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Poemetto per Thibault S.

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2020 07:59
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28/07/2020 21:38
 
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I (notturno)

non senti come preme la strada sotto i piedi
il terriccio del ciglio continuamente pulsa, chiama a proseguire saldi
come l'erba che soffia contro la direzione del vento

e tu prendi a salire chiuso, dentro la prospettiva delle nuvole
che ti alzano, fanno rumore, ti nascondono le mani
non vedi le tue mani che mi vogliono toccare
non senti le tue stesse mani che mi stanno toccando
assente, inesistente, approssimata
aderiscono al mio suono, che perpetuo porti
e lasci scivolare tra le viscere e trifogli

lo conservi, visibile solo alla nebbia

ma la mia notte scende come le lacrime su di un bacio
sai quanto si lascia assorbire da un tuo bacio

non è inganno il ricordo, la presenza ultima della notte
come una bocca, un golfo mistico che ci abbraccia
senza il toccarci delle foglie, dell'urlo del rapace che ha perso la preda

ciò che ti aspetti è la corsa, il tonfo dei corpi, le bocche
l'odore di muschio che chiude
mi chiudi, ti chiudo, il tempo si chiude a colonna
non cerca, non trova. è immobile, come appiccicato
appiattito, stretto tra le spalle che vibrano come arpe
stonano, deglutiscono il buio del vento che soffia sulle mani

non voglio che tu vada, resta, restiamo aperti a questa notte
immaginata, copiata da tante altre notti

immaginario tu torni, come il silenzio del giorno che gira
un senso orario lentissimo e gioca a farti parlare: tu non parli
non sai di avere l'aspetto di un'armonia intatta
sventolata contro valle, spiegata alla cresta dei monti che si fa corona
ti incorona di guglie, di neve, un apparente ghiaccio
proteso verso me con gli occhi, un gelo che scioglie
sui capelli. sulle mie mani che gesticolano mute. irriverenti e mute

perché non vieni qui, nella sostanza comune dei passi
tra la carne che si fa corpo, il corpo che si stacca e vola

tace la voce, tacciono i passi, la tua postura innevata
pregna di scioglimenti, poi lontana. scorre. la schiena matta, disperata
resta seppure mia, resta mio il corpo
senza vedere, senza toccare, mio il pensiero

non ho virtù, ma resti mio
non ho virtù se non quella che non hai mai assolto

di aver lasciato seccare le rose antiche sulla scala
con le mani impresse al tocco della maniglia
ai pugni di chiodi per bucare le ruote. mi guardavi, mi imploravi
che ancora adesso la fronte mi pesa di un rimprovero che martella
sfogliando la trama di un film che ci somiglia

così diventi aria lontana, che mi attraversa tutti i meridiani
mi tocchi e premi su me la tua impronta. ogni grammo di te
si fa conca sulla pelle. tu sei qui, ho qui tutto di te: la pelle, la conca
il silenzio che parla in forma sgomenta, senza potermi dire

a domani



II (scherzo)

è la mia forma incosciente di invocazione
il tempo speso sulla linea continua della penna, poi discontinua
diritta. si stacca, sospende quasi pensasse

e sosta

tu come lei. tu sosti, dietro parvenze quiete di pagine sull'orto
al bosco selvatico che impenna di luci ronzatili e fragoline

poi inizia a urlare
di lupi o risposte lontane tra rapaci nella selva oscura
punteggiata di lucciole come occhi, che ci fissano negli occhi

metti timore alla notte quando mi incanti con la voce
e frapponi risate, per i dispetti dei ghiri caduti sulle tue fotografie
prima di dormire

c'è un grande elenco di sensi in questo buio
vedi come cambia il mio umore. sprofonda, aggrappa
il caldo alla tua spalla, la voce sulla spalla, il respiro
la mano che aggiusta la coperta, stretta abbastanza
per stare ancora più vicini, fasciarci le ginocchia, fredde qui
nelle aperture della notte

il pizzicare delle labbra rende perfezione a questa pace

le parola incastra la lingua, stona tra i denti. e morde e suona
come non riconoscesse quello scherzo del pianoforte nell'aria

entro nelle forme della sposa, che stringi, sorreggi come nell'acqua
per farle pescare coralli azzurri dai tuoi occhi

questo sogno inizia al sonno, ti prende, ti lascia cadere
mi cadi con tutto il peso che cresce tra le braccia
come l'ubriaco che manca il lume del lampione, come
un rotolamento di pensieri pesante il doppio di te, ormai solo ossa
spolpate da un amore come quello che fai ballare al cigno

e ripeti il ballo in controluce perché rido mentre mando baci
e rido e balli e rido e mando baci

nessuna notte ci distoglie dal tramite di noi
nemmeno le campane, l'ora tarda, l'odore del pane
il prima di un prima dell'inizio: la notte, la terrazza
la schiena aperta al golfo mistico. l'immaginario di mani già saliva
a bollicine che suonavano di scoppi

quando ancora non c'eri

ora ti chiamo con la mutezza di quello che rileggo nella mente
formando note come ultrasuoni. e tu mi senti, mi rispondi

-oh velo, tulle a trama larga mostrami lui traverso
trapassa un raggio che percorra spazi, silenzi e tutti i minimi dettagli
in ogni avanzo di cibo o in ogni piatto vuoto




III (sonata)
per sepoltura biologica

sei tu la goccia che pende da ogni foglia attaccata al ramo
regge il peso dell'acqua, per poco e poi cade su una processione di insetti
senza ali, né la testa, entrata nella tua testa. e non esce. ronza
e ronzi. non sei reale coricato nelle foglie aspettando i lupi
ad aprirti il petto, a bere l'odore del tuo sangue. così sogni la morte
cagliata in una pozza che galleggi e rotoli alla discesa in caso di pioggia
cambi tutte le direzioni, come palla di biliardo rimbalzata alle rocce

mi chiedi aiuto

chiedi aiuto al cielo di formare nuvole come fiere
azzannarti la pelle, scambiare la pelle, la carcassa
morsa da ogni grandezza di fame radunando gli animali, gettando corde
nelle tane più profonde, dispense che raccolgano gli organi recisi
sotto i rosari squillati delle civette

chiedi la morte come il filo a piombo attratto dal centro della terra
senza sepoltura, buttata lì nel bosco, nel solco dove passano i cinghiali
per andare all'acqua. la tua carcassa
appiattita, vuota, quasi un tappeto che comincia a seccare

raccoglie quello che cade

le ghiande, l'origano, il ginepro, i ricci di castagne aperti per donare i frutti
sei quasi una tavola imbandita. un self service per i commensali

tutto moltiplica, tutto raccoglie

e tu diventi forma animale, vegetale e minerale. sei tutta la grandezza del trionfo
l'ultima delle cortecce scuoiate dal brusio del bosco
non serviranno piedi, né testa, neppure gli occhi azzurri diventati nicchie
di raccolta per i semi che atterrano come elicotteri. l'acero infestante
ti sorvola di samare, le piove a macerare con l'umidità della notte

avanzeranno intatte solo le mani. le tue mani vive, magre
allungate. mi basta come dono vivo di te. i nervi, i legamenti
le dita a martelletto da poggiare pesanti, poi leggerissime

e pesanti e poi leggere
grevi, gravi e studiate
sonata n. 2 op. 35
marcia funebre

il golfo mistico ne diventa l'eco, l'assolo, il pianoforte
le mie ceneri che soffiano sulla tomba del mio cane ❤
[Modificato da fil0diseta 30/09/2020 08:25]



"Il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato" (McCarthy Cormac)
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