27/02/2020 08:47
Re:
cripaf, 12/02/2020 09.01:

Contenta tu!
per parte mia ho smesso di cercare l’armonia, semmai l’abbia cercata, nelle poesia. Mi suona fuori luogo. Dove tutto è frammentato, senza un senso se non quello della mercificazione costante, che vale esprimersi con versi dolci con il nerbo della musicalità?
Non sento nemmeno più di intessere discorsi che guardino ad un possibile lettore, da coinvolgere attraverso il sentimento o il cuore nobile del poeta che guarda al messaggio universale, semplicemente perché nessuno è in ascolto e il pensiero è dominato da argomenti molto meno musicali e poetici come sopravvivere ai mutui bancari o a una lunga giornata in un pronto soccorso o adeguarsi alle tecnologie sui posti di lavoro e al loro inserimento in un quadro di aziendalizzazione e molto spesso ancora all’inadeguatezza delle risposte degli uffici pubblici (poste, Asl, banche, scuole etc.) nel venire incontro ai bisogni con le loro trovate funzionali soltanto alla loro razionalità tecnologica. Ecco, se c’è qualcosa da fare è nella direzione di un radicale NO al pensiero orientato all’adeguamento costante del proprio pensiero, a questa costante rettifica del basso nei confronti dell’alto, dell’impersonale, dell’intoccabile, dell’automatico, dell’inevitabile modello ad una dimensione del capitalismo avanzato.
A cominciare dal linguaggio, pensando a quello che hanno già fatto in altri campi da molto tempo, artisti come Duchamp e Picasso. Siamo nel 2020 ma per buona parte della poesia che leggo sembra di stare ancora a contatto con una natura immacolata, con una società orientata al bene di tutti e che il poeta si salvi dal resto del contagio e della devastazione con buoni sentimenti condivisibili e universali.
Penso che non ci sia più posto alcuno per il linguaggio della metrica perfetta, ma tutto debba essere ricondotto ad un tentativo di adeguarlo alla comprensione del mondo che si ha di fronte, a costo di farlo solo per sé stessi e di lasciare tutto in un cassetto o dove non si posa mai il giubilo e l’approvazione generale. Per chi ne abbia voglia, chiaramente e per chi prende l’ argomento “ poesia “ come qualcosa che accelera la mente per trovare qualcosa, per dirla con Brodsky , anche solo una giustificazione per continuare ad esistere e non come la pillola del sonno.

ciao, Franco




"E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica"
(F. Nietzsche)


Ciao Franco; ognuno la pensi come vuole, ma non non condivido alcuni tuoi passaggi.

Ho sempre pensato che la poesia sia musicalità a prescindere, non scende a compromessi; è nata come musica e dalla musica.

La musica è vita, senza musica quando sarem(m)o cadaveri…

Che poi si voglia appositamente scrivere versi “che facciano il verso” alla cacofonia o al rumore, mi può star bene, e se questa è una scelta mi adatto, fermo restando che io dal rumore cerco sempre di fuggire e di dirigermi verso l’armonia che mi attrae come mi attrae ogni cosa che è bellezza.

Io sono nata come "Versolibero", la metrica l'ho imparata dopo, ma chi mi ha guidato verso la metrica lo ha fatto perché leggeva nei miei testi molti endecasillabi di cui io ero perfettamente inconsapevole.
Oggi scrivo in entrambi i modi ma con un'attenzione particolare alla musicalità che non è necessariamente legata alla metrica ma anche al suono stesso delle parole e alla scorrevolezza della frase; qualunque sia l'argomento, io preferisco una pronuncia morbida, senza troppi intoppi, perché se si dice che anche l’occhio vuole la sua parte (e questo in poesia va verso la parsimonia e a volte la rinuncia alla punteggiatura) così l’orecchio, se c’è la “base”, il fondamento, non sarà distolto dal contenuto, non farà fatica ad interessarsi ai significati, ma anzi, aiuta a comprenderli pur restando in sottofondo; viceversa viene meno anche l'attenzione e interesse al significato. Insomma non vedo la musicalità come un intralcio né come qualcosa di sorpassato, ma semmai il contrario.
Sicuramente per me vale il discorso che i punti focali della poesia nel proprio "credo" restano dei cardini non ricattabili e non svendibili o adeguabili alle problematiche inerenti al tempo in cui viviamo e a cui fai riferimento nel tuo commento.

Detto questo, tu, caro Franco, anche se non hai interesse alla metrica, posso dire che hai una musicalità innata, le tue poesie sono sempre scorrevoli, ed io credo di non aver mai espresso criticità per una scarsa musicalità e scorrevolezza nei tuoi testi ma solo per una difficile, e a volte impossibile, fruibilità dei significati per chi cerchi di capire un testo interamente e di rilevare la coerenza interna del testo secondo lo scrivente.

Da parte mia vado alternativamente per una strada o per l’altra, l’ho sempre fatto e resto coerente con me stessa. Ci sono tanti autori che scrivono in verso libero che mi piacciono molto, ma altrettanto forte, se non più forte, è il fascino che esercita su di me la poesia in endecasillabi, o comunque in metrica canonica, purché si usi un linguaggio contemporaneo e non invece un linguaggio aulico.
A titolo d’esempio, i cari compagni di vecchio percorso come Rodolfo Vettorello, come Gianluca Malavisita (GiaMal85), come Antonio Colandrea ecc. ecc. conciliano molto bene il "cosa" e il "come" dire in una poesia.
Semmai il problema è acquisire naturalezza all’interno del rigore e della disciplina metrica, e in questo riesce una mano esperta.

E a mio avvivo questa strada un poeta deve conoscerla, altrimenti non può scegliere, o meglio non può parlare di vera scelta, ma va dove gli viene più comodo, perdendosi tante altre vedute dell’ampio paesaggio che la poesia presenta.


e devo dire che mi addolora leggere un atteggiamento del genere da parte tua:

"per parte mia ho smesso di cercare l’armonia, semmai l’abbia cercata, nelle poesia. Mi suona fuori luogo. Dove tutto è frammentato, senza un senso se non quello della mercificazione costante, che vale esprimersi con versi dolci con il nerbo della musicalità?
Non sento nemmeno più di intessere discorsi che guardino ad un possibile lettore, da coinvolgere attraverso il sentimento o il cuore nobile del poeta che guarda al messaggio universale, semplicemente perché nessuno è in ascolto e il pensiero è dominato da argomenti molto meno musicali e poetici come sopravvivere ai mutui bancari o a una lunga giornata in un pronto soccorso o adeguarsi alle tecnologie sui posti di lavoro ......
"ecc.)

Mi sembra un atteggiamento remissivo, una resa, un mollare gli ormeggi; ma caspita, noi ci lamentiamo e abbiamo ragione di lamentarci per i problemi che ci appaiono senza soluzione, e per questo ci arrendiamo? Rinunciamo quindi all'armonia anziché contrapposta a tutto questo? Quindi finiamo per rimestare i pezzi infranti di una realtà come tu la descrivi e tutto finisce lì, anziché contrapporci fortificando i cardini della nostra fede, dei nostri princìpi, dei nostri ideali?

Tu, io, chiunque, possiamo "fotografare" tutta la realtà che vuoi, tutte le macerie, il caos e quant'altro, ma non c'è poesia se non mettendo in gioco se stessi, la parte più intima e vitale, ma senza preoccuparci (e quindi senza mollare gli ormeggi) di quanti siano i lettori ("Non sento nemmeno più di intessere discorsi che guardino ad un possibile lettore, da coinvolgere attraverso il sentimento o il cuore nobile del poeta che guarda al messaggio universale, semplicemente perché nessuno è in ascolto...")

E no, e no, caro Franco.
A parte il fatto che vale sempre la pena di comunicare anche se ci fosse un solo lettore. Ma hai visto mai folle dietro la poesia?
E i grandi poeti, si sono mai lasciati andare per la mancanza di una folla o dei seguaci o di qualche anima in similitudine?
Avrebbe mai potuto prevedere Leopardi tutto ciò che ha messo in circolo con i suoi versi e che non accenna a tramontare?
O forse il suo tempo e la sua condizione personale era migliore della nostra?

Ecco perché io vado avanti con la fierezza di essere e rimanere me stessa qualunque sia la realtà contingente, poiché non è la realtà contingente a modificare me ma semmai il contrario.

I versi sono semi. Il terreno non è sempre fertile, ma questa non è una buona scusa per smettere di dissodare la terra e immetterci dei semi.

Però i semi non sono solo intelletto, non sono solo cultura, perché ciò sarebbe sterile senza supportarli con ideali e sentimenti i nostri percorsi poetici. E quindi con il nostro io
- sì, con la nostra parte più profonda .

Ma non parlo affatto di una poesia che osanni il proprio io.
Piuttosto di un soggetto che percepisce la bellezza, la preservi in se stesso e rifletta sulle parole di De André: "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori".

Dalla guerra rinasce la pace. Ma non bastano i nostri lamenti tra le macerie. Ci vuole qualcosa di più forte: un credo, appunto, una fede, la propria, forte e incrollabile.

YVES BERGERET è un poeta che osserva la realtà da tutti i lati, senza filtri. Il suo messaggio è limpido e universale.

"A mezzogiorno, valicato il colle battuto da un gelido vento
mi distendo a riposare sul sentiero
sopra un cumulo di pietre appiattite chiazzate di neve.

*

Avverto sotto le mie ossa il suono lieve
della neve che si scioglie al sole tra le pietre.

*

Di fronte a me, su un pendio più in alto,
di un bianco quasi accecante,
qualche pietra divelta dal sole
si frantuma di schianto.
Precipita con un breve tonfo nel vuoto.

*

Mi addormento. Nel sogno vedo i ghiacciai,
le lingue dei grandi venti del cielo
adagiate sopra manti di pietre levigate,
scivolare tra vallate desertiche.
Un sobbalzo, come di qualcosa che rimbomba,
un soffio rapido che si diffonde intorno
e il ghiaccio scivola a blocchi per la china
deformando il pendio, scrollandosi
dalle spalle avvolte dalla bruma
gli sparsi resti del suo perduto amore.

*

Poi vedo in lontananza un cavallo nella foschia.
E un uomo che corre sul ciglio della strada
in quella nebbia indorata dal sole.
Ai piedi degli alberi spogli
un terriccio brunito, delle felci ingiallite.

*

Sogno la copertura bianca
posata sulle tombe della Martinica
fatta di piccole coppe di rame,
regolari, leggere, appena tintinnanti
sull’acqua stagnante delle terre e dei corpi dissolti.

*

Si levi la poesia, allora,
e venga a dipanare
la sottile trama del pensiero
danzando come un’ombra
sulla deriva ventosa delle acque terrestri.


*

Si levi la poesia, allora,
fino ad innalzare
sopra il mutevole corso delle cose
un corteo di immagini meno provvisorie,
belle come gli affreschi sotto le volte,
inappagate come brocche poco capienti,
belle come la falcata di un corpo
sulla neve che il vento dell’alba compatta,
felici e inquiete come una famiglia di rifugiati
che sbarcano laceri all’aeroporto
e subito precipitano al fondo di un pendio fangoso
dove si dissolve la neve.


*

Che della poesia sopravvivano allora
anche solo le pietre che rotolano lungo il pendio
i pianti di una bambina
negli scali dove si va alla deriva senza speranza,
le sue grida così vere
come le bianche mobili montagne
dove siamo nati
e dove ritorniamo per dormire
distesi sulla loro coltre che si scuote
e si scioglie nell’abbraccio della luce.


(Yves Bergeret)

(da: rebstein.wordpress.com/2016/12/22/lerranza/#more-80617 )

Nessuno ha commentato queste poesie. Ma si possono anche solo leggerle e tenersele strette al cuore.


Ciao Franco.










______________________________________________________________________________
"Le parole sono 'contenitori' troppo angusti per le mie emozioni e quando, leggendo, le sento 'soffrire'
o mi segnalano delle 'sofferenze' corro a liberarle senza pensarci due volte per provarne di più adatti".
(citazione di EEFF)