19/09/2021 10:32
Un ristorante in riva al mare, una coppia che pare vivere una relazione ormai logora – si scambiano poche parole, anodine – una sera che precipita in una notte spettrale, agonizzante… Labili, residuali segni di vita compenetrati da ombre lugubri: le “risa” degli avventori sono “tetre”, le lampare, le stelle sono un fioco “brulichio”. L’abitudine ha consumato tutto, echeggiano gli ultimi battiti dell’esistenza. Cade il buio che tutto cancella: si ode lo sciabordio delle onde, il cui moto inutile, iterato, sempre uguale è come se fosse immobile, il vento è un respiro arrantolato, le costellazioni sono crepe nel firmamento notturno (“il cielo va in frantumi”).

Non sfugga la tessitura sonora in questo scenario crepuscolare: prevalgono suoni cupi e ruvidi, in particolare la vocale “u”, le consonanti “c” e “z”, appena temperati dal timbro aperto, luminoso della “a” di “risa” in lontana, eppure consustanziale correlazione fonica e semantica con “vita”.

Ma che cosa davvero descrive l’autore? Il lento, irrevocabile declino di un rapporto tra lei e lui o qualcosa di molto più profondo, ontologico, il tragico distacco tra l’uomo ed il senso di un universo destinato ad incenerirsi alla fiamma fredda del tempo, l’abissale solitudine di chi ha capito, ma non può condividere con alcuno una verità troppo accecante per essere fissata anche solo per un secondo?
Io sono Nessuno.