30/04/2014 10:53

Scrivere è aprirsi a quella parte di noi che sa aspettare, restare scoperta eppure non comprenderla, perché accettare il senso non compiuto che a volte va oltre comporterebbe tre passi indietro e troppi, troppo in avanti. Così, a spalle curve col profilo a rondine, ti destreggi nell’evitare il finto ovvio, lo stucchevole appeso alle porte e fingere, fin tanto il saluto, l’esserci senza sguardi acuti.
Io mi appello alla volontà di volere, all’umiltà di non chiedere, alla parsimonia nel rispondere. Contesto l’approssimasi della vecchiaia, non tanto nella presenza di onde malefiche sulla fronte o la corsa a spingere indietro i percorsi della solitudine. È il capello bianco ad indicare la giacenza dell’entusiasmo, è la rassegnazione ambigua a sospettare dell’impianto intero: gli aggettivi dal fare turbolento, i verbi spenti e poco fieri, sostantivi onnipresenti eppure generici, questo scrivere lento, impreciso, estingue e allo stesso tempo appicca fili di domande dai puntini esplicativi, avvinghiando questa insicurezza. È lì che s’insidia, fra un codice errato e una connessione fantasma: la paura!


"i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
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