Nuova Discussione
Rispondi
 
Stampa | Notifica email    
Autore

Sebastiano Patanè

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2012 08:08
Email Scheda Utente
Post: 185
OFFLINE
16/04/2012 09:39
 
Quota


Intimità senza diarismo e riconquista della parola: Sebastiano Patanè



Anche chi è abituato a leggere con l’occhio “del critico”, a volte, si trova piacevolmente costretto a far tacere, almeno per un po’, la voglia o l’urgenza di scrivere qualcosa su quello che sta leggendo: interpretazioni plausibili, osservazioni brillanti o (ahimè) riflessioni personali che riducono la poesia letta a stimolo o pretesto per esprimere se stessi, invece. Questo mi è successo con Sebastiano Patanè, e posso garantire che non mi succede spesso: mi riferisco al modo discreto eppure deciso con cui i suoi testi ti mettono in condizione di ascoltarli, senza ruffianerie e con apparente nonchalance; e così facendo ti portano a scriverne con l’illusione di averli fatti un po’ tuoi anziché solo guardati da vicino. Questo è vero soprattutto per se gli angeli, primo testo di questa coesa e pur varia sequenza. Perché?

Forse perché in questa poesia Patanè è solo, e questa solitudine risalta tanto di più quanto le poesie seguenti sono animate da una costante presenza femminile: una presenza fuggevole e immaginaria nella scena del testo, ma fortissima nell’indirizzare lo sguardo del poeta e quasi nel determinargli le parole. In queste altre poesie si realizza un’intimità “interna” che tiene chi legge a una distanza un po’ maggiore di quanto non accadeva con se gli angeli: non per un difetto o una scelta ad hoc, ma con la stessa differenza che passa tra l’essere chiamati in causa e l’essere ammessi a una rappresentazione di straforo.

Eppure, non bisogna vedere quest’opposizione in modo così netto: infatti, se gli angeli è una presa di coscienza alla quale segue la necessità di un “recupero”, di una vittoria sulla mancanza che si realizza nei testi seguenti. Del resto, il battito è cosciente “solo di memorie e vuoti da riempire”, e questi vuoti e memorie sono in scena nelle poesie successive, una numerazione di “lacune” (vuoti, appunto) e l’instaurazione di un dialogo (Parliamo stasera, Novantadue parole; le sottolineature sono mie). Se la scrittura non può far tornare la persona amata che per rievocazione, può invece tornare ad articolare il soggetto poetico: dopo la radicale separazione delle parole dal corpo (“parole appese / nate morte e d’arroganza separate dalla lingua”, se gli angeli) si arriva a un rapporto nuovamente riappacificato e fecondo con esse (“sto raccogliendo il miele / in novantadue parole”, Novantadue parole). La stessa nota biografica dell’autore sottolinea il legame tra separazione e perdita della parola, infine riconquistata.

Prima ho accennato al senso di intimità e di dialogo che ho avvertito leggendo queste poesie; ora devo aggiungere però che non si ha mai un’impostazione diaristica, non c’è l’ingombro di un “io” determinato e ansioso di essere riconosciuto. Come posso chiarire a me e a chi sta leggendo questo apparente paradosso? Basta rivolgersi con attenzione ai testi, perché niente meglio del tessuto linguistico ci svela i misteri di quello che sentiamo “a pelle” e che Patanè, intelligenza intuitiva, ha veicolato.

Il senso di intimità è segnalato dal pathos delle interrogative indirette (“che ne sarà delle parole appese”, se gli angeli), marcatori colloquiali (“c’è una certa pace”, 4 della sera; “il passo è corto per davvero”, Novantadue parole), il sussurrato delle parentesi (Parliamo di stasera) e soprattutto l’uso di un “tu” privato e confidenziale (“ti vedo accesa gemma incendiaria”, 4 della sera; “ti porterò un fiume di gole”, appena posso ti porterò un fiume; “ti passi attraverso”, parliamo di stasera).

La negazione del diarismo e dell’io invece è ottenuto da una scomposizione cubista che affida status di soggetto a elementi solitamente passivi e posti in terza persona (“come se tutti i volti avessero la stessa bocca”; “nemmeno centomila seni/cariatidi reggerebbero la corsa”, se gli angeli; “l’assedio decide l’avanzata”, 4 della sera) che nei casi più estremi sfociano in accumuli simultanei quasi surrealisti e di difficile decifrazione (“cerchi portati giù schiantati tra le cosce dai brillamenti decodificati e nudi”, 4 della sera).

Rimanda al surrealismo anche la punteggiatura minima a rendere talvolta magmatici i versi, la cui duttilità nell’accomodare senza sforzo misure lunghe è notevole. Anche il corteggiamento del cliché non risulta in una sua rivitalizzazione (per es. la “luna che mostra i suoi seni di cemento”, dove il topos che associa luna e donna è rinnovato dall’accostamento urbano straniante). Altre piccole spie a ricordarci che la poesia è anche un gioco (ma un gioco intelligente) sono certi giochi di parole (il titolo 4 della sera, dove 4 si riferisce sia al dato temporale sia al numero delle “lacune” poetiche) o certe deliberate sostituzioni come “stasera” in luogo di “sera” in “e tu non canti questa stasera” (Novantadue parole), dove la voluta cacofonia (questa stasera) realizza a livello testuale il non canto. Si potrebbe dire altro, per esempio accennare alla resa dell’erotismo (4 della sera), o ai giochi sinestetici (per es. “è bello ascoltare il respiro stringersi alle dita”, Novantadue parole); o ancora all’effetto di lenta scoperta per cui, quello che in se gli angeli sembra un discorso astratto (il piano che si dilata come un’onda, accrescendo le distanze) acquisisce concretezza nel richiamo intratestuale del “seno / che azzera le distanze”: dove ciò che è falso sul piano razionale (una curva, il rigonfiamento del seno, rende più lunga la distanza tra due punti) è vero su quello istintuale (la comunione erotica annulla le distanze, i nostri schermi).

Davide Castiglione (www.castiglionedav.altervista.org)

.

.

se gli angeli

ora che il piano si è dilatato come un’onda
-parlo dello spazio tra noi- che ne sarà delle parole appese
nate morte e d’arroganza separate dalla lingua
dall’immaturo battito cosciente solo di memorie e vuoti da riempire
non importa di cosa come se tutti i volti avessero la stessa bocca

c’è gente là fuori che necessariamente vuol dare un senso a tutto

se gli angeli smettessero di volare il cielo ci cadrebbe addosso
e nemmeno centomila seni/cariatidi reggerebbero la corsa
forse un sorriso che spazzi via le cartacce dal balcone oppure
l’ascoltarsi senza condizioni finché dura questo camminarsi dentro

.

.

4 della sera

(prima lacuna)

c’è una certa pace tra i piatti e la bocca lontani dai tumulti sottostanti
cerchi portati giù schiantati tra le cosce dai brillamenti decodificati e nudi
si accavallano i silenzi nel giogo dell’afa settembrina

ti vedo accesa gemma incendiaria come un tramonto che prevede il vino
mentre sorseggi il flusso che m’insanguina, vermiglia

(seconda lacuna)

un fitto cumulo di negazioni ammette il desiderio quando l’aria si riempie
d’intrecci ed omissioni maree d’occhi bassi mentre la sera resta dietro la finestra

si colora di labbra l’ultimo pinolo e il piano sembra scivolare verso il seno
che azzera le distanze

(terza lacuna)

l’assedio decide l’avanzata senza regole o retorica di carne nel bacio
che precede la caduta degli avori
dietro la pelle fieri animali avvinghiati al battito

(congruenza)

Piazzolla continua a girare anche se bastano le mani

.

.

appena posso ti porterò un fiume

appena posso ti porterò un fiume di gole sconfitte dal silenzio
e strapperò i quaderni del pianto proprio lì, accanto alle persiane
a ridosso della luna che mostra i suoi seni di cemento

eri dello stesso colore dei sogni a piazza Castello
ora un bianconero ci ha resi univoci

ricordi la neve di collina quella bucata dai fiori?
tu poesia io vento
e quell’enorme arcangelo che ci indicava la culla

.

.

parliamo di stasera

‎[parliamo di stasera
di come passi attraverso gli orologi delle cose
(ogni passo ha una lunghezza, ogni grido)
senza il timore di smarrirti tra le pagine dove sei scrittura
e quindi cosa e ti passi attraverso senza tempo]

.

.

Novantadue parole

stasera gli ulivi non riflettono l’argento
voglio pensare che non ci sia luna
che giù nel cortile il passo è corto per davvero
e tu non canti questa stasera

-

guarda le pieghe di quest’aria
sembra muoversi da sola senza voce
dall’intonaco alla gonna stilla del mio tempo

-

è bello ascoltare il respiro stringersi alle dita
con te che gli ulivi vorrebbero al posto della luna

-

canta allora quelle antiche litanie
che sanno di zolfo e nocepesca
(è tutto dentro gli occhi ramemare)

-

io sono qui sto raccogliendo il miele
in novantadue parole

.

.

.

le poesie sono tratte dalla raccolta “del tempo che si muove appena”

Sebastiano A. Patanè, nasce a Catania nel 1953 sotto l’acquario di febbraio. Fin da giovanissimo coltiva la passione delle lettere che comincerà a sviluppare con impegno negli anni ‘80 quando fonda il centro culturale e d’arte “Nuova Arcadia” salotto di poesia e sede di numerosi reading.

Presente in diverse riviste ed antologie nazionali ed internazionali del periodo, alla fine degli anni 80,primi ’90, dopo la separazione dalla moglie, abbandona la scrittura e comincia a viaggiare per il mondo. Quindici anni dopo, nel 2007, riprende a scrivere con l’intenzione di non smettere più. Gestisce due blog di poesia contemporanea: “Le vie poetiche” e “La casa senza tempo”, oltre ai suoi blog personali quali “La cava della parola” e “Sciaranera”

Sue poesie sono rintracciabili su diversi autorevoli blog tra cui Poetarum Silva, La stanza di Nightingale, LaRosainpiù e Neobar. Nel 2010 la Clepsydra Edizioni di Anila Resuli ha pubblicatola raccolta “Poesie dell’assenza” in E-book. Presente nell’antologia “Fragmenta” del premio Ulteriora Mirari, organizzato e gestito da Enzo Campi e dalla Smasher Edizioni

Prossimo il suo esordio con una raccolta di poesie datate 2011, introdotte da Anila Resuli, per conto della Smasher Edizioni di Carmen Giulia Fasolo



-già qui



"Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
Email Scheda Utente
Post: 884
OFFLINE
20/04/2012 17:10
 
Quota

Daniela! mi hai inserito nella biblioteca di Calliope come i poeti veri,
apperò!!!
Email Scheda Utente
Post: 206
OFFLINE
21/04/2012 00:11
 
Quota



eccerto, il posto ti spetta di diritto... o non ci credi ancora???



"Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
Email Scheda Utente
Post: 208
OFFLINE
21/04/2012 08:08
 
Quota

... anche se, lo dimenticavo, preferisco di gran lunga la biografia in cui nomini me medesima di persona, personalmente [SM=g7535]


[SM=g8231]



"Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 06:18. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com