci ancora
    senza la paura che carica di gocce
    solo per meritare un po’ di apparenza

    e lasciarti detto -bambino mio
    come usare le forbici, il significato
    di opporre la mano alle lame

    per ritagliare un quadrato che sia una casa
    un triangolo che sia il tetto
    per comporre una città, con la scuola
    il municipio; ancor di più un rione con l’oratorio
    per volersi bene e coltivare il basilico
    nella terra smossa dietro le reti del campetto

    o per costruire un aeroplano di cartone
    per volare, senza comprare la vita,
    tra un’apertura d’ali e una caduta
    dovuta al modo di poggiare le mani
    di alzare gli occhi a guardare le stelle

    perché la tua domanda
    comprende questa terra
    che ancora ci appartiene



    disegnando orologi

    disegnando orologi la vita è perfetta
    si sceglie una guida, la sequenza
    si invertono i passaggi, come l’ordine degli addendi
    che nulla deforma se la matita
    sbanda e si attacca al righello
    se la mano trema e il cerchio la tiene
    e tu e io leggiamo la grande esattezza delle ore

    che non sempre corrisponde alla danza degli ippopotami lievi
    ma è una marcia, coi passi contati
    di storie che restano involucri, coreografie sciolte come cani

    ma la casa è il quadrante che contiene il mondo
    la casa che sta alla neve, come tu, oh bambino
    stai al campo di grano. e i “grandi”
    sono il bel tempo o le tue intemperie
    il miracolo o la tua miseria
    il tuo vento, la tua inondazione
    e certe svolte sono solo spighe vuote
    che aprirai nel tempo
    raccogliendo la vita di quel campo di grano
    che non ha dato moltiplicazioni
    ma solo spiga che regge spiga
    sotto un vento che ti atterra a chiazze

    oppure sotto un fiume che ti corica , quando
    esce dal corso per l’umana negligenza



    il corpo umano
    (la rileggo dopo tanto tempo e mi sembra anche molto da modificare)

    il corpo umano, quello che si studia a scuola
    seppure statico risulta saltellante
    lo vediamo su un libro regalato a Natale e poco dopo
    in una raccolta di CD; nel viaggio dentro di Piero Angela
    nell’omino anatomico, gratis con la collana De Agostini

    lo puoi montare e rimontare, puoi
    invertire i femori ed i piedi
    prendere in mano gli organi e le ossa
    sbattere la mandibola, aprire il cranio
    e togliere il cervello, stringerlo nella mano

    che se fosse il cervello dei grandi
    si potrebbe risciacquare con l’aceto o lavare
    di nascosto in chiesa, nell’acquasantiera
    e poi portare ad alta quota e caricarlo d’aria pura

    per diluire questo DNA del secolo
    che tende a non far credere più alla geografia umana
    dove gli stati sono mani e piedi e braccia e gambe
    le strade sono nervi, e vene che portano ai paesi
    le istituzioni gli organi ed i sensi, le vacanze

    i polmoni i parchi e la montagna, le terme sono i reni
    il fegato è il dolore e l’intestino, la sua filosofia
    la tua casa è il cervello, la tua famiglia è il cuore

    ma se capita di passare da te con google maps
    le finestre sulla strada sono chiuse
    come gli occhi che abitano fuori dalle geografie



    nel vaso di vetro

    le monete riposte in un vaso di vetro
    incuriosiscono i bambini
    per le forge strane, ignote, lontane

    tu guardi il colore, il disegno, la data
    trovi quella di mamma, quella di papà
    di nonni, bisnonni, delle grandi guerre

    e da domanda poi nasce domanda
    sugli universi che nasconde il tempo
    i vari paesi, i loro re, le dittature
    chiedi di quello coi baffi quadrati
    che sterminò sei milioni di ebrei

    ti resta sulle dita l’unto del metallo
    un’impronta digitale antica
    i tatuaggi che compongono il viso
    di un mondo fiorito di monete sporche

    dovrei pulirle ad una ad una col viakal
    ma hanno la storia patinata
    sul dritto, sul rovescio e sarebbe
    come togliermi le rughe dal volto

    invece, mio amore, da nonna
    voglio apparirti nonna senza falsità nei capelli
    senza il botox a confondere le tue cronologie
    quelle naturali da miliardi d’anni

    non i meccanismi sconvolti
    dalla miseria umana che si vuole elevare
    ad immortale (pre)potenza



    la vecchia credenza

    c’è troppo mondo uscito da questa casa
    gli anni del gioco, i quaderni di scuola
    la scatola rossa del pallottoliere
    che fu ponte tra le nostre generazioni

    non resta più traccia della giovinezza
    nell’essere mamma, ora che il bisogno
    è di guardare, di sfogliare, di farsi meraviglia
    di quel passato che sarebbe il mio futuro
    in questi giorni inzuppati di pioggia

    oggi il ricordo insiste
    sulla vecchia credenza della nonna
    a tutte le cose là dentro
    diventate piccole morti silenti
    che urlano nel pensiero

    oh, se qualcuno l’avesse conservato
    quell’involucro così mortificato
    gli darei la nuova vita che ho scoperto
    di avere tra le mani



    senza perché

    ricordo le stanze, i muri, lo spessore
    il davanzale così largo
    da essere un tavolo per i bambini

    con le tovagliette a quadri
    i piatti sbreccati, i cucchiai di alpaca
    e quel risotto giallo che appannava i vetri

    non c’erano domande dentro

    per esempio la marca dello zafferano
    la carne usata per il brodo
    la stagionatura del parmigiano

    il sapore, mai più ritrovato
    non aveva un perché. era una danza
    tra l’ultima musica del camino
    e la primavera, al di là appena
    con la fioritura dei sambuchi



    filastrocca di capodanno

    torna la pagina nuova
    la paura, la voglia di avventura
    la punta alla matita

    resto a pregare un po’ diversamente
    ché c’è di mezzo il mare
    tra braccio e mente, la forma del cuore
    la ruggine dentro le spalle

    contundente

    non c’entra niente
    tutto sta rispettare il margine
    il quadretto

    munirsi di gomma da cancellare
    -lasciarsi cancellare

    per non morire gialli, in un film
    in bianco e nero dov’è disegnata
    una gabbia, sebbene aperta

    sul mezzo foglio bianco sporge la testa
    con i capelli come raggi
    in un fumetto



    il tuo sorriso

    sotto i passi resta la casa
    il suo silenzio parla dentro le cose
    si chiude con le voci andate una ad una

    lei le raccoglie come una famiglia
    stretta per mano per sguardi
    d’occhi prima spenti poi accesi
    anche nella lontananza

    tu non devi piangere

    è dappertutto il tuo sorriso
    argentino, vicino sempre
    qui, nella mia felicità



    la noia

    senti la noia, ma non sai
    (non lo sanno neppure i grandi)
    che dalla noia può nascere un romanzo
    quello di un paesaggio immobile
    che tace nei tuoi occhi
    mentre il giorno va verso il buio

    e s’accendono insieme tutti i lampioni

    ma le luci della case, no
    quelle lo fanno una alla volta
    alcune insieme, alcune raramente
    come la storia di chi ci vive dentro
    espressa nella sua condizione
    il lavoro, un bambino appena nato
    i compiti da finire, l’anziano da curare

    e si accendono i fari nel villaggio
    per chi arriva, per chi parte
    lampeggia un cancello
    l’insegna al vecchio ristorante
    resa fluorescente dalla nuova gestione

    la tua noia si perde nelle storie
    lette da una terrazza, un romanzo
    visto in cinemascope



    la malinconia

    chiamiamolo malinconia
    quello sguardo un po’ spento
    dopo la prima notte di vacanza
    è come se avessi negli occhi
    il dubbio delle poche cose
    che intorno premono il vuoto

    dei giochi mai pronti da giocare
    o del deserto sempre più deserto

    imparerai ad ascoltare
    quell’angolo di bosco
    (noi parlavamo di anima)
    che a guardarlo viene paura

    nel punto più scuro
    tra le radici che sfiorano le tue
    potrai fare incontrare
    il tuo burattino
    con la sua parabola


    la solitudine

    sto bene in questo albergo vuoto
    musicato dai ceppi nel camino
    dove il mondo si legge
    attraverso gli intagli delle tende

    eppure nel silenzio c’è tutto, il giro del mondo

    vedo il mio passo dentro un grande specchio
    e studio una postura principesca:
    dritta la schiena, lo sguardo avanti
    parlo alle stanze, annuncio di te
    che arriverai domani


    che

    che quando il nonno andava nella vigna
    lo seguivo sempre (uno scrittore coi fiocchi,
    uno che pubblica libri per “la scuola”, mi diceva
    - chi inizia la frase con il ”che”, è uno che in scrittura
    c’ha le palle). 2uindi (a me piace la qu maiuscola
    a forma di due) amavo la vigna. il fascio di salice
    che mio padre portava alla cintura. il track
    del forbicione sulle potature, l’ardore del sole
    sullo zolfo. le galline tra un filare e l’altro
    che acchiappavano grilli. poveri grilli
    (diremmo ai nostri giorni) ma anche poveri noi
    a non mangiare più le uova di galline
    che hanno beccato i grilli



    [Modificato da fil0diseta 09/11/2017 11:12]
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    Distratto_2
    Post: 101
    00 07/10/2017 08:48
    Scusa....io sono quello che non capisce. Qual è il tuo intento?
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    fabella
    Post: 2.572
    00 07/10/2017 09:07

    intanto buon giorno distratto [SM=x2823269]

    il mio unico intento personale è quello di scrivere per un bambino. ma non è di questo intento che parlo sopra, altrimenti non pubblicherei queste cose qui.

    è l'intento che si allarga alla poesia, quello individuato dai commentatori della prima poesia: Davide Rondoni e Aurelio Picca. non è difficile scoprire chi sono con una piccola ricerca [SM=g2829698]

    quello che ti parrà ancora oscuro è tutto qui, nel capitolo "la poesia è vita"

    ciao
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    fabella
    Post: 2.642
    00 10/11/2017 13:27

    il profumo dell'aglio

    vedi amore
    solo chanel 19
    (hai capito bene n°19, non il n°5)
    supera il profumo dell’aglio

    eppure tutti lo chiamano odore
    sudore, alitore, antiore d’amore
    antivampiri e vampori

    mi piace farti ridere così
    con le mie invenzioni
    ma la questione è seria

    il sentore d’aglio colloquiare
    ti fa scontroso, irriverente
    non ti rende degno
    di un colloquio di lavoro
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    fabella
    Post: 2.646
    00 22/11/2017 16:15
    pennelli

    al piano terra ho una doppia cucina:
    è quella della nonna, col frigo basso e la bocca del camino.
    dovrai usarla per friggere il pesce o per le marmellate
    invece tengo riposto l’albero di Natale

    di tanto in tanto ci lavo i miei pennelli
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    fabella
    Post: 2.651
    00 15/12/2017 10:04
    il ritratto

    un po’ di te, un po’ di me- come bestialità nelle canzoni
    (ma infatti, comprendere il testo delle canzoni mi sa di bestialità)

    voglio che la canzone mi faccia da invenzione
    di un biscotto zoppo, di una frase in cottura
    della sveglia che mi ama e non mi sveglia

    cosa me ne faccio di una canzone senza invenzione

    come invento te, in un ritratto. Amore
    Gioia, fragore quando dal mio terrazzo
    vedo la tua finestra aperta
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    fabella
    Post: 2.655
    00 15/12/2017 13:31
    la fantastica robaccia


    ogni casa ha il suo cassetto
    per lo più nella cucina
    ci si buttano le cose
    spesse volte per la fretta
    -mi potrebbero servire
    quando voglio le ritrovo-
    c’è una corda, c’è una pila
    le puntine arrugginite
    un bel fiocco di frangetta
    l’orecchino anche spaiato
    tutte quante mezze storie
    che tu devi reinventare

    per il compito racconta
    con la tua immaginazione
    cosa trovi in quel cassetto

    non mi serve immaginare
    in cucina c’è il cassetto
    che contiene stretto, stretto
    il passato e l’imperfetto
    le monete ancora in lire
    che mi fanno trasalire
    un calzare di metallo
    mi farebbe proprio comodo
    ma lo lascio dove sta
    è un ricordo assai lontano
    un omaggio ancora serio
    per l’acquisto delle scarpe
    che duravano una vita

    grazie al compito di oggi
    mi è piaciuto andare a caccia
    per le stanze, negli armadi,
    di fantastica robaccia

    [Modificato da fabella 15/12/2017 13:31]