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Maria Grazia Calandrone

Ultimo Aggiornamento: 09/04/2016 09:45
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07/02/2016 19:21
 
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Re:

Non si tratta che di questo: con la nuda potenza delle parole la poesia fa rinascere un mondo che conosciamo già, evoca qualcosa che non sappiamo e non possiamo esprimere che con la poesia (e, mi sento di aggiungere, con l’amore). La poesia ci riporta, come l'amore, in una casa che abbiamo abitato, chissà dove e quando, ci trasloca in un mondo dal quale proveniamo."



Chissà perché leggendo questo brano mi è venuto da pensare al mito di Orfeo ed Euridice ed a una strana idea sulla “casa che abbiamo abitato” di cui parla la nostra autrice..
Cosa c’entra Euridice con la poesia?
Le difficoltà non nascono sull’identità e la natura di Orfeo. Di lui conosciamo il potere di incurvare i sassi lanciatigli contro, con la forza della lira che suonava divinamente. Sappiamo che incantava il mondo circostante, fossero animali, dei, piante e mostri. Di Euridice sappiamo invece solo che era una ninfa amata da Orfeo e che morì per un morso di serpente sfuggendo alla avances di un suo spasimante.
Ecco secondo me qui ci sono tutti gli elementi per figurare la poesia. Da una parte c’è la musica della lira (oggi diremmo la forma: dallo schema fisso al verso libero), dall’altra il contenuto rappresentato da Euridice.
Orfeo canta l’amore per la sua donna, sia in vita che in morte.
Ed è quest’ultimo punto l’aspetto interessante che ha fatto di esso il mito per eccellenza, pari forse solo a quello di Psiche ed Amore.
Euridice muore e scende come tutti i mortali nel regno dei morti.
Destino a cui tutti si rassegnano, tranne Orfeo.
Perché Orfeo non si rassegna e crede possibile un ritorno in vita della sua amata? Forse perché si sente una persona diversa da tutte le altre in virtù del canto che gli dà un potere speciale e a cui non si può negare nulla. La bellezza della poesia è una forza coercitiva, capace di sedurre chiunque e lui ne è conscio. Ecco perché si ritrova nell’ oltretomba a chiedere il ritorno di Euridice. Nessuno ha il potere di dirgli di no.
Ma come può un mix di musica e amore cambiare la natura delle cose? Si tratta, da parte di Ade e Proserpina, pur sempre di acconsentire ad un atto contro natura in ossequio ad una richiesta umana.
In realtà qui si gioca uno scontro di potere.
Chiedendo ad Orfeo di non guardare la sua sposa si contrappongono due poteri. L’uno, è quello naturale sul morire, l’altro fittizio dell'arte di disporre di una forza che si crede illimitata.
L’atto di Orfeo è sovversivo e debole nello stesso tempo in quanto compiuto da un esercito di parole e musica ma mancante di azione vera. D’altro canto portare alla luce la sposa equivale a vincere la guerra in virtù solo del fascino di un’implorazione. Le conseguenze però potrebbero essere disastrose.
Dopo quella vittoria, cosa ne sarebbe stato del regno dei morti?
Ade e Proserpina giocano d’astuzia per non perdere il loro regno creando un precedente e nello stesso tempo non essere accusati dagli altri di aver fatto una cosa ingiusta, rifiutando. Mettono alle spalle di Orfeo la sua amata ma gli impongono di non guardare, opponendo alla sua forza seduttiva la forza del dubbio e dell’incertezza. Cose di cui Orfeo non è padrone e che nessun uomo è capace di dominare.
Affinchè il suo potere “poetico” diventi reale, necessita che l’azione venga portata a compimento. Ma è il potere del dubbio a prevalere.
La forza della bellezza, il suo potere coercitivo diventano nulla se interviene il dubbio su quello che si sta realizzando. Solo mettendo a tacere il dubbio l’azione diventa positiva assumendo l'aspetto di fatto che si staglia sul nulla e la poesia… poesia. Che è la prassi di morso al cuore che sentiamo dentro di noi quando appunto la poesia è poesia ed è capace di cambiarci.
Guardare in faccia Euridice equivale a far intervenire la razionalità sull’inconoscibile, la certezza della prova provata sul mistero della bellezza stessa (che non è solo musica ma necessita anche del corpo amato ) ed in definitiva equivale a rompere l’incantesimo della poesia.
Sembra che sin dall’inizio si abbia questo concetto di intraducibilità in altri linguaggi della poesia cioè di questo mix di amore e morte, luce e tenebre, tragedia e gioia, inferno e paradiso che forse rappresenta il mondo in cui siamo già stati di cui parla M. G. Calandrone e che il poeta racconta al suono della lira.
Ma c’è anche un insegnamento di fondo in questo mito. I poeti devono credere fino in fondo in sé stessi ed in quello che scrivono. In caso contrario si accorgeranno prima o poi di non avere dietro di sé che ombre vuote e fantasmi destinati al niente. Saper trasmettere il niente è il peggior delitto contro la poesia anche se i fiumi rallentano ed i venti smettono di soffiare.
ciao franco



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