Ho sputato nel piatto le monete che ho rubato.
Guardale attentamente. Sul retro hanno il marchio
del monarca. Tutte risplendono della stessa luce,
eccetto una, la tua che tieni sulla mano.
Ho pensato di rubartela e regalartela ma,
come mi hanno insegnato un gentiluomo
non si dimostra tale con l’astuzia, solo
il gesto e la carezza di un pensiero per bene
lo rendono puro agli occhi di una donna.
La tua moneta è la mia ora e la mia ora
dipende solo dalla tua mano, dal pollice
macchiato di rossetto e dallo champagne
che mi ricorda il conto alla rovescia.
Una donna. Una moneta. Ed io seduto
sulla poltrona a mimare la tua bevuta,
l’ultima suppongo, prima che la tua voce al
mondo gridi -al ladro, al ladro- e poi sparire
come un sogno alle prime luci del mattino.
Se solo tu avessi lanciato la moneta, ora
non sarei qui a piangere questo marmo.