04/08/2007 17:13





Il mondo dell’indifferenza: come scuotere questa gioventù che sembra vivere senza più emozioni?


L’indifferenza è quasi una non vita.
Direi, come antidoto, la possibilità, il contatto, lo spazio. Viviamo in stanze dove la realtà arriva già confezionata. Non può mettere alla prova, toglie ogni stimolo vitale. Si dovrebbe cercare l’esperienza, per capirci nei nostri limiti e capacità. Per trovare sicurezza, e formarci.
Superiamo con la fretta il tutto, ma senza un contatto non si conosce, non si modifica. Lo sfuggente crea impotenza e paura ampliata dall’immaginazione. Si tirano su muri . A mio figlio consiglio di andare, sempre. Di entrare e agire negli eventi, di difendersi con la mediazione tra istinto e ragione, senza tirarsi indietro. Osservare la natura che ha regole schiette. E in qualsiasi circostanza, di fermarsi nel tempo giusto, per guardare l’altro negli occhi. Insomma forse i giovani dovrebbero essere buttati un po’ fuori le nostre porte, essere indotti al viaggio. Lo spazio anche in una società difficile come questa c’è per tutti, magari scomodo inizialmente. Il mondo è grande e vario. Diamogli la speranza anche faticosa nella ricerca della loro collocazione e potenzialità.



Il Rapporto tra poesia e fede, a te che se ricordo, sei atea.


Non so se è giusto il termine “ateo”
E’ difficile non credere per me. Pur non seguendo una dottrina religiosa e non avendo un Dio di riferimento, sono attratta dalla religiosità. La sento forte. Credo nella preghiera. Le mie domande trovano intorno una forma che tende verso l’alto. Tutto quello che non so tiene in vita . E’ il mistero dell’inquietudine che non si spiega interamente. Nella disperazione, nella gioia della possibile scoperta, l’invocazione spera. Chiedere e rivolgersi esprime il desiderio di comprendere e raccogliersi. Come la poesia.
Il punto di stacco, il trascendere dal piano della realtà sono spesso la comunicazione, l’incontro tra loro, per me, in me.



Quelle tue esperienze da ragazzina che ti portavano a spiare e curiosare sul mondo vissuto da Pasolini cosa ti hanno insegnato, e se il contatto visivo con quel mondo hanno modificato in te il mito poetico dello scomparso.


Anzi. Considero Pasolini un uomo che si è consumato nella ricerca di una verità, fino a perdere la speranza, il senso della vita stessa. Le sue azioni di uomo non possono essere estrapolate dall’intellettualità che lo portava alla spiegazione, e alla negazione di essa. Né essere giudicanti in seno alla sua vita di scrittore.

Io cercavo schiaffi per l’inquietudine. Volevo vedere nel buio, riempirlo, e capirmi e capire. Credo di aver avuto molto dalle mie passeggiate notturne. Non so se ho dato. La diversità a contatto ha creato un passaggio in entrambi le direzioni. Partivo da un bisogno di apprendimento, da uno specchio vuoto.
Nel sotterraneo ed estremo degrado ho iniziato a capire cosa non ero e volevo non essere, cosa dovevo apprezzare nella mia posizione di piccola borghese. Ma anche la capacità di molte mie mancanze nell’arroganza del tutto è possibile dei miei anni. Esisteva un altro mondo che nessuno avrebbe sfilato nelle piazze. La miseria nel non senso tangibile di essere, il coraggio in una violenza non codificata. Eppure salvifica di un codice umano. Quel grande desiderio di libertà che mi portavo addosso, doveva sedersi sui marciapiedi sporchi delle 3 del mattino.
Ecco, vedere una prostituta che non dà peso alla sua identità di donna, che non sente la violenza tra le gambe, e poi sa ancora arrossire per un gesto. Sono spessori, primi, non narrabili. Sensibilità immortali.



Grazie, Lucia.