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Antonin Artaud "Per gli analfabeti"

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  • filodiseta
    20/05/2007 19:57
    Mi preme mettere alla vostra attenzione questo pezzo di Antonin Artaud [primo mezzo secolo 1900] artista di teatro e di vita, scrittore e poeta ... finito in manicomio in Francia e lì dentro morto ...
    L'ho letto per la prima volta grazie a una poetessa che molto stimo...



    Un 'anarchia, senza ordine né legge, le leggi e i comandamenti non esistono senza il disordine della realtà, il tempo è la sola legge. Continuerò a disarticolare ogni cosa, nella vita degli universi, perché il tempo sono io.

    La rivolta generale degli esseri è stata un sogno che ho osservato come un albero, nel mio angolo, con l'epidermide delle mie mani, e non ero morto né distrutto, ma nel corpo da qualche parte.

    Sono una macchina che funziona benissimo e parte al primo colpo e sono gli esseri che, con la dialettica, fanno sorgere falsi problemi per comprendere esplicitamente quello che dico: che la mia testa funziona.

    Seguo la mia strada nell'onestà, nel contegno, l'onore, la forza, la brutalità, la crudeltà, l'amore, l'acredine, la collera, l'avarizia, la miseria, la morte, lo stupro, l'infamia, la merda, il sudore, il sangue, l'urina, il dolore.

    Non sono l'intelligenza o la coscienza ad aver fatto nascere le cose ma il dolore mistero del mio utero, dei mio ano, della mia enterocolite, che non è un senso, caro signor Freud, ma una massa ottenuta solo soffrendo senza accettare il dolore, senza rivendicarlo, senza imporselo, senza starselo a cercare ...

    Non c'è scienza, c'è solo il niente, e non la supereranno la loro scienza se credono. Non si può vivere con tutti questi parassiti mentali attorno. Io sono colui che ha voluto rendere inutile il segno della croce.

    Il dubbio, l'incostanza, l'ignoranza, l'inconseguenza non costituiscono uno stato alterato, ma il solo stato possibile, non esiste l'essere innato che avrebbe infusa la luce, la luce si fa vivendo, ma la sua natura reale è tenebrosa, non riempie mai lo spirito di consapevolezza, ma della necessità di accatastare il suo essere, di raccoglierlo al centro delle tenebre, affermazione consistente di un essere, di una forma che con la sua misura e i suoi appetiti si affermerà, l'essere, non dio, nessun principio innato.

    Io non sono mai andato a dire agli intellettuali: che cosa volete? Neppure li ho mai biasimati, li ho solo scandalizzati con la lingua e i colpi. L’idea che ho di me è che non so nulla e sento sempre qualcosa di diverso in merito a un'idea del dolore e dell'amore che non può non uscirne.

    Non ho mai amato l'atmosfera delle case di correzione e non accetto che me la si applichi.

    Lo ripeto, a guidarmi non è l'orgoglio letterario dello scrittore che vuole piazzare e veder pubblicato il suo prodotto. Sono i fatti che racconto che voglio che nessuno ignori, i gridi di dolore che lancio e che voglio siano sentiti.

    No, io, Antonin Artaud, no e poi ancora no, io, Antonin Artaud, non voglio scrivere se non quando non ho più niente da pensare. Come chi divori il proprio ventre, l'aria dei suo ventre, da dentro.

    Sotto la grammatica si nasconde il pensiero che è un obbrobrio più difficile da battere, una vergine molto più renitente, molto più difficile da superare quando lo si prende per un fatto innato. Perché il pensiero è una matrona che non è sempre esistita. E che le parole gonfie della mia vita si gonfino nel vivere dei blabla dello scritto.

    Io scrivo per gli analfabeti.



    Antonin Artaud "Per gli analfabeti"
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    walter.w
    Post: 16
    09/06/2007 16:35




    “I mortali sono coloro che possono esperire la morte come morte. L’animale non lo può. Ma l’animale non può nemmeno parlare. Come in un lampo improvviso appare qui il nesso essenziale tra morte e linguaggio – nesso che rimane ancora impensato. Esso può tuttavia darci un cenno quanto al modo in cui l’essenza del linguaggio ci rivendica a sé e ci trattiene così presso di sé, nel caso risulti che anche la morte appartenga a ciò che originariamente ci rivendica”.

    Heidegger



    Ora, il fatto che “la morte appartenga a ciò che originariamente ci rivendica” deve essere già venuto in chiaro: essa, raccogliendo ogni morire, “è” la voce silenziosa dell’origine.
    Da qui riceviamo “un cenno” in direzione del modo in cui, a sua volta, anche il linguaggio ci reclama. Infatti: che l’uomo sia mortale significa ora che egli si trova in corrispondenza originaria con quella voce. Ma quella voce è “silenziosa”. Non si oda solo l’ossimoro; non si pensi ad una presenza-assenza di suono o ad una negazione contraddittoria di una sonorità. D’altronde è pur vero che quella voce non ha alcun suono, nel senso che non risuona mai come la voce umana o il verso dell’animale, o come la parola divina. Piuttosto: essa con-suona in sonora con ogni suono del mondo: con il fragore del traffico e della pioggia, con la quiete della notte e con la voce pubblica, con il boato nel cielo e con la chiamata del Dio ignoto, con la voce del vento e con il suono delle stagioni:



    …E come il vento
    odo stormir tra queste piante, io quello
    infinito silenzio a questa voce
    vo comparando: e mi sovviene l’eterno,
    e le morte stagioni, e la presente
    e viva, e il suon di lei…




    Che quella voce sia silenziosa significa: essa risuona dal nulla, è il suono del nulla […]ciò che si mantiene integro nel dire e a partire dal dire, l’integro dicibile oltre ogni indicibilità, oltre ogni rappresentazione dell’essere dell’uomo, dell’aprirsi dell’uomo all’essere e del suo morire, della sua storia: il suono del nulla nella parola: il puro trattenersi del linguaggio in sé, il suo tenersi al riparo da ogni pericolo che esso stesso implicitamente provoca. […] La voce silenziosa è allora l’elemento stesso del dire – come il sereno è l’elemento della tempesta. Essa è il trattenersi del dire, al di là e al di qua di ogni suo errare. Quella voce parla in silenzio dell’essenza del linguaggio.


    Ma: a chi parla? Sempre e unicamente a noi – a noi in quanto abitanti nel tempo di povertà, in quanto consegnati al destino del rifiuto della verità dell’essere. Quella voce ci parla del linguaggio, rivolgendoci il suo silenzio essenziale. (Noi non possiamo che ascoltarlo, ma questo ascolto va preparato..). Se qualcosa come il segreto del disvelamento ci chiama, che altro può essere se non il segreto della parola? Ma quel segreto ci reclama unicamente in quanto siamo mortali. Non possiamo far altro dunque che lasciarci esigere.
    Là dove c’è uomo, si danno, in un nesso essenziale, morte e parola, morte e linguaggio. Siccome, simultaneamente, sempre lì dove c’è l’uomo, è data la possibilità di un pensiero dell’essere, quel nesso rimane impensato. I suoi cenni, tuttavia, indicano. La morte accade come scrigno del nulla. E il linguaggio, la parola – come accadono?




    G. Zaccaria - L’etica originaria





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    filodiseta--
    Post: 471
    29/05/2009 14:09
    ancora Antonin Artaud
    Tutta la scrittura è porcheria. Le persone che escono dal vago per cercar di precisare una qualsiasi cosa di quel che succede nel loro pensiero, sono porci. Tutta la razza dei letterati è porca, specialmente di questi tempi. Tutti coloro che hanno punti di riferimento nello spirito, voglio dire in una certa parte della testa, in posti ben localizzati del cervello, che sono padroni della loro lingua, tutti coloro per i quali le parole hanno un senso, per i quali esistono altitudini nell'anima e correnti nel pensiero, che sono lo spirito dell'epoca e hanno dato un nome a quelle correnti di pensiero, penso alle loro precise bisogna, e a quello stridio d'automa che il loro spirito butta al vento, - sono porci. Coloro per i quali certe parole e certi modi d'essere hanno un senso, che sanno fare così bene i complimenti, coloro per i quali i sentimenti hanno classi e discutono su un qualunque grado delle loro esilaranti classificazioni, coloro che credono ancora a dei «termini», che agitano ideologie affermate nell'epoca, coloro le cui mogli parlano così bene, e le mogli stesse che parlano così bene e parlano delle correnti dell'epoca, coloro che credono ancora a un orientamento dello spirito, che seguono vie, sbandierano nomi, fanno gridare le pagine dei libri, - quelli sono i porci peggiori.
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    Jai guru deva om
    Nothing's gonna change my world