(l'ho pubblicato come è stato scritto, tranne l'ultimo pezzo su Orgosolo. perché ho voluto fermare quei momenti e congelarli, senza renderli dinamici nel tempo)
16 giugno –verso Olbia ore 9.00
Il mare è un grigio che morde
di verde questo porto che ha del nucleare
con il gabbiano come sentinella
acuta, allargata alla canzone
del vecchio marinaio
la lingua è la stessa
modulata da una cresta bassa
attraversata da una scia pilota
che non perde di vista
la direzione –come quella
per la FELICITÀ
che fece piangere il mondo
il faro, l’attracco
il reperto, lo scoglio
come solitudini lasciate
alla deriva e la riga
più lontana –quella chiamata
orizzonte, pare s’increspi
sul profilo della draghe
il respiro sta oltre la cornice
di questo vetro a gocce e
chiama l’occhio, lo attira
come se ogni goccia fosse pupilla
prisma, lente sul PARADISO
che tarda
che scuote la terra
che diventa il mio mare, che
scuote il mare che
diventa la mia terra
una sciarpa allacciata di due
colori –e l’acqua riflette
ROSSO dal profondo
alla superficie –BOLLE- immagina
sangue e fiocina, dell’impero
più grande del mondo
Giglio, Pianosa, Montecristo
la terra non si distacca dal mare
resta parallela sulla linea
che ancora vede poco il sole
s’annida l’arcipelago, ma
è lontano quell’occidente
che pareggia
monte CAPANNE
con il suo nuvolare
sembra un vulcano
il monte erutta la nuvola più grande
un gabbiano totale ancor più
di Livingston, che il peso fa gravitare
basso
dove la linea pare farsi spessa
è PIANOSA, con la sua tortura
così facile che sembra tutta
da correre. ma il male sta
nei secoli e della tortura
si vede ancora il sangue
e troppa la solitudine
cosmica che spruzza l’onda
la cresta di spuma incurante
dei MONDI
18 giugno –la prima spiaggia
–il materiale per ricostruire la torretta di salvataggio
il mio mondo spirituale non è
ossessivo. solo quanto basta
nel momento in cui il mare si
fonde con la rete di un cantiere
e la sabbia diventa profumo di
legno così squadrato, con il sole
che si affaccia a nodi da una nuvola
mentre l’accompagna il suono
metallico- del gioco di un bambino
ed è il mio mondo morto
questo tratto di viola, più scuro
più opaco –ma quanta COLORITUDINE
ci vive intorno
19 giugno –b&benennidos
lo capirai l’amore, dietro la vetrata
quando mi incornici regina
con le scarpe in mano e bella
tanto da esclamare la gloria per quei giorni
offerti dal Signore
ma lo spazio comune non
ammette confessioni e allora
è nella distanza che il coraggio
osa, come la goccia d’olio. brivido
che sfida le nostre REMISSIONI
e chiama il vespero imbrunire
di colori tesi al sonno
il bruno/rame non acciaio
la mano, non il pugno, che prega
la tua è una dolcezza VALSA
all’onda più obliqua, alta
da fare paura
20 giugno -alla Suaraccia
Tocca al parlare chiaro, al
tornare agli accordi, al non
macerare gli aghi di pino
e tocca a questa metà di giugno
sostenere la doppiezza dei sentimenti
gli occhi lucidi quando la luce del bagno
detta la frequenza del tuo viso
-le farfalle
pare che l’uomo sia fatto ad
albero di Natale e trasformi
ogni cosa a sua immagine
anche giugno nell’acqua calda
delle farfalle. mischia muretti a secco
secolari come lecci, alle rocce
-compresa TAVOLARA- in uno
sfondo per desktop. poco universale
molto nautico, virale, delimitato
da file di parcheggi bianchi che
galleggiano su un paradiso di
pappagalli subacquei
-le mete
le BOE diventano le teste pelate
dei bagnanti e chiese e croci bianche
sui campanili
Tavolara è collegata alla terraferma
come l’illusione, qui dove la terra ferma
ha origine da roccia e non c’è
fucina sotterranea per custodire gli dei
solo miniere un po’ più a SUD
a seppellire
-il prosieguo che non prosegue
se fosse il giorno a separare dal tempo
la voce di un bambino che grida
una canzone al pelo dell’acqua
l’istante in cui i chilometri si smezzano
sugli asfalti di Sardegna
21 giugno –dimenticando S. Luigi Gonzaga
-ma si spezza
il rientro è il pensiero, anche piccolo
di rivedere il luogo che ti amò tre volte
e ancora adesso qui –ti ama
con separazione, ma compimento
uno stato acquisito, ben accolto, oramai
dalle ore, dall’istante presente/assente
nel luogo, nella persona dentro
parte dell’acqua che il nostro corpo
livella
-elementi separatori
nel fare ghirigori per separare gli scritti
mi accorgo di disegnare gabbiani
-Caro Aldo
La poesia è superamento, fase non critica, non ragione -filo logico, non logica. divino senza divinazione. Parola acustica seppure aspirata. Silenzio mai avaro, spazio non spazio. Resurrezione. Riabilitazione –dal luogo comune al vocabolo da SALVARE
-le campane blu
quale sia il mestiere di scrivere
il mio, la carta da non salvare
bianca seppure non congiunta
al resto del quaderno –e non per questo
ero predestinata, non per questa
parte di mondo così azzurra
dove il cielo si sgombra e tutti
i colori dei fiori sembrano onde
compreso un viale sbocciato di blu
che ho saputo –irraggiungibile
che la nostalgia resti il colore
delle dune, il loro ballo uniforme
nella superficie dove il vento
si spartisce e il faro chiama
come un sonaglio che migra da
monte a valle. al collo d’un gregge
che sfila a contorno dei cigli
soffocati dallo sterrato
Mamma Africa si vestirà a campana
nei colori dell’oro e del manto
di Madonna. e di preghiera
porterà al collo i grani battuti
un coro di ciglia, come rame
a lasciare gomitoli a forma
d’amore, che nuovo
rimane
Aldo mi ha dato la libertà di lasciare una traccia nella sua casa. Qualcosa che gli possa parlare di me, nel tempo.
Oggi il glicine
è una sagra. Il viola
è vasto nelle porzioni dei fiori
È un mordersi d’unghie
il bianco che urge
la luce che infiamma
volumi appuntiti
come lucciole
22 giugno–per Orgosolo
il monte declama
la sua poesia rocciosa
a volte gialla, a volte
Madonna -statica
tra le vesti del mirto
poco imperiosa nelle sue
umiltà, dove l’alto
dei cieli è lontano. ancora
siamo tra i vigneti
di DORGALI
il correre
del fondo stradale
strappa via i viadotti
che spalmano VERDE
tra i versanti, che sono
anfiteatri
e l’abitato s’impatta
bianco come il sale
verso la strada statale 389
-Mamojada
Orani
I viadotti, alcuni sbarrati
come carceri- fanno a porzioni
la prima BARBAGIA
-e da […]
è come se il sole mi
portasse indietro sulle mie colline
da Casteggio su per la Torre degli Alberi, ma qui
la lontananza cova
nei nidi delle aquile
dove le aquile
non sono uccelli, ma muri
bucati, barricate, grotte
e reti alla fine
di ogni sentiero
-di Orgosolo
non ho ancora scritto
occorre sedimentare
per tradurre le sensazioni
23 giugno
-cala Brandinchi
il mare sembra inverno
nel colore fumo che si apparta
tra il verde militare, per trovare
una ragnatela di sole. l’acqua
sfonda una scossa lieve
rimbalza della sua stessa polvere
questo giorno strano s’accheta
-dopo un sms
e TU ti ricordi di me, fuori dai colori
del mare e chiedi di me come
se te lo suggerisse questa pioggia
che mi gocciola le spalle, mi chiama
mi parla –con il tuo nome
24 giugno –san Giovanni Battista
-Barbara
è il tocco tra i capelli che parla
di assoluto; il non tempo
che insinua vera, la BELLEZZA
-tornando a noi
si diceva del sonno, del mare
tranquillo che torna di sera
quando il giorno abbassa
la sua saracinesca e piomba
di silenzi, volti all’addio
(come si diventa amici
all’ultimo giorno)
-tradizioni sarde
san Giovanni raccoglie la spina
e tu pungi la carne che resta
benedetta
-i figli
porti il nome come una decisione
quasi un merito esclusivo, senza
mai ringraziare chi lo scelse
-a cena a “lu Nìbaru”
chissà mai come balla Morisette
con la maglietta rosa e tutti
quei baci intorno
lascerà un segno nel sole
Morisette a forma di angelo
con la coda nei capelli
con la bocca appiccicosa
al chupa chupa
25 giugno Budoni
-ultimo giorno
è fatta di chiazze
la solitudine dell’ultimo giorno
e sosta di nuvole che chiamerei
speranza, perché il sapere star soli
è un dono di creazione
qui si trova il sale
una vita ideale senza
percorrimenti logici
tratti incostanti mistici
presi a pizzichi di schiena
vedo i soli alternarsi liquidi tra
gli annuvolamenti
sacrificarsi impavidi
alle correnti –dei venti
delle venture come avventure
di formiche insolite
a tacere –sui polpastrelli
-dopo pranzo
le formiche raccolgono
[…]
-buona notte MUSA
da una me
un po’ nostalgica
un po’ ironica
e t’amo come mia seconda terra
anzi che dico, forse quasi prima
sei NOSTALGIA ch’è lieve e poi t’afferra
si stringe al giorno senza che s’opprima
così nel mentre il tempo addosso sferra
qualche pensiero te lo dico in rima
che cresce come un fiore nella serra
racchiuso da un sonetto che l’affina
mare, splendore, vento, monti crudi
tengono la tua storia stretta e chiusa
metti la benda ai mori e non illudi
intanto tu diventi la mia MUSA
tra i muri a secco l’anima m’annudi
e stagli la tua orma dea Ichnusa
26 giugno – Golfo Aranci
-l’imbarco per la terra ferma
è il gelo nell’occhio
e i piedi stanno giusti nelle
calze, tra le stringhe allungate
di un partire -confortevole
come è diverso il porto
tutto un cantiere, tutto un’espansione
come il mondo che apre e lascia volare
lontanissimo l’anime di tutte le cose
mentre questo sfondo non ha padroni
si forma, si sforma, trasforma, scompone
e lo spicchio di cielo più grigio m’inquieta
e lo spicchio più azzurro, mi riposa
laddove il mare SALUTA
appendici
Mamma Africa
il sole mi rende minima
al tatto minima –la pelle
la mia cera pallida si perde
tra questo uscire
dalle clavicole, dal polso
da una mano
che vuole essere nera
e compie il suo volere
con gli abiti sgargianti
resi casuali, larghi
con le punte di vento
in preda ai giochi
di un cane
e non è solo mimetismo
questo comprare libri
di fiabe africane
questo entrare
nel cuore della terra
attraverso una lama
affilatissima
*
questa terra è cruda
e il suo mare inneggia
alla solitudine
l’animo predispone
al vero di sé. nessun uomo
può farmi eco dentro
rendermi pienamente
sola ad ascoltare
questa terra cruda
non ha case. è casa
come sono io di me
casa senza decorazioni
il colore delle unghie
i moti ginnici, la crema
riparatrice
la mano non corregge
lascia segno al sé
che pensa come l’olio
e affiora
ad Orgosolo (dom.22 giugno- giorno di prime comunioni)
qui ad Orgosolo si arriva attraverso la voglia di sgranare gli occhi
di puntarli in alto, a questo paese che si fa tela e parla sui muri
in tutti i segni del mondo –graffiando- tra il caffè degli artisti
e l’odore di piscio arrampicato su per tutte le scale
la via centrale è un museo dai marciapiedi sottili e panche
fuori dai bar. i ragazzi ad Orgosolo sembrano tutti uguali
con la barba ed i capelli disegnati dallo stesso taglio. e gli ubriachi
condividono coi visitatori il senso unico che diventa circuito
per un’auto rossa, che schiamazza la festa con la sua follia
invece fra i denti c’è poco spazio per un’altra lingua
qui la parola si fa stretta e la piazza è resa vuota da fare paura
ma la terra non è mai una distanza
è l’unione col pane che si sfoglia come le ostie da distribuire all’altare
poi diventa minestra, insalata, foglio sottile
che stringe la ricotta fresca come il volto dei bambini
come le premure delle madri aperte alle assoluzioni
dove ancora c’è provvidenza nel nome dei nuovi nati
nei ricami fatti a mano, nella lana tagliata dai pastori
le case hanno giardini piccoli come balconi
e le ringhiere spalancate a dire –nessun segreto tra noi
nessun giudizio negli occhi dei murales –siete voi
il segreto, voi che vi aggirate a far fotografie come ladri
ad una bellezza che ci dipinge con le radici
per tutto il resto ci sentiamo. sono ancora in fase regressiva
abbraccione stretto a voi
"Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)