Hai proprio ragione e infatti mi aspettavo la tua ultima obiezione.
Oh, preliminarmente, sia chiara però una cosa, altrimenti sembra che io qui stia a fare il contro-maestrino presuntuoso a chi, a sua volta, vuol fare il mestrino.
E non è affatto così, perché questo è un laboratorio, appunto, come ben ricordavi tu.
Quindi voi fate pure tutte le considerazioni che volete, in tutta libertà (e severità di giudizio anche!), secondo il vostro modo di "sentire" la poesia.
Io ascolto e recepisco sempre e comunque con molto interesse.
Credetemi!
Capito?
Detto questo.
Tornando all'ultima tua domanda.
Ancora non lo so.
Devo scoprirlo.
Le vostre obiezioni non mi hanno (ancora) convinto infatti.
Potrebbe anche essere una mia "fissazione".
Si, perché forse a volte mi fisso pure troppo con questa storia della musicalità del verso.
Vado alla ricerca di una specie di melodia che dia all'incedere del brano, nel susseguirsi dei versi, come la consistenza di un pezzo "cantato".
Non so, è l'unico modo che ho per descrivere la cosa.
Un po' beat generation, ma non proprio.
Cioè, l'esatto contrario dell' "asciugare", comunque.
L'ultimo verso, ad esempio, che considero un tutt'uno, in realtà, con l' a capo
dell'amore (a rimarcare e chiudere con uno dei "pilatri" di tutta la mia poesia: e se fate una piccolaindagine, vedrete che concludo, volutamente e ricercandolo ostinatamente, tante poesie con la parola
amore nella chiusa) va letto tutto d'un fiato.
Dopo una piccola pausa, si prende un respiro e si legge tutto d'un fiato.
Con la rincorsa e poi via.
Per me è monco senza quel "
si perde".
Comunque.
Tornando al discorso del pezzo "cantato".
Ecco.
La poesia diventa quasi una canzone.
In "
Quando eravamo noi" (scritta nel 2007 e postata anche qui), ad esempio, c'è addirittura il "ritornello", guardate
Quando eravamo noi
e la neve bagnava la luce dell'alba
esisteva forse un tempo
perchè vivessero i ricordi
nell'uomo
come vele sopra al mare all'orizzonte
come pollini caduti nelle stanze.
Quando eravamo noi
ed il fuoco bruciava dentro al guanto
di un camino
stretti di niente sotto le coperte
a cancellarci il buio tra le ore
il mondo camminava come i piedi di un bimbo
nel suo letto di giochi
e le porte per un attimo si chiudevano
a lasciarci baciare in silenzio
e nude ci guardavano
le stelle.
Quando eravamo noi
immensamente
soli
la notte fingeva che non fosse così freddo
e le tende si agitavano
in questo vento tagliente
d'inverno
ed eravamo farfalle
ferite.
Ora che non è più Amore
e nell'ombra è taciuto ogni muro del pianto
come un cerchio nella solitudine
tra i due fogli del cielo
sono io.
Insomma, quel che voglio dire è che la mia poesia potrebbe quasi essere il testo di un brano musicale, se ci fate caso.
Fu un'osservazione che mi venne anche fatta, a suo tempo.
E sulla quale, in effetti, concordo.
Anzi.
Quando mi vennero dette certe cose nel periodo in cui stavo compiendo una sorta di passaggio da un tipo ad un altro di poesia, capii che era proprio questa la direzione in cui dovevo (e volevo) andare.
Anche se non disdegno, in certe situazioni, cimentarmi con la poesia breve e "asciutta".
Ad esempio, l' haiku mi affascina moltissimo e mi sono accostato ad esso nel periodo in cui instaurai un proficuo ed interessantissimo dialogo con un poeta che veniva da un'esperienza di viaggio con la cultura orientale.
Io te - silenzio
un’alba sul pontile
ferma – è vita.
All'inizio ero riluttante, perché bisogna rispettare una metrica ben precisa (almeno classicamente, per gli "on" - suoni - giapponesi convertiti in sillabe europee, una terzina: 5-7-5), ma poi, invece, mi ha conquistato proprio la sfida di raccogliere nelle "maglie" di un'impalcatura apparentemente soffocante, tutta la potenza espressiva di una sola immagine poetica (vabbe', non entriamo ora nella discussione sull'haiku, 'ché ce ne sarebbe da dire!).
In fondo, la poesia è l'unica in grado di portare in se e di evocare un'universo quasi in un solo verso (vedete, faccio le rime inconsapevoli anche quando scrivo ormai!
).