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Antonin Artaud "Per gli analfabeti"

Ultimo Aggiornamento: 29/05/2009 14:09
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09/06/2007 16:35
 
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“I mortali sono coloro che possono esperire la morte come morte. L’animale non lo può. Ma l’animale non può nemmeno parlare. Come in un lampo improvviso appare qui il nesso essenziale tra morte e linguaggio – nesso che rimane ancora impensato. Esso può tuttavia darci un cenno quanto al modo in cui l’essenza del linguaggio ci rivendica a sé e ci trattiene così presso di sé, nel caso risulti che anche la morte appartenga a ciò che originariamente ci rivendica”.

Heidegger



Ora, il fatto che “la morte appartenga a ciò che originariamente ci rivendica” deve essere già venuto in chiaro: essa, raccogliendo ogni morire, “è” la voce silenziosa dell’origine.
Da qui riceviamo “un cenno” in direzione del modo in cui, a sua volta, anche il linguaggio ci reclama. Infatti: che l’uomo sia mortale significa ora che egli si trova in corrispondenza originaria con quella voce. Ma quella voce è “silenziosa”. Non si oda solo l’ossimoro; non si pensi ad una presenza-assenza di suono o ad una negazione contraddittoria di una sonorità. D’altronde è pur vero che quella voce non ha alcun suono, nel senso che non risuona mai come la voce umana o il verso dell’animale, o come la parola divina. Piuttosto: essa con-suona in sonora con ogni suono del mondo: con il fragore del traffico e della pioggia, con la quiete della notte e con la voce pubblica, con il boato nel cielo e con la chiamata del Dio ignoto, con la voce del vento e con il suono delle stagioni:



…E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovviene l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei…




Che quella voce sia silenziosa significa: essa risuona dal nulla, è il suono del nulla […]ciò che si mantiene integro nel dire e a partire dal dire, l’integro dicibile oltre ogni indicibilità, oltre ogni rappresentazione dell’essere dell’uomo, dell’aprirsi dell’uomo all’essere e del suo morire, della sua storia: il suono del nulla nella parola: il puro trattenersi del linguaggio in sé, il suo tenersi al riparo da ogni pericolo che esso stesso implicitamente provoca. […] La voce silenziosa è allora l’elemento stesso del dire – come il sereno è l’elemento della tempesta. Essa è il trattenersi del dire, al di là e al di qua di ogni suo errare. Quella voce parla in silenzio dell’essenza del linguaggio.


Ma: a chi parla? Sempre e unicamente a noi – a noi in quanto abitanti nel tempo di povertà, in quanto consegnati al destino del rifiuto della verità dell’essere. Quella voce ci parla del linguaggio, rivolgendoci il suo silenzio essenziale. (Noi non possiamo che ascoltarlo, ma questo ascolto va preparato..). Se qualcosa come il segreto del disvelamento ci chiama, che altro può essere se non il segreto della parola? Ma quel segreto ci reclama unicamente in quanto siamo mortali. Non possiamo far altro dunque che lasciarci esigere.
Là dove c’è uomo, si danno, in un nesso essenziale, morte e parola, morte e linguaggio. Siccome, simultaneamente, sempre lì dove c’è l’uomo, è data la possibilità di un pensiero dell’essere, quel nesso rimane impensato. I suoi cenni, tuttavia, indicano. La morte accade come scrigno del nulla. E il linguaggio, la parola – come accadono?




G. Zaccaria - L’etica originaria





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