13/11/2012 19:51
Si smorzava, nella sera, ogni colore. Quel giorno, che si aggiungeva alla lunga lista degli altri trascorsi in penombra, doveva pur aver avuto qualche sprazzo di luce, qualche chiazza di rosso intenso, di azzurro, di giallo limone, qualche guizzo di tinta vivace. Qualche avvenimento brillante che non fosse il pasto consumato ad orari regolari, la passeggiata svogliata intorno all’isolato, la spesa, le ore di attesa nell’ambulatorio del medico, il caffè, allungato con il latte, sorseggiato in solitaria davanti alla tele, la mattina.
In quel momento ricordava solamente la predica di Paola, sua figlia. Lo aveva rimproverato per essersi dimenticato di prendere le medicine ed aver carbonizzato il petto di pollo nella pentola antiaderente.
“E’ la terza volta questo mese. Basta! Dobbiamo trovare una soluzione. Una badante, oltre a tenerti compagnia, ti aiuterebbe a riordinare, a cucinare, a pagare le bollette, insomma si occuperebbe di te. La vita di tutti migliorerebbe”.
Un’alzata di spalle e il solito “a domani” biascicato avevano terminato la conversazione.
“Finalmente se n’è andata” aveva sussurrato.
La porta chiusa era un baluardo che lo difendeva, al quale spesso rendeva grazie, dietro cui si rifugiava per respingere gli attacchi di quel genere umano cui sentiva di appartenere ma dal quale si allontanava ogni giorno di più.
Il letto lo aveva accolto. Lo rassicurava e consolava il fatto di riempire con il suo corpo la sagoma nel materasso che gli calzava come un abito cucito su misura.
Il suo orologio biologico gli avrebbe fatto aprire gli occhi intorno alle sei ma puntare la sveglia era diventato un gesto automatico. La mano, allungata in direzione del pulsante da alzare, incontrò l’ostacolo della foto sul comodino che, urtata, ruzzolò in terra liberandosi dalla cornice.
Schiacciò l’interruttore della lampada e lo sguardo, guidato dal fascio di luce, si posò su un foglio spiegazzato, sul pavimento, che aveva probabilmente la funzione di spessore tra il passe partout e il cartoncino del ritratto. Lo raccolse, mosso più dall’istintiva premura di riordinare che dalla curiosità. Si trattava di un ritaglio di spartito musicale; poche note che non gli dicevano niente, impossibile risalire al brano. Appallottolò il pezzo di carta e lo gettò nel posacenere sulla cassettiera di fronte al letto.
Spense la luce e si sistemò nella posizione abituale.
La notte, stranamente, sognò, o meglio, al mattino, ebbe il ricordo di immagini di lui, ragazzo, che strimpellava la chitarra. “Mai suonata la chitarra”, pensò.
Uscì, verso le dieci, per comprare il pane. Sembrava che anche quel giorno avesse preso la solita, noiosa, piega di tutti gli altri ma lo strascico della suggestione notturna non lo abbandonava. Gli gironzolava nella testa un non so che di irrisolto; lo pervadeva la sensazione, familiare, di essersi scordato di dire o fare qualcosa.
Per strada la sua attenzione fu attirata da un vaso di lobelia che penzolava da una finestrucola stretta, ad altezza d’occhio. La macchia di viola intenso diede una scossa ai suoi sensi appisolati.
Raddrizzò la schiena, fece dietro front e camminò deciso verso la piccola libreria sotto i portici della via Emilia. Nel negozio andò diretto alla sezione manualistica; passò in rassegna, in modo rapido, i dorsi dei volumi sugli scaffali ed afferrò un libro giallo. Gli scappò un “Eccolo!”.
Alla cassa pagò la bellezza di quindici euro e quaranta per l’acquisto di “Mai tardi – corso di chitarra per principianti”.