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Auree accidie
con memore mano dolente
mormori sul volto
e ferina
tracanni lacrime di fiele:

Tu che laceri e lenisci,
Tu da sempre
sai:
con tal morbo
ogni speranza è morta.

Arranco al ghetto della solitudine:
attendo
e pare ammutolire il lume rubro,
ultimo della vita tizzo ardente
che sfrena al Caos

Addio, del passato
sfolgorii di favole...

Auree accidie
la memore mano sepolcrale
su volti sanguinanti
suppura.

Tu che laceri e lenisci,
Tu da sempre
sai:

pria
di subir la vita,
util una narcosi
saria


Da pertugio occulto
l’abituro scabro
trasognato scruto

dalla torre d’un intorto vallone
un
vanire di vampate sfavillanti
un
tumulto titubante di cavalli
odo

orde squassanti i sentieri motosi
lungo un torrente turgido di pioggia,
furente bulichìo d’irosi gorghi
mugghianti

e fu silente
schianto

sulle pareti dell’eburneo Carcere
stingeva inesorabile la Voce
del saggio Eremita:
O Uomo! Attento! Che dice la Mezza-
notte fonda? È fondo il Mondo, come
il suo Duolo -
ma più la Voluttà che Tempo eterno
vuole...

parole strazïate di silenzi
sfiniti che corrodono
l’anima e un viso
di bragia sangue nero essuda
che in gorgo sepolcrale precipita...
e più non risorge
«Sangue del mio Sangue...»

In un salùbre stremo Morbo arcano,
in ìlare Tedio,
in torpida Foga,
ebbro anelando
a gaudïosa
Morte


- O Servitore,
non giunto ancora è il Tuo Tempo: accogli
la Nostra supplica.

Abbuia, ma il fuoco
barbaglia e rubescente
pencola il volto piagato.
Essa t’implora, accogli la Sua supplica.

- Esule ormai,
estenuato
fluttuo
in questo turpe
mondo.
Avvinto al limite ultimo
della Negazione,
trasvolar bramo oltre la Morte, verso
la coscienza assoluta del Nulla.

Una funesta
litania mormora la neve mesta
sul brumoso pietrame del viale;
fiere folate di gelo i cipressi
ceruli sfrenano; un viso sgravato
di Vita si dissìpa tra i barbagli
nel Fuoco ebete del Tuo Cammino
del viale sul pietrame intirizzito,
dal vento sospinto che fluttua nero


ANIME DI BRAGO


- A me, blasfeme Posse! O tenebroso
Fulgore, i simboli cruenti
dell’infernale Apocalisse
disvela:

- La mente catta schiudi!
La vita, o ribelle, stupra! Senza
orrore e col favore e col fetore
delle tenebre annienta i ripugnanti
Misteri e mostruosi dell’anime
di brago, avvinghiate a dogmi dementi
che faci tronfiano fallaci.
Nel delirio di perverse passioni,
estirpa le virtù, il vizio semina,
esecra la quiete dello spirito.
Meglio crepare,
schiavo d’impure imposture,
voragini voraci che la vita
ebbra e turgida mortìferano: mùcida
follia!

- Tu sei Maestro… Ch’io Ti riveda...
un giorno!
- Forse.
- O mie sacre
Parole,
pavento il gorgo infernale.
Ma Tu, Funesto Spirto
che con tenèbre abbàcini,
se a me concedi il Genio
e tutto il suo Tormento…

Nella mota putre e fonda,
sul pietrame intirizzito, percosso
dal vento che fluttua nero
tra le nebbie e i barbagli d’un Fuoco ebete
un Viandante dal viso sgravato
di vita
arranca sosta s’accascia si rïalza
e
spirando
si dissolve

VANA LA TUA SFIDA»


- pietà, Spiriti infernali...
di Lei
orbato, lo Spirito orbato
del Poeta,
udite il rantolo
esulcerato e sublime
delle
Parole
che
sommesse
implorano

- schiudi benevolo,
tristo e remoto sodale
del mio vano peregrinare sulla
Terra, le porte ferrate: tre Mostri
del Nulla
ghermirono la Donna mia, anzi
il mio Cuore
ond’io meno la vita in pena acerba.
Indulgenza impetro, troppo aspro
il rovello della mia afasia

- Io Te la rendo, ma con questa legge:
Ella molto ha sofferto,
o Poeta:
insozzata, stuprata... Dira sorte
ormai l’attende:
i raggi della Sua luce
fatalmente si smorzano.
Rimenala alla Tua
Rocca, impavido
schiavo, ma alla Sua morte i Messaggeri,
precìpiti torneranno
a trasvolar lo Spirito Suo
quivi nel mio Regno

- ebbene io vi sfido, Potenze infernali!
- vana la sfida... ella viene, piangente... Pòrtala
con Te. Poco ti resta…



Io sono Nessuno.