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Laboratorio di Poesia scrivere e discutere di poesia

Thomas Stearns Eliot

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    'Skorpio'
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    00 05/07/2009 15:15
    Thomas Stearns Eliot (Saint Louis, 26 settembre 1888 – Londra, 4 gennaio 1965) è stato un poeta, drammaturgo e critico letterario statunitense naturalizzato inglese.Premiato nel 1948 con il Nobel per la letteratura.
    L'opera di Eliot appartiene al contesto del cosiddetto modernismo, movimento sviluppatosi fra il 1912 e la Seconda Guerra Mondiale che comprese e rivoluzionò tutte le arti.

    POETICA:
    I contrasti tra le leggende e i miti classici, i rituali, le bellezze antiche e lo squallore delle osterie è proposto senza alcun commento, ma con versi taglienti e duri, attraverso un'alternanza di termini aulici e colloquiali. La sua poesia propone una partecipazione dinamica e attiva, in quanto l'utilizzo dell'apparato mitologico, le citazioni da testi classici, l'uso di svariate lingue si appellano al lettore, il quale è chiamato a completare l'opera con la propria esperienza.
    In sintesi, con le sue stesse parole, la poesia è “una unità vivente di tutte le poesie che sono state scritte, attraverso la voce dei vivi nell’espressione dei morti “.
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    'Skorpio'
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    00 05/07/2009 15:21
    Paysage triste


    La ragazza che salì sull’autobus
    il giorno piovoso, e pagò la corsa
    e rispose all’apprezzamento dei miei occhi
    con quello sguardo scostato senza sorpresa
    che solo chi è esperto può avere
    una ragazza coi capelli rossastri e occhi blu pallidi

    quasi una residente di Leicester Square.
    Non potremmo averla avuta nel nostro palco
    non avrebbe saputo come sedersi, o cosa portare
    ma se chiudo gli occhi la vedo andare
    coi capelli sciolti per la sua camera
    coi piedi nudi che attraversano il cielo

    Sarebbe stata crudamente imbarazzata
    non avrebbe saputo come sedersi, o cosa portare
    né, quando si spensero le luci e il corno iniziò
    si sarebbe piegata come te, col gomito sui miei ginocchi
    per punzecchiare imperiosamente il tuo ventaglio
    il ragazzetto sorridente con la faccia rosa sapone
    che aveva il tuo binocolo a disposizione.
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    'Skorpio'
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    00 05/07/2009 15:23
    Mercoledì delle ceneri


    Perch'i' non spero più di ritornare
    Perch'i' non spero
    Perch'i' non spero più di ritornare
    Desiderando di questo il talento e dell'altro lo scopo
    Non posso più sforzarmi di raggiungere
    Simili cose (perché l'aquila antica
    Dovrebbe spalancare le sue ali?)
    Perché dovreí rimpiangere
    La svanita potenza del regno consueto?

    Poi
    che non spero più di conoscere
    La gloria incerta dell'ora positiva
    Poi che non penso più
    Poi che ormai so di non poter conoscere
    L'unica vera potenza transitoria
    Poi che non posso bere
    Là dove gli alberi fioriscono e le sorgenti sgorgano, perché non c'è più nulla

    Poi che ora so che il tempo è sempre il tempo
    E che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio
    E che ciò che è reale lo è solo per un tempo
    E per un solo spazio
    Godo che quelle cose siano come sono
    E rinuncio a quel viso benedetto
    E rinuncio alla voce
    Poi che non posso sperare di tornare ancora
    Di conseguenza godo, dovendo costruire qualche cosa
    Di cui allietarmi

    E prego Dio che abbia pietà di noi
    E prego di poter dimenticare
    Queste cose che troppo
    Discuto con me stesso e troppo spiego
    Poi che non spero più di ritornare
    Queste parole possano rispondere
    Di ciò che è fatto e non si farà più
    Verso di noi il giudizio non sia troppo severo

    E poi che queste ali più non sono ali
    Atte a volare ma soltanto piume
    Che battono nell'aria
    L'aria che ora è limitata e secca
    Più limitata e secca della volontà
    Insegnaci a aver cura e a non curare
    Insegnaci a starcene quieti.

    Prega per noi peccatori ora e nell'ora della nostra morte
    Prega per noi ora e nell'ora della nostra morte.

    II
    Signora, tre leopardi bianchi giacevano sotto un ginepro
    Nella frescura del giorno, nutriti a sazietà
    Delle, mie braccia e del mio cuore e del mio fegato e di quanto
    Era stato contenuto nel cavo rotondo del mio cranio. E Dio disse
    Vivranno queste ossa? vivranno
    Queste ossa? E tutto quanto era stato contenuto
    Nelle ossa (che già erano aride) disse stridendo
    Per la bontà di questa Signora
    E, per la sua grazia, e perché
    Ella onora la Vergine in meditazione
    , Noi risplendiamo con tanta lucentezza. E io che sono
    Qui dismembrato offro all'oblìo le mie gesta, e il mio amore
    Alla posterità del deserto e al frutto della zucca.
    E' questo che ristora
    Le mie viscere le fibre dei miei occhi e le porzioni indigeste
    Che i leopardi rifiutano. La Signora si è ritirata
    In una bianca veste, alla contemplazione, in una bianca veste.
    Che la bianchezza dell'ossa espii fino all'oblìo.
    In esse non c'è vita. E come io sono dimenticato e vorrei essere
    Dimenticato, così vorrei dimenticare
    Consacrato in tal modo, ben saldo nel proposito. E Dio disse
    Profetizza al vento, al vento solo perché
    Il vento solo darà ascolto. E le ossa cantarono stridendo
    Col ritornello della cavalletta, dicendo

    Signora dei silenzi
    Quieta e affranta
    Consunta e più integra
    Rosa della memoria
    Rosa della dimenticanza
    Esausta e feconda
    Tormentata che doni riposo
    La Rosa unica
    Ora è il giardino
    Dove ogni amore finisce
    Terminato il tormento
    Dell'amore insoddisfatto
    Più grande tormento
    Dell'amore soddisfatto
    Fine dell'ínfinito
    Viaggio verso il nulla
    Conclusione di tutto ciò
    Che non può essere concluso
    Linguaggio senza parola
    E parola di nessun linguaggio
    Grazia alla Madre
    Per il Giardino
    Dove tutto l'amore finisce.

    Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e rilucenti
    Noi siamo liete d'essere disperse, poco bene facernmo l'una all'altra,
    Nella frescura del giorno sotto un albero, con la benedizione della sabbia,
    Dimenticando noi stesse e l'un l'altra, unite
    Nella serenità del deserto. Questa è la terra che voi
    Spartirete. E né divisione né unione
    Hanno importanza. Questa è la terra. Ecco, abbiamo la nostra eredità.

    III
    Là dalla prima rampa della seconda scala
    Mi volsi e vidi in basso
    La stessa forma avvinta alla ringhiera
    Sotto la nebbia nell'aria fetida
    In lotta col demonio delle scale
    Dall'ingannevole volto della speranza e della disperazione.

    Alla seconda rampa della seconda scala
    Li lasciai avvinghiati, volti in basso;
    Non v'erano più volti e la scala era oscura,
    Scheggiata ed umida, come la bocca guasta
    E bavosa di un vecchio, o la gola dentata di un antico squalo.

    Là sulla prima rampa della terza scala
    Una finestra a inferriata con il ventre gonfìo
    Come quello di un fico e al di là
    Del biancospino in fìore e della scena agreste
    Quella figura dalle spalle ampie vestita in verde e azzurro
    Affascinava il maggio con un flauto antico.
    Sono dolci le chiome arruffate, le chiome brune arruffate sulla bocca,
    Lillà e chiome brune;
    Lo sgomento, la musica del flauto, le pause e i passi della mente sulla terza scala,
    Svaniscono, svaniscono; al di là della speranza e al di là della disperazione
    La forza sale sulla terza scala.

    Signore, non son degno
    Signore, non son degno
    ma di' una sola parola.

    IV
    Colei che camminò fra viola e viola
    Che camminò
    Fra i diversi filari del variato verde
    In bianco e azzurro procedendo, colori di Maria,
    Parlando di cose banali
    In ignoranza e scienza del dolore eterno
    Che mosse in mezzo agli altri che già stavano andando
    Che allora fece forti le fontane e fresche le sorgenti

    Rese fredda la roccia inaridita e solida la sabbia
    In blu di speronella, blu del colore di anni Maria,
    Sovegna vos

    Ecco gli anni che passano in mezzo, portando
    Lontano i violini e i flauti, ravvivando
    Una che muove nel tempo fra il sonno e la veglia, che indossa

    Luce bianca ravvolta, di cui si riveste, ravvolta.
    Passano gli anni nuovi ravvivano
    Con una splendida nube di lacrime, gli anni, ravvivano
    La rima antica con un verso nuovo. Redimi
    Il tempo. Redimi
    La visione non letta nel sogno più alto
    Mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d'oro.

    La silenziosa sorella velata in bianco e azzurro
    Fra gli alberi di tasso, dietro il dio del giardino,
    Il cui flauto tace, piegò la testa e fece un cenno ma non parlò parola

    Ma la sorgente zampillò e l'uccello cantò verso la terra
    Redimi il tempo, redimi il sogno
    La promessa del verbo non detto e non udito

    Finché il vento non scuota mille bisbigli dal tasso

    E dopo questo nostro esilio

    V
    Se la parola perduta è perduta, se la parola spesa è spesa
    Se la parola non detta e non udita
    E' non udita e non detta,
    Sempre è la parola non detta, il Verbo non udito,
    Il Verbo senza parola, il Verbo
    Nel mondo e per il mondo;
    E la luce brillò nelle tenebre e
    Il mondo inquieto contro il Verbo ancora
    Ruotava attorno al centro del Verbo silenzioso
    .

    0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.

    Dove ritroveremo la parola, dove risuonerà
    La parola? Non qui, che qui il silenzio non basta
    Non sul mare o sulle isole, né sopra
    La terraferma, nel deserto o nei luoghi di pioggia,
    Per coloro che vanno nella tenebra
    Durante il giorno e la notte
    Il tempo giusto e il luogo giusto non sono qui
    Non v'è luogo di grazia per coloro che evitano il volto
    Non v'è tempo di gioire per coloro che passano in mezzo al rumore e negano la voce

    Pregherà la sorella velata per coloro
    Che vanno nelle tenebre, per coloro che ti scelsero e si oppongono
    A te, per coloro che sono straziati sul corno fra stagione e stagione, tempo e ternpo, Fra ora e ora, parola e parola, potenza e potenza, per coloro che attendono
    Nelle tenebre? Pregherà la sorella velata
    Per i fanciulli al cancello
    Che non lo varcheranno e non possono pregare:
    Prega per coloro che ti scelsero e ti si oppongono

    0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.

    Pregherà la sorella velata fra gli alberi magri di tasso
    Per coloro che l'offendono e sono
    Terriffcati e non possono arrendersi
    E affermano di fronte al mondo e fra le rocce negano
    Nell'ultimo deserto e fra le ultime rocce azzurre
    Il deserto nel giardino il giardino nel deserto
    Della secchezza, sputano dalla bocca il secco seme di mela.

    0 mio popolo.

    VI

    Benché non speri più di ritornare
    Benché non speri
    Benché non speri di ritornare

    A oscillare fra perdita e profitto
    in questo breve transito dove i sogni si incrociano
    Il crepuscolo incrociato dai sogni fra nascita e morte
    (Benedicimi padre) sebbene non desideri più di desiderare queste cose
    Dalla fìne finestra spalancata verso la riva di granito
    Le vele bianche volano ancora verso il mare, verso il mare volano
    Le ali non spezzate

    E il cuore perduto si rinsalda e allieta
    Nel perduto lillà e nelle voci del mare perduto
    E Io spirito fragile s'avviva a ribellarsi

    Per la ricurva verga d'oro e l'odore del mare perduto
    S'avviva a ritrovare
    Il grido della quaglia e il piviere che ruota
    E l'occhio cieco crea
    Le vuote forme fra le porte d'avorio
    E l'odore rinnova il sapore salmastro della terra sabbiosa
    Questo è il tempo della tensione fra la morte e la nascita
    Il luogo della solitudine dove tre sogni s'incrociano
    Fra rocce azzurre
    Ma quando le voci scosse dall'albero di tasso si partono
    Che l'altro tasso sia scosso e risponda.
    Sorella benedetta, santa madre, spirito della fonte,. spirito del giardino
    Non permettere che ci si irrida con la falsità
    Insegnaci a aver cura e a non curare
    Insegnaci a starcene quieti
    Anche fra queste rocce,
    E'n la Sua volontarie è nostra pace
    E anche fra queste rocce
    Sorella, madre
    E spirito del fiume, spirito del mare,
    Non sopportare che io sia separato

    E a Te giunga il mio grido.
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    'Skorpio'
    Post: 37
    00 05/07/2009 15:30
    La terra desolata


    I. La sepoltura dei morti

    Aprile è il più crudele dei mesi, genera
    Lillà da terra morta, confondendo
    Memoria e desiderio, risvegliando
    Le radici sopite con la pioggia della primavera.
    L'inverno ci mantenne al caldo, ottuse
    Con immemore neve la terra, nutrì
    Con secchi tuberi una vita misera.
    L'estate ci sorprese, giungendo sullo Starnbergersee
    Con uno scroscio di pioggia: noi ci fermammo sotto il colonnato,
    E proseguimmo alla luce del sole, nel Hofgarten,
    E bevemmo caffè, e parlammo un'ora intera.
    Bin gar keine Russin, stamm' aus Litauen, echt deutsch.
    E quando eravamo bambini stavamo presso l'arciduca,
    Mio cugino, che mi condusse in slitta,
    E ne fui spaventata. Mi disse, Marie,
    Marie, tieniti forte. E ci lanciammo giù.
    Fra le montagne, là ci si sente liberi.
    Per la gran parte della notte leggo, d'inverno vado nel sud.

    Quali sono le radici che s'afferrano, quali i rami che crescono
    Da queste macerie di pietra? Figlio dell'uomo,
    Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
    Un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole,
    E l'albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
    L'arida pietra nessun suono d'acque.
    C'è solo ombra sotto questa roccia rossa,
    (Venite all'ombra di questa roccia rossa),
    E io vi mostrerò qualcosa di diverso
    Dall'ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall'ombra
    Vostra che a sera incontro a voi si leva;
    In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.

    Frisch weht der Wind
    Der Heimat zu
    Mein Iriscb Kind,
    Wo weilest du?

    < Mi chiamarono la ragazza dei giacinti. >>
    - Eppure quando tornammo, a ora tarda, dal giardino dei giacinti,
    Tu con le braccia cariche, con i capelli madidi, io non potevo
    Parlare, mi si annebbiavano gli occhi, non ero
    Né vivo né morto, e non sapevo nulla, mentre guardavo il silenzio,
    Il cuore della luce.
    Oed' und leer das Meer.

    Madame Sosostris, chiaroveggente famosa,
    Aveva preso un brutto raffreddore, ciononostante
    E' nota come la donna più saggia d'Europa,
    Con un diabolico mazzo di carte. Ecco qui, disse,
    La vostra carta, il Marinaio Fenicio Annegato
    (Quelle sono le perle che furono i suoi occhi. Guardate!)
    E qui è la Belladonna, la Dama delle Rocce,
    La Dama delle situazioni.
    Ecco qui l'uomo con le tre aste, ecco la Ruota,
    E qui il mercante con un occhio solo, e questa carta,
    Che non ha figura, è qualcosa che porta sul dorso,
    E che a me non è dato vedere. Non trovo
    L'Impiccato. Temete la morte per acqua.
    Vedo turbe di gente che cammina in cerchio.
    Grazie. Se vedete la cara Mrs. Equitone,
    Ditele che le porterò l'oroscopo io stessa:
    Bisogna essere così prudenti in questi giorni.

    Città irreale,
    Sotto la nebbia bruna di un'alba d'inverno,
    Una gran folla fluiva sopra il London Bridge, così tanta,
    Ch'io non avrei mai creduto che morte tanta n'avesse disfatta.
    Sospiri, brevi e infrequenti, se ne esalavano,
    E ognuno procedeva con gli occhi fissi ai piedi. Affluivano
    Su per il colle e giù per la King William Street,
    Fino a dove Saint Mary Woolnoth segnava le ore
    Con morto suono sull'ultimo tocco delle nove.
    Là vidi uno ch e conoscevo, e lo fermai, gridando: « Stetson!
    Tu che eri con me , sulle navi a Milazzo!
    Quel cadavere che l'anno scorso piantasti nel giardino,
    Ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest'anno?
    Oppure il gelo improvviso ne ha danneggiato l'aiola?
    Oh, tieni il Cane a distanza, che è amico dell'uomo,
    Se non vuoi che con l'unghie, di nuovo, lo metta allo scoperto!
    Tu, hypocrite lecteur! - mon semblable, - mon frère!

    II. Una partita a scacchi.

    Il Seggio sul quale sedeva, simile a un trono brunito,
    Risplendeva sul marmo, ove lo specchio
    Sorretto da colonne lavorate con tralci di vite
    Fra le quali un Cupido dorato spiava
    (Un altro sotto l'ala nascondeva gli occhi)
    Raddoppiava le fiamme ai candelabri
    A sette braccia riflettendo sul tavolo la luce
    Mentre lo scintillio dei suoi gioielli si levava
    A incontrarlo, da astucci di raso versato
    A profusione; in fialette d'avorio e vetro colorato
    Dischiuse, i suoi profumi stavano in agguato, sintetici e strani,
    Unguenti, polveri, liquidi - turbavano,
    Confondevano e annegavano il senso nei profumi; spinti dall'aria
    Che entrava fresca dalla finestra, ascendevano
    Alimentando le fiamme lunghe della candela,
    Soffiavano il loro fumo nei laquearia,
    Animando i motivi del soffitto a lacunari.
    Un bosco enorme sottomarino nutrito di rame
    Bruciava verde e arancio, incorniciato dalla pietra colorata,
    Nella cui luce mesta un delfino scolpito nuotava.
    Sull'antico camino era dipinta,
    Come se una finestra si aprisse sulla scena silvana,
    La metamorfosi di Filomela, dal re barbaro
    Così brutalmente forzata; eppure là l'usignolo
    Empiv a tutto il deserto con voce inviolabile
    E ancora ella gemeva, e ancora il mondo prosegue,
    « Giag Gíag » a orecchi sporchi.
    E altri arbusti di tempo disseccati
    Erano dispiegati sui muri a raccontare; forme attonite
    Si affacciavano chine imponendo silenzio nella stanza chiusa.
    Scalpicciavano passi sulla scala.
    Alla luce del fuoco, sotto la spazzola, i suoi capelli
    Si spiegavano in punte di fuoco,
    Splendevano in parole, per ricadere in una cupa calma.

    "Ho i nervi a pezzi stasera. Sì, a pezzi. Resta con me.
    Parlami. Perché non parli mai? Parla.
    A che stai pensando? Pensando a cosa? A cosa?
    Non lo so mai a cosa stai pensando. Pensa."

    Penso che siamo nel vicolo dei topi
    Dove i morti hanno perso le ossa.

    "Cos'è quel rumore?"
    Il vento sotto la porta.
    "E ora cos'è quel rumore? Che sta facendo il vento?"
    Niente ancora niente.

    E non sai
    "Niente? Non vedi niente? Non ricordi
    Niente?"

    Ricordo Quelle sono le perle che furono i suoi occhi.
    "Sei vivo, o no? Non hai niente nella testa?"

    Ma
    0 0 0 0 that Shakespeherian Rag...
    Così elegante
    Così intelligente
    "Che farò ora? Che farò?"
    "Uscirò fuori così come sono, camminerò per la strada
    "Coi miei capelli sciolti, così. Cosa faremo domani?
    "Cosa faremo mai?"
    L'acqua calda alle dieci.
    E se piove, un'automobile chiusa alle quattro.
    E giocheremo una partita a scacchi,
    Premendoci gli occhi senza palpebre, in attesa che bussino alla porta.

    Quando il marito di Lil venne smobilitato, dissi -
    Non avevo peli sulla lingua, glielo dissi io stessa,
    SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE
    Ora che Albert ritorna, rimettiti un po' in ghingheri.
    Vorrà sapere cosa ne hai fatto dei soldi che ti diede
    Per farti rimettere i denti. Te li diede, ero presente.
    Fatteli togliere tutti, Lil, e comprati una bella dentiera,
    Lui disse, lo giuro, non ti posso vedere così.
    E io nemmeno, dissi, e pensa a quel povero Albert,
    E' stato sotto le armi per quattro anni, si vorrà un po' divertire,
    Se non lo farai tu ce ne saranno altre, dissi.
    Oh è così, disse lei. Qualcosa del genere, dissi.
    Allora saprò chi ringraziare, disse, e mi guardò fissa negli occhi.
    SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE
    Se non ne sei convinta seguita pure, dissi.
    Ce ne sono altre che sanno decidere e scegliere se non puoi farlo tu.
    Ma se Albert si sgancia non potrai dire di non essere stata avvisata.
    Ti dovresti vergognare, dissi, di sembrare una mummia.
    (E ha solo trentun anni.)
    Non ci posso far niente, disse lei, mettendo un muso lungo,
    Son quelle pillole che ho preso per abortire, disse.
    (Ne aveva avuti già cinque, ed era quasi morta per il piccolo George.)
    Il farmacista disse che sarebbe andato tutto bene, ma non sono più stata la stessa.
    Sei davvero una stupida, dissi.
    Bene, se Albert non ti lascia in pace, ecco qui, dissi,
    Cosa ti sei sposata a fare, se non vuoi bambini?
    SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE
    Bene, quella domenica che Albert tornò a casa, avevano uno zampone bollito,
    E mi invitarono a cena, per farmelo mangiare bello caldo -
    SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE
    SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE
    Buonanotte Bill. Buonanotte Lou. Buonanotte May, Buonanotte.
    Ciao. 'Notte. 'Notte.
    Buonanotte signore, buonanotte, dolci signore, buonanotte, buonanotte.

    III. Il sermone del fuoco

    La tenda del fiume è rotta: le ultime dita delle foglie
    S'afferrano e affondano dentro la riva umida. Il vento
    Incrocia non udito sulla terra bruna. Le ninfe son partite.
    Dolce Tamigi, scorri lievemente, finché non abbia finito il mio Canto.
    Il fiume non trascina bottiglie vuote, carte da sandwich,
    Fazzoletti di seta, scatole di cartone, cicche di sigarette
    O altre testimonianze delle notti estive. Le ninfe son partite.
    E i loro amici, eredi bighelloni di direttori di banca della City;
    Partiti, e non hanno lasciato indirizzo.
    Presso le acque dei Lemano mi sedetti e piansi...
    Dolce Tamigi, scorri lievemente, finché non abbia finito il mio canto.
    Dolce Tamigi, scorri lievemente, perché il mio canto non è alto né lungo.
    Ma alle mie spalle in una fredda raffica odo
    Lo scricchiolo delle ossa, e il ghigno che fende da un orecchio all'altro.
    Un topo si insinuò con lentezza fra la vegetazione
    Strascicando il suo viscido ventre sulla riva
    Mentre stavo pescando nel canale tetro
    Una sera d'inverno dietro il gasometro
    Meditando sul naufragio del re mio fratello
    E sulla morte del re mio padre, prima di lui.
    Dei bianchi corpi ignudi sul suolo molle e basso
    E ossa, gettate in una piccola soffitta bassa e arida,
    Smosse solo dal piede del topo, un anno dietro l'altro.
    Ma alle mie spalle di tanto in tanto odo
    Suoni di trombe e motori, che condurranno
    Sweeney da Mrs. Porter a primavera.
    Oh la luna splendeva lucente su Mrs. Porter
    E su sua figlia
    Che si lavano i piedi in «soda water»
    Et O ces voix d'enfants, chan tant dans la coupole!

    Tuit tuit tuit
    Giag giag giag giag giag giag
    Così brutalmente
    forzata. Tiriù

    Città irreale
    Sotto la nebbia bruna di un meriggio invernale
    Mr. Eugenides, il mercante di Smirne,
    Mal rasato, con una tasca piena d'uva passa
    C.i.f. London: documenti a vista,
    M'invitò in un francese demotico
    Ad una colazione al Cannon Street Hotel
    Seguita da un weekend al Metropole.

    Nell'ora violetta, quando gli occhi e la schiena
    Si levano dallo scrittoio, quando il motore umano attende
    Come un tassì che pulsa nell'attesa,
    Io Tiresia, benché cieco, pulsando fra due vite,
    Vecchio con avvizzite mammelle di donna, posso vedere
    Nell'ora violetta, nell'ora della sera che contende
    Il ritorno, e il navigante dal mare riconduce al porto.
    La dattilografa a casa all'ora del tè, mentre sparecchia la colazione, accende
    La stufa, mette a posto barattoli di cibo conservato.
    Pericolosamente stese fuori dalla fìnestra
    Le sue combinazioni che s'asciugano toccate dagli ultimi raggi del sole,
    Sopra il divano (che di notte è il suo letto)
    Sono ammucchiate calze, pantofole, fascette e camiciole.
    Io Tiresia, vecchio con le mammelle raggrínzite,
    Osservai la scena, e ne predissi il resto -
    Anch'io ero in attesa dell'ospite atteso.
    Ed ecco arriva il giovanotto foruncoloso,
    Impiegato d'una piccola agenzia di locazione, sguardo ardito,
    Uno di bassa estrazione a cui la sicurezza
    S'addice come un cilindro a un cafone rifatto.
    Ora il momento è favorevole, come bene indovina,
    Il pasto è ormai finito, e lei è annoiata e stanca,
    Lui cerca d' impegnarla alle carezze
    Che non sono respinte, anche se non desiderate.
    Eccitato e deciso, ecco immediatamente l'assale;
    Le sue mani esploranti non incontrano difesa;
    La sua vanità non pretende che vi sia un'intesa, ritiene
    L'indifferenza gradita accettazione.
    (E io Tiresia ho presofferto tutto
    Ciò che si compie su questo stesso divano o questo letto;
    lo che sedei presso Tebe sotto le mura
    E camminai fra i morti che più stanno in basso.)
    Accorda un bacio finale di protezione,
    E brancola verso l'uscita, trovando le scale non illuminate...

    Lei si volta e si guarda allo specchio un momento,
    Si rende conto appena che l'amante è uscito;

    il suo cervello permette che un pensiero solo a metà formato Trascorra: « Bene, ora anche questo è fatto: lieta che sia finito. »
    Quando una donna leggiadra si piega a far follie
    E percorre di nuovo la sua stanza, sola,
    Con una mano meccanica i suoi capelli ravvia,
    E mette un disco a suonare sul grammofono.

    « Questa musica presso di me scivolava sull'acque »
    E lungo lo Strand, fino alla Queen Victoria Street.
    O città, città, talvolta posso udire vicino
    A una qualsiasi taverna in Lower Thames Street
    Il lamento piacevole di un mandolino,
    E dentro chiacchiere e altri rumori
    Là dove a mezzogiorno i pesciaioli riposano:
    Dove le mura di Magnus Martir contengono
    Uno splendore inesplicabile di bianco e oro ionici.

    Il fiume trasuda
    Olio e catrame
    Le chiatte scivolano
    Con la marea che si volge
    Vele rosse
    Ampie
    Sottovento, ruotano su pesanti alberature.

    Le chiatte sospingono
    Tronchi c he vanno alla deriva
    Verso il tratto di fiume di Greenwich
    Oltre l'Isola dei Cani.
    Weialala leia
    Wallala leiaiala

    Elisabetta e Leicester
    Remi che battono
    La prua era formata
    Da una conchiglia dorata
    Rossa e oro
    L'agile flusso dell'onda
    Si frangeva su entrambe le rive
    Il vento di sud-ovest
    Con la corrente portava
    Lo scampanio delle campane
    Torri bianche
    Weialala leia
    Wallala Ieialala

    « Tram e alberi polverosi.
    Highbury mi fe'. Disfecemi
    Richmond e Kew. Vicino a Richmond alzai le ginocchia
    Supina sul fondo di una stretta canoa. »

    « I miei piedi sono a Margate, e il mio cuore
    Sotto i miei piedi. Dopo il fatto
    Egli pianse. Promise "un nuovo inizio".
    Non feci commento. Di cosa mi dovrei rammaricare? »

    « Sulle Sabbie di Margate.
    Non posso connettere
    Nulla con nulla.
    Le unghie rotte di mani sporche.
    La mia gente, gente modesta che non chiede
    Nulla. »
    la la

    Poi a Cartagine venni

    Ardere ardere ardere ardere
    O Signore Tu mi cogli
    O Signore Tu cogli

    bruciando

    IV. La morte per acqua

    Phlebas il Fenicio, morto, da quindici giorni
    Dimenticò il grido dei gabbiani, e il fondo gorgo del mare,
    E il profitto e la perdita.
    Una corrente sottomarina
    Gli spolpò l'ossa in sussurri. Come affiorava e affondava
    Passò attraverso gli stadi della maturítà e della giovinezza
    Procedendo nel vortice.
    Gentile o Giudeo
    O tu che giri la ruota e guardi sopravvento,
    Considera Phlebas, che un tempo fu bello, e alto come te.

    V. Ciò che disse il tuono

    Dopo la luce rossa delle torce su volti sudati
    Dopo il silenzio gelido nei giardini
    Dopo l'angoscia in luoghi petrosi
    Le grida e i pianti
    La prigione e il palazzo e il suono riecheggiato
    Del tuono a primavera su monti lontani
    Colui che era vivo ora è morto
    Noi che eravamo vivi ora stiamo morendo
    Con un po' di pazienza

    Qui non c'è acqua ma soltanto roccia
    Roccia e non acqua e la strada di sabbia
    La strada che serpeggia lassù fra le montagne
    Che sono montagne di roccia senz'acqua
    Se qui vi fosse acqua ci fermeremmo a bere
    Fra la roccia non si può né fermarsi né pensare
    Il sudore è asciutto e i piedi nella sabbia
    Vi fosse almeno acqua fra la roccia
    Bocca morta di montagna dai denti cariati che non può sputare

    Non si può stare in piedi qui non ci si può sdraiare né sedere
    Non c'è neppure silenzio fra i monti
    Ma secco sterile tuono senza pioggia
    Non c'è neppure solitudine fra i monti
    Ma volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignano
    Da porte di case di fango screpolato

    Se vi fosse acqua
    E niente roccia
    Se vi fosse roccia
    E anche acqua
    E acqua
    Una sorgente
    Una pozza fra la roccia
    Se soltanto vi fosse suono d'acqua
    Non la cicala
    E l'erba secca che canta
    Ma suono d'acqua sopra una roccia
    Dove il tordo eremita canta in mezzo ai pini
    Drip drop drip drop drop drop drop
    Ma non c'è acqua

    Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto?
    Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme
    Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca
    C'è sempre un altro che ti cammina accanto
    Che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato
    Io non so se sia un uomo o una donna
    - Ma chi è che ti sta sull'altro fianco?

    Cos'è quel suono alto nell'aria
    Quel mormorio di lamento materno
    Chi sono quelle orde incappucciate che sciamano
    Su pianure infinite, inciampando nella terra screpolata
    Accerchiata soltanto dal piatto orizzonte
    Qual è quella città sulle montagne
    Che si spacca e si riforma e scoppia nell'aria violetta
    Torri che crollano
    Gerusalemme Atene Alessandria
    Vienna Londra
    Irreali

    Una donna distese i suoi capelli lunghi e neri
    E sviolinò su quelle corde un bisbiglio di musica
    E pipistrelli con volti di bambini nella luce violetta
    Squittivano, e battevano le ali
    E strisciavano a capo all'ingiù lungo un muro annerito
    E capovolte nell'aria c'erano torri

    Squillanti di campane che rammentano, e segnavano le ore
    E voci che cantano dalle cisterne vuote e dai pozzi ormai secchi.

    In questa desolata spelonca fra i monti
    Nella fievole luce della luna, l'erba fruscia
    Sulle tombe sommosse, attorno alla cappella
    C'è la cappella vuota, dimora solo del vento.
    Non ha finestre, la porta oscilla,
    Aride ossa non fanno male ad alcuno.
    Soltanto un gallo si ergeva sulla trave del tetto
    Chicchirichì chicchirichì
    Nel guizzare di un lampo. Quindi un'umida raffica
    Apportatrice di pioggia

    Quasi secco era il Gange, e le foglie afflosciate
    Attendevano pioggia, mentre le nuvole nere
    Si raccoglievano molto lontano, sopra l'Himavant.
    La giungla era accucciata, rattratta in silenzio.
    Allora il tuono parlò
    DA
    Datta: che abbiamo dato noi?
    Amico mio sangue che scuote il mio cuore
    L'ardimento terribile di un attimo di resa
    Che un'èra di prudenza non potrà mai ritrattare
    Secondo questi dettami e per questo soltanto noi siamo esistiti, per questo
    Che non si troverà nei nostri necrologi
    O sulle scritte in memoria drappeggiate dal ragno benefico
    O sotto i suggelli spezzati dal notaio scarno
    Nelle nostre stanze vuote
    DA
    Dayadhvam: ho udito la chiave
    Girare nella porta una volta e girare una volta soltanto
    Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione
    Pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione
    Solo al momento in cui la notte cade, rumori eterei
    Ravvivano un attimo un Coriolano affranto
    DA
    Damyata: la barca rispondeva
    Lietamente alla mano esperta con la vela e con il remo
    Il mare era calmo, anche il tuo cuore avrebbe corrisposto
    Lietamente, invitato, battendo obbediente
    Alle mani che controllano

    Sedetti sulla riva
    A pescare, con la pianura arida dietro di me
    Riuscirò alla fine a porre ordine nelle mie terre?
    Il London Bridge sta cadendo sta cadendo sta cadendo
    Poi s'ascose nel foco che gli affina
    Quando fiam uti chelidon -
    O rondine rondine Le Prince d'Aquitaine à la tour abolie
    Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine
    Bene allora v'accomodo io. Hieronymo è pazzo di nuovo.
    Datta. Dayadhvam. Damyata.
    Shantih shantih shantih